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CALIFFO 2 | I desideri del boss affidati a un bigliettino

ROSARNO «Datemi stu biglietto c`a già sugnu rovinato, vi giuri c`a u sciancu davanti a vui». Francesco Pesce, il giovane boss del clan che governa su Rosarno, ha paura. La polizia peniteziaria di P…

Pubblicato il: 18/04/2012 – 14:18
CALIFFO 2 | I desideri del boss affidati a un bigliettino

ROSARNO «Datemi stu biglietto c`a già sugnu rovinato, vi giuri c`a u sciancu davanti a vui». Francesco Pesce, il giovane boss del clan che governa su Rosarno, ha paura. La polizia peniteziaria di Palmi gli ha appena sequestrato un “pizzino”. Lo stesso che aveva appena passato al suo compare Salvatore Giovinazzo, poco prima di essere trasferito in un altro penitenziario. È l`11 agosto 2011: inizia così l`indagine “Califfo 2”, che porterà all`arresto di sette presunti fiancheggiