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Donne di mafia, soldi e pizzini

REGGIO CALABRIA «Vi è un aspetto che ha una rilevanza sociale: il ruolo delle donne che si prestano non solo a mantenere i contatti con gli uomini della `ndrangheta detenuti ma anche a curare i pat…

Pubblicato il: 18/04/2012 – 13:09
Donne di mafia, soldi e pizzini

REGGIO CALABRIA «Vi è un aspetto che ha una rilevanza sociale: il ruolo delle donne che si prestano non solo a mantenere i contatti con gli uomini della `ndrangheta detenuti ma anche a curare i patrimoni della cosca». Esordisce così il procuratore Ottavio Sferlazza nella conferenza stampa tenuta oggi al Comando provinciale dei carabinieri per illustrare i dettagli dell’operazione “Califfo 2” nell’ambito della quale sono state arrestate 7 persone legate alla cosca Pesce e sequestrati beni per un milione e mezzo di euro.
In manette sono finiti Maria Rosa Angiletta, Maria Carmela D’Agostino, Giuseppe Fabrizio, Demetrio e Domenico Fortugno e Maria Grazia Spataro. Per loro l’accusa formulata dalla Direzione distrettuale antimafia è di intestazione fittizia dei beni aggravata dall’articolo 7 per il favoreggiamento alla `ndrangheta.
Ancora latitante, invece, Giuseppe Pesce attuale reggente della cosca di Rosarno per volere del boss Francesco Pesce, detto “Testuni” (suo fratello) che, in un pizzino, nei mesi scorsi ha indicato il parente come suo successore.
I carabinieri del Ros hanno eseguito, inoltre, il sequestro preventivo di 91mila euro in contanti (nella disponibilità di Domenico Fortugno), del 50% sia delle quote sociali della “Calabria Trasporti Sas di Fabrizio Giuseppe” e dell’intero patrimonio aziendale della “Medma Trans Sas”. «Quest’ultima società era stata costituita – ha spiegato il procuratore aggiunto Michele Prestipino – per impedire gli effetti di precedenti provvedimenti di sequestro».
«Negli obiettivi strategici della Dda – ha aggiunto il magistrato di origini palermitane – ci sono due direttrici: la disarticolazione delle più potenti cosche e qui siamo in presenza della potente famiglia mafiosa dei Pesce, e il depauperamento delle risorse di cui le cosche dispongono. Stiamo sequestrando due beni produttivi, due vere e proprie imprese mafiose che lavorano nel settore dei trasporti. La strategia della cosca viene meno se non sono presenti sul territorio attraverso le attività imprenditoriali. Il sequestro di oggi ha una valenza positiva perché va a beneficio delle imprese sane. Levare dal mercato un’impresa mafiosa significa, infatti, favorire le imprese sane. Questo è stato possibile grazie all’assoluta modernità del metodo investigativo. Siamo partiti da un piccolo pezzetto di carta dove c’erano 5 o 6 indicazioni. Un investigatore poco attento l’avrebbe lasciato lì. Invece il Ros ha messo insieme i pezzi e questa è la seconda operazione che portiamo a termine da quel pezzetto di carta».
L’ordinanza di custodia cautelare è il naturale seguito dell’operazione “Califfo”. Stando alle indagini, nei confronti di Domenico Fortugno, già arrestato lo scorso 9 febbraio ma poi rimesso in libertà dal gip di Palmi, ci sono una serie di intercettazioni telefoniche che si incrociano con la documentazione contabile sequestrata negli uffici della “Medma Trans Sas”, formalmente intestata al padre Demetrio, alla moglie  Maria Grazia Spataro e a Maria Carmela D’Agostino.
Cugino acquisito in primo grado di Ciccio “Testuni”, infatti, Fortugno sarebbe l’occulto comproprietario della “Calabria Trasporti Sas di Fabrizio Giuseppe”, una società nella quale, oltre a quest’ultimo, c’è Maria Rosa Angiletta.
L’operazione, secondo i carabinieri, «ribadisce la centralità del ruolo delle donne all’interno della criminalità organizzata: per via delle lunghe detenzioni imposte agli uomini, le mogli (da custodi della mentalità mafiosa all’interno delle mura domestiche tenutarie dei segreti di mariti, figli e fratelli) da tempo, hanno assunto un ruolo dinamico ed operativo in seno alla “cosca Pesce”».
Un elemento che era già emerso nel corso dell’inchiesta “All Inside” nell’ambito della quale era emerso che a Maria Grazia Messina (attualmente detenuta) era stata affidata la custodia della “bacinella”, la cassa comune della cosca in cui confluivano i proventi dell’attività illecita del gruppo criminale.
Allo stesso modo, oggi, gli inquirenti, hanno accertato che alle donne finite in manette venivano intestate due imprese che in base ai loro redditi dichiarati non avrebbero mai potuto fondare o mantenere e dalla cui gestione, nel concreto, erano state assolutamente estromesse.

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