Ultimo aggiornamento alle 17:23
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

Uccisa perché ha tradito il marito: 12 arresti per la cosca Lo Giudice

REGGIO CALABRIA Il tribunale delle cosche non perdona. Le regole sono regole. Nella `ndrangheta lo sono ancora di più. Un`altra donna uccisa e fatta sparire dal tribunale delle cosche. A distanza d…

Pubblicato il: 14/04/2012 – 7:25
Uccisa perché ha tradito il marito:  12 arresti per la cosca Lo Giudice

REGGIO CALABRIA Il tribunale delle cosche non perdona. Le regole sono regole. Nella `ndrangheta lo sono ancora di più. Un`altra donna uccisa e fatta sparire dal tribunale delle cosche. A distanza di 18 anni, la squadra mobile di Reggio Calabria, diretta da Gennaro Semeraro, ha risolto il caso della “lupara bianca” di Angela Costantino, moglie di Pietro Lo Giudice, uccisa nel marzo 1994 perché aveva intrattenuto una relazione extraconiugale nel periodo in cui il marito era detenuto nel carcere di Palmi. A nulla è servito rinunciare al bambino, che aveva in grembo. Già madre di quattro figli, Angela ha pagato con la vita un errore che, in certi ambienti, non viene tollerato. L`onta che aveva investito la famiglia mafiosa dei Lo Giudice doveva essere lavata con il sangue. L’onore prima di tutto: e così è stato. Una storia cruenta raccontata ai magistrati dai collaboratori di giustizia Maurizio Lo Giudice, Paolo Iannò e Domenico Cera. Le loro dichiarazioni sono concordanti e hanno riscontrato le risultanze investigative della Mobile che ha individuato i tre presunti responsabili dell`omicidio. Stando alla ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia, infatti, a uccidere Angela Costantino sarebbero stati i cognati Vincenzo Lo Giudice e Bruno Stilo, e il nipote Fortunato Pennestrì. La donna è stata strangolata e la sua auto, una Fiat Panda, è stata ritrovata a Villa San Giovanni due giorni dopo l’omicidio. Di Angela nessuna traccia, così come è avvenuto nel 2009 per la cognata, Barbara Corvi, moglie di un altro dei fratelli Lo Giudice. Una scomparsa, questa, ancora avvolta nel mistero.
«Non sono state indagini facili – è stato il commento del procuratore facente funzioni Ottavio Sferlazza –. Un orribile delitto di ‘ndrangheta. Il provvedimento eseguito oggi ha colpito solo alcuni dei responsabili dell’omicidio che esprime il disvalore della ‘ndrangheta. Gli stessi autori del delitto hanno riferito i dettagli ai collaboratori Maurizio Lo Giudice, Domenico Cera e Paolo Iannò».«È la conclusione di un’attività investigativa molto complessa – ha aggiunto il questore Carmelo Casabona –. Abbiamo azzerato quella che era una cosca violenta nel territorio». Un concetto espresso anche dal capo della squadra mobile, Gennaro Semeraro, secondo cui, «con l’operazione di oggi, la famiglia mafiosa dei Lo Giudice è stata disarticolata». Oltre al caso di “lupara bianca”, infatti, con la seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere, gli inquirenti hanno colpito l’impero della cosca reggina. In manette sono finiti Domenico Lo Giudice di 44 anni; Giovanni Lo Giudice (41); Maria Lo Giudice (21); Anna Gatto (40); Domenica Pennestrì (39); Antonino Paviglianiti (24); Bruno Stilo (50); Antonia Maviglia (50). Associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni sono i reati contestati dalla Direzione distrettuale antimafia che ha chiesto e ottenuto dal gip anche un sequestro di beni per circa 5 milioni di euro. I sigilli sono stati applicati alle società “Co.Pla.Sud Sas”, “Ingr.Al.Sud”, a un distributore di benzina, alla ditta individuale Maviglia Antonia, a quattro immobili, a un terreno e a tre veicoli.
Stando all’inchiesta, Domenico e Giovanni Lo Giudice sono stati riconosciuti partecipi a pieno titolo dell’attività della cosca un tempo guidata dal padre Giuseppe, ammazzato nel 1991 al termine della guerra di mafia. I due fratelli avrebbero contribuito a quella strategia nascosta di rinunciare al locale di Santa Caterina e dividersi in maniera pacifica i proventi illeciti derivanti dalle estorsioni con gli esponenti delle altre cosche. Una volta costituite le attività commerciali sequestrate dalla Mobile, d’accordo con i Tegano e i De Stefano, la famiglia Lo Giudice avrebbe imposto le proprie forniture su quelle dei commercianti “puliti”. Un elemento importante, per gli inquirenti, è il contributo dato da Domenico Lo Giudice che sarebbe intervenuto presso alcuni esponenti dei De Stefano e Tegano affinché rinunciassero al pagamento della tangente da parte di un costruttore, Vincenzo Sarra, vicino al clan e di cui l’indagato si faceva portavoce. Nel corso delle perquisizioni sono stati rinvenuti 90mila euro a casa di Giovanni Lo Giudice.

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x