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Luci e ombre

Luci e ombre si alternano sul palcoscenico che rappresenta la ‘ndrangheta. I riflettori degli investigatori e degli inquirenti inquadrano ora uno, ora l’altro: quelli, che per un attimo sono stati …

Pubblicato il: 26/03/2012 – 16:59
Luci e ombre

Luci e ombre si alternano sul palcoscenico che rappresenta la ‘ndrangheta. I riflettori degli investigatori e degli inquirenti inquadrano ora uno, ora l’altro: quelli, che per un attimo sono stati presentati come protagonisti assoluti, pian piano retrocedono sino alle ultime file, per poi scomparire nell’ombra, dalla quale provenivano. Altri che avevano goduto, invece,  di dense ombre protettive, dentro le quali si muovevano con disinvoltura e senza inciampi, adesso sono colpiti da fasci di luce, ancora imprecisi, ancora incerti, come se il datore luci avesse diretto i proiettori verso obiettivi non prestabiliti e con risultati imprevisti.
Uscendo di metafora, è accaduto che qualcuno era stato presentato, con clamore mediatico assordante, che avrebbe meritato contenuti ben diversi, come il capo dei capi, l’uomo dai poteri straordinari, che guidava la ‘ndrangheta in Calabria, in Lombardia, in Europa e in tutto il mondo conosciuto, che spostava uomini, capitali, da una parte all’altra, ordinando omicidi, intrattenendo rapporti con politici, banchieri, imprenditori. E’ accaduto poi che quel qualcuno, col tempo, abbia visto svanire l’alone di leggenda dal quale era stato avvolto e abbia recuperato la sua dimensione effettiva, quella di anziano notabile della ‘ndrangheta di provincia, al quale erano stati affidati ruoli formali e poteri virtuali. Capita, naturalmente,  in presenza di grandi numeri e di chiavi di lettura improprie, ma dietro questi personaggi di facciata, continuano a muoversi, con ruoli che non si assegnano tra i boschi dell’Aspromonte, ma in consessi ben più occulti e paludati, personaggi di spessore mafioso assai maggiore, che sono quelli che, essi sì, spostano capitali, tonnellate di droga, stabiliscono collegamenti con i poteri ufficiali, con quelli occulti, con l’alta finanza. È ovvio che anche questi personaggi, sempre interni alle organizzazioni mafiose, dovranno prima o poi divenire protagonisti dell’attività investigativa e repressiva, e i tempi di attesa sono direttamente proporzionali alle difficoltà di individuarli  e di raggiungerli.
Lentamente, poi, emergono dall’ombra, altri personaggi, questi non interni alle cosche, ma appartenenti ai mondi delle istituzioni, delle professioni, della politica, in numero sempre crescente, con ruoli assai diversi tra loro, ma tutti con la comune caratteristica di essere inseriti in  quella cosiddetta area grigia che costituisce oggi l’argomento più di moda nel dibattito criminologico italiano.
La circostanza che alcuni di loro, stanno diventando tanti purtroppo, avrebbero dovuto trovarsi sul fronte del contrasto e si ritrovano invece dalla parte opposta, non sorprende più di tanto, ma rende sicuramente difficile proseguire un contrasto con sufficienti probabilità di esito positivo.
Si fanno ancora conteggi sul numero degli “affiliati” alla ‘ndrangheta e quelli pubblicati hanno la comune caratteristica di essere frutto di valutazioni soggettive quanto approssimative. Ricordo come, negli anni ’90, autorevoli esponenti politici ed istituzionali, affermavano, con sgomento, che il numero degli affiliati alla ‘ndrangheta raggiungeva, niente di meno, che lo strabiliante numero di cinquemila. Da parte mia replicavo che quel numero andava moltiplicato per dieci, con riferimento alla sola Calabria, senza contare cioè quello delle colonie italiane e straniere. Ma la ripetizione di dati fasulli ma in fondo tranquillizzanti, servì a farli passare per veri. Oggi però il problema è un altro. Gli appartenenti all’area grigia vanno aggiunti al numero degli affiliati o devono essere inseriti in una categoria a sé stante? E, soprattutto, quanti sono? Sono le poche eccezioni di una società civile sana, o sono un numero ragguardevole, tale da mettere in discussione la composizione, la qualità, il destino della stessa società? E, ancora, il loro numero, quale che sia, è destinato ad aumentare o si tratta di capacità investigative che hanno fatto emergere fenomeni sempre presenti e poco esplorati in passato? Vorrei introdurre una provocazione, che tuttavia mi sembra avere qualche argomento a suo favore, per essere ritenuta verosimile. Il rapporto dei concorrenti esterni rispetto alle organizzazioni mafiose è, per definizione, minoritario, ma forse il rapporto si sta lentamente, quanto inesorabilmente, modificando, sino a invertire il rapporto in favore degli esterni. La mafiosizzazione della società rende obsoleto il concetto di area grigia, l’ho già detto in altro articolo, e ne cambia lo stesso significato. Abbiamo sempre pensato che la definizione di grigia si riferisse a quell’area che ha in sé caratteri misti di legalità e illegalità, di bianco e nero, sino ad assumere un colore misto, esattamente il grigio. Quel termine, quel colore, potrebbe però riferirsi alla quantità di luce investigativa da cui sono illuminati quei personaggi che non si muovono ai livelli medio-bassi delle organizzazioni criminali, ormai sufficientemente illuminati dai riflettori investigativi. La poca luce dedicata ai personaggi della borghesia mafiosa e dell’ampia zona che li circonda e li favorisce, li lascia nella penombra, con colori e lineamenti sfuocati, in una zona cromatica grigia in cui non vale più, di questo sono sempre più convinto, la distinzione tra esterni ed interni, tanto è intimamente connessa la loro attività, tanto interdipendenti i loro ruoli, tanto egualmente illeciti i loro interessi e i loro profitti. Il ragionamento deve tenere conto, tra l’altro, di quelli che verranno inquadrati da qui a breve e di quelli che sono sfuggiti e sfuggiranno per sempre e non compariranno sulle tavole del palcoscenico giudiziario. Dalle procure di Milano, Forlì, Torino, Genova, sono arrivati e forse arriveranno ancora, nuovi importanti contributi all’esplorazione e all’illuminazione dell’area grigia, sta poi al legislatore prima e al giudice penale poi porsi il problema della risposta, aggiornata ed efficace, innovativa e coraggiosa, ad emergenze di questo rilievo. L’importante è non fermarsi a schemi e modelli ormai superati, dei quali rischiamo di restare prigionieri, in un momento in cui la realtà criminale si muove e si modifica ad una velocità impressionante.

* Magistrato

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