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IL CASO | L`antimafia in commedia

Il primo esito a cui è approdata l’indagine giudiziaria della Procura di Palmi e la visione del filmato girato il 22 febbraio scorso, sotto l’abitazione di Aldo Pecora, ubicata nel palazzo sequestr…

Pubblicato il: 10/04/2012 – 17:15
IL CASO | L`antimafia in commedia

Il primo esito a cui è approdata l’indagine giudiziaria della Procura di Palmi e la visione del filmato girato il 22 febbraio scorso, sotto l’abitazione di Aldo Pecora, ubicata nel palazzo sequestrato alla cosca Longo, consentono di sapere come effettivamente sono andate le cose durante l’intervista cheil presidente dell’associazione antimafia Ammazzateci Tutti ha iniziato e poi interrotto per la contrarietà manifestata dal padre. Il video, che i carabinieri avevano sequestrato all’atto del loro intervento richiesto quella sera dal padre del leader antimafia, Giovanni, è stato dissequestrato il 29 marzo e, pertanto, anche formalmente non è più considerato dai magistrati un corpo di reato. Le riprese girate di fronte al portone di casa, dopo essere state viste dai militari dell’Arma, valutate dal pubblico ministero e dal procuratore di Palmi, sono ritornate – dopo 36 giorni – nel possesso del loro autore, Michele Macrì. Del documento filmato, che secondo gli inquirenti di fatto smentisce la versione dell’aggressione – fornita in tutti questi giorni da Pecora e dal suo entourage – il giovane showman di Marina di Gioiosa Jonica è libero di fare l’uso che meglio crede, perché in esso non si vedono scene violente o tentativi di minaccia, ma solo manifestazioni del diritto di cronaca. Il Corriere della Calabria – che nel numero 36 aveva pubblicato la notizia secondo la quale la residenza del fondatore di Ammazzateci Tutti si trova in uno dei 14 appartamenti del palazzone sequestrato per mafia (che al Catasto risulta “in costruzione”) –, ha potuto visionare le immagini dell’intervista. Nel video Pecora conferma la sua scelta di utilizzare, con la propria famiglia, un immobile sequestrato al clan; ma soprattutto,  il faccia a faccia videoripreso davanti al civico 5 di via Magellano, a Cinquefrondi, dimostrerebbe che non ci fu nessuna aggressione, al contrario di come lo stesso Pecora e tanti altri nel Paese hanno denunciato, perfino dai teleschermi della Rai.

INTERVISTA BAGNATA…
Nel video, che dura una decina di minuti, si vedono Macrì e Pecora a pochi metri dalla porta di casa di quest’ultimo. L’intervistatore è abbigliato in maniera inusuale: ha intorno al collo una corona di peperoncini rossi e sulla testa una coppola; l’intervistato, invece, ha uno zaino in spalla, dei libri in mano e, dopo aver chiuso la portiera dell’auto, si dirige verso l’abitazione. È sera, piove e al presidente di Ammazzateci Tutti sarebbe bastato infilare la chiave nella toppa della porta per “sfuggire” al confronto, potendosi giustificare con l’inclemenza del tempo. E invece, la telecamera portata in spalla dall’operatore, provvista di un potente faro, come pure il microfono e la mise buffa di Macrì  invogliano Pecora a rimanere e a parlare. L’intervistatore comincia con l’indicare lo stabile di fronte e inizia a chiedere: «Come mai è residente qua?». I due stanno fermi in strada e Pecora non si scompone. «Rispondo a tutte le domande che volete, basta che mi dite chi siete», afferma il leader del movimento antimafia sfoderando un sorriso. «Siamo di una testata libera» precisa Macrì sotto la pioggia battente e, a quel punto, si sente rispondere da Pecora: «Bene, io sto con tutte le testate libere. Mi state simpatici perché siamo tutti dalla stessa parte». Un approccio tranquillissimo da parte di entrambi, fino a quel momento unici padroni della scena.

NEL NOME DEL PADRE
Dopo un paio di minuti del filmato, invece, il quadro sembrerebbe cambiare. La normale dialettica, fino a quel momento distesa tra i due, subisce un cambio di marcia vista l’azione di disturbo del padre dell’intervistato. Fin lì Pecora era stato gioviale, iniziando a rispondere nel merito: «Vivo a Roma dal 2004». E poi ancora, minimizzando sulla caratura criminale del proprietario della sua casa, spiega con un lapsus logico che «il palazzo è stato sequestrato il 7 febbraio di appena 15 giorni fa». Fino ad arrivare alla risposta dopo cui nulla, nelle riprese, sembrerebbe più come prima: «Non pago io l’affitto, lo paga mio padre». Aldo scende nei particolari e la cosa forse non piace al padre. Il cameraman stringe un primo piano su Pecora ancora disponile, scherzoso e dall’aria complice, ma la sua voce viene sopraffatta da quella del genitore che, non ancora inquadrato, strepita dalla soglia del palazzo. «Penso che mi possano fare del male – si sente dire –, ci sono persone che ci stanno aggredendo. Io ho paura. Uno ha la coppola. Chiedo un intervento urgente. Noi siamo impegnati con l’antimafia». La camera gira e mostra Giovanni Pecora sul portone. Ridacchia, ha un cellulare in mano e ad alta voce fa capire di parlare con il 113. Interviene così, senza approfittare della porta aperta e senza mai suggerire al figlio di guadagnare l’ingresso per sfuggire a coloro che alle forze dell’ordine, nella telefonata, sta definendo aggressori. In ogni caso non sembra per niente ansioso o concitato nell’esposizione telefonica.

