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Il fango e le notizie

Secondo il vicedirettore di Calabria Ora, Davide Varì, Aldo Pecora sarebbe stato minacciato dai clan e colpito anche da due «schizzi di fango provenienti dalle rotative di giornali locali». Noi sar…

Pubblicato il: 10/04/2012 – 16:39
Il fango e le notizie

Secondo il vicedirettore di Calabria Ora, Davide Varì, Aldo Pecora sarebbe stato minacciato dai clan e colpito anche da due «schizzi di fango provenienti dalle rotative di giornali locali». Noi saremmo una delle rotative incriminate. Quando, nel giugno scorso, iniziammo questa avventuraeditoriale abbiamo preso un impegno e garantito una cosa. L’impegno era quello di pubblicare tutto senza lasciarci condizionare o intimidire da alcuno; la garanzia era di portare rispetto anche a chi in Calabria aveva deciso di fare un giornalismo diverso dal nostro, a patto della reciprocità. Varì evidentemente era distratto. Oppure pensa che parlando per allusioni e senza far nomi si mette al riparo dalle repliche. Lui non cita il Corriere della Calabria ma siccome il riferimento è palese noi non faremo finta di non aver capito. Secondo Varì noi avremmo schizzato fango su Pecora. Lo avremmo fatto pubblicando un dato di cronaca giudiziaria che tutti gli altri hanno preferito ignorare. Avremmo dovuto non dire che tra i beni sequestrati al clan Longo, famiglia egemone della ’ndrangheta di Polistena, vi è un palazzo fantasma dove risiede la stessa famiglia Longo e dove ha residenza Aldo Pecora mentre suo padre vi ha allocato un’azienda di proprietà. Quel palazzo, e qui sta la cronaca, al catasto non esiste e questo è un modo, secondo gli inquirenti ma non secondo Varì, di evitare anche il censimento ai fini di confisca dei beni di sospetta provenienza. Non poco, infatti, è stato il lavoro dei magistrati per venire a capo della vicenda: un palazzone di cinque piani e quattordici appartamenti con magazzini e uffici stava, da lustri, sotto gli occhi di tutti a Polistena ma ufficialmente era inesistente: un mero fabbricato “in costruzione”. Era una notizia? Secondo noi lo era e lo è, secondo altri invece non merita spazio. Qui potremmo fermarci e, richiamando le cose dette in premessa, dire che ognuno liberamente sceglie quale giornalismo praticare. Ma Varì non condivide, lui vuole ergersi a giudice del nostro lavoro e stabilire, senza se e senza ma, che questo nostro è fango che schizza dalle rotative. Evidentemente Varì si intende di queste cose. In verità tanti in questi mesi hanno pensato che alcuni servizi giornalistici erano schizzi di fango: quelli attorno alla vicenda di Giuseppina Pesce, per esempio; quelli che attaccavano l’operato di magistrati e investigatori alle prese con il clan Bellocco-Pesce mutuando le tesi dei loro avvocati, per fare un altro esempio. Noi non abbiamo espresso alcun giudizio ritenendo che ognuno si regola come crede e dà conto alla sua coscienza e ai suoi lettori: se diminuiscono, un motivo ci sarà.Fin qui Varì e il suo ergersi a giudice del nostro operato. Non ci sottraiamo, però, neanche dal merito della questione sollevata. In una scheda a parte i nostri lettori, e anche Varì se non lo avesse ancora fatto, troveranno quello che il giudice Kate Tassone  scrive della cosca Longo (cosca per niente presunta ma anzi temibilissima e operativa da decenni) e dell’immobile “in costruzione” dove ha la residenza il leader di “Ammazzateci tutti”. Successivamente Aldo Pecora sostiene di avere ricevuto delle minacce a mezzo bigliettino. Sul punto la solidarietà non basta, occorre pretendere anche che la magistratura faccia piena luce. Quell’episodio non può e non deve restare impunito e, per quanto ne sappiamo, i carabinieri sono sulla pista buona per fare chiarezza  e assicurare i colpevoli, a qualsiasi titolo, alla giustizia. Su un punto però consentiteci di essere impertinenti: ma gli uomini della ’ndrangheta avevano bisogno di sapere dagli «schizzi di fango di una rotativa» dove risiede Aldo Pecora, posto che nello stesso fabbricato abitano esponenti del clan mafioso dei Longo con una fedina penale lunga quanto un treno merci? Potevano non sapere, i Longo, chi abitava nel loro stabile? Ci sarà pure un contratto di affitto e delle norme condominiali, o no? Pur volendo tralasciare la questione del palazzo fantasma e della diretta proprietà dei Longo, certificata dal provvedimento di sequestro, esiste pur sempre in Italia, e quindi anche a Polistena, la legislazione di sicurezza emanata dopo il sequestro Moro che impone la segnalazione alla Questura di ogni contratto di affitto. Non dubitiamo che queste regole saranno state certamente rispettate da chi lotta per la legalità e la trasparenza. Quindi cosa impediva al clan Longo di sapere dove risiede Aldo Pecora?Detto questo, non resta che una chiave di lettura: si cerca di intimidire il cronista che ha osato dare la notizia. Lo si fa sovvertendo le parti in gioco e alzando un muro di delegittimazione preventiva. Sì, preventiva, perché magari per questa strada si spera di mettere le mani avanti sull’evoluzione che questa e altre indagini potranno avere. Ma alle nostre latitudini queste intimidazioni non trovano spazio, neanche se veicolate attraverso i corsivi del vicedirettore di Calabria Ora, al quale rivolgiamo una piccola domanda: per caso l’altra “rotativa” attenzionata è il periodico La Riviera? Lo chiediamo perché il direttore di quella testata, persona sulla cui onestà intellettuale fino ad oggi nessuno ha avuto da dubitare e noi per primi, è anche editorialista storico di Calabria Ora e la sua rubrica, ospitata in prima pagina, è quotidianamente letta, almeno riteniamo, dal vicedirettore Varì.

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