NEL NOME DEL FIGLIO
Così parlò Giovanni, suscitando un moto di protesta in Aldo. Nel filmato, infatti, si vede e si sente Pecora junior controbattere al genitore tuonante ancora al cellulare, ma con i carabinieri e non con la polizia. «Pensa a te – Aldo tenta di zittire Giovanni –, stavano parlando con me». Padre e figlio non si intendono. Macrì offre il microfono tanto a uno quanto all’altro dei suoi interlocutori, sottolineando che non c’è nessuna aggressione in atto. Aldo continua a parlare della sua  situazione anagrafica. «Il 30 giugno scorso a Polistena mi sono aggiudicato una casa in un’asta giudiziaria – afferma mentre si sente il padre parlare al telefono – ma ancora non posso trasferire là la mia residenza perché non ne ho il pieno possesso». Rimane sul punto, Aldo. Vuole chiarire i contorni del suo caso – che al microfono definisce «una cosa importante» – e fino a quel punto lo fa con assoluta disponibilità nei confronti dell’intervistatore. Il padre, invece, chiusa la telefonata, continua a dire minaccioso e sorridente: «Ora viene la polizia, ve la vedete con loro».

IL CORTO CIRCUITO MEDIATICO
Aldo e Giovanni si intrattengono con Macrì che divide il microfono con i due. Nessuno dei Pecora chiede che venga spenta la telecamera anche se padre e figlio marciano su binari separati. Tanto più che a un certo punto si presenta sulla scena l’altro figlio di Giovanni, Alessandro (giovane dirigente locale dell’associazione), e Aldo conferma anche con lui l’assoluta tranquillità che prova in quei frangenti. «Lui è mio fratello» dichiara il presidente di Ammazzateci Tutti abbracciandolo e ridendo. Anche Alessandro, in un primo momento, sembra dello stesso avviso di Aldo. Dialoga in maniera distesa, si fa inquadrare abbracciato al fratello e, dopo che Macrì si è presentato con nome e cognome, ricorda: «È vero, pomeriggio mi avevi contattato per concordare l’intervista, ma hai telefonato con un numero anonimo e dicendo che ti chiami in un modo diverso». L’informazione fornita da Alessandro, circa l’approccio che il proprietario di Radio Margherita aveva cercato nel pomeriggio per concordare l’intervista, costituisce il secondo spartiacque nella videoripresa. Macrì, intento a ripetere che «non è in atto nessuna aggressione e lo spiegheremo ai carabinieri quando arriveranno», precisa che a chiamare era stato un suo collaboratore «che vi ha dato le sue generalità».

ANTIMAFIA SURREALE
A questo punto i Pecora sono tutti intorno al microfono. Padre e figli scherzano, si fanno inquadrare mentre si abbracciano e Giovanni dice: «Adesso ammazzateci tutti». I Pecora, però, continuano ad avere atteggiamenti diversi. Giovanni, a Macrì che tenta di abbracciarlo con evidente spirito ironico, urla: «Non mi metta le mani addosso»; Aldo riprende a dialogare e domanda all’intervistatore: «Chi vi finanzia?», adombrando il sospetto che ci sia una regia oscura dietro il servizio che Macrì sta confezionando. «Siamo pov
eri», gli risponde quest’ultimo, e Aldo rimane ancora sul filo dell’ironia: «Pure io sono povero, qui sto in affitto». Ma ancora padre e figlio dimostrano di avere opposte strategie. «Attenzione, questo è un elemento di ’ndrangheta», sostiene Giovanni indicando ai figli la corona di peperoncini che Macrì indossa e, senza perdere il sorriso, mette in allerta il resto della famiglia. Aldo continua a escludere il padre dalla scena: «Dovete parlare con me, vi stavo dando delle informazioni». Tutti sono in attesa dei carabinieri, ma la telecamera continua a riprendere l’intervista resa bizzara dal comportamento di Giovanni. Il presidente di Ammazzateci Tutti, prendendo spunto dalla seconda “strategia della confusione” lanciata dal fratello, inizia a chiedere conto dello status professionale di Macrì che, avendo precisato al microfono di non essere un giornalista, ad un certo punto si vede sventolare davanti agli occhi da Aldo il tesserino dell’Ordine. «Se sei un collega ti devo dire delle cose, se sei un abusivo te ne devo dire delle altre», si sente dire l’intervistatore. Arrivano due carabinieri, che fanno spegnere la telecamera, e tutti finiscono in caserma. Anzi no, il padre si stacca dai figli perché, si legge nel verbale di quella sera, «accusa dei malori e si reca in ospedale per accertamenti». Uscirà presto perché dopo poco, intorno alle 22, scriverà sul suo profilo facebook di essersi ripreso: e gli «aggressori non hanno avuto la meglio».

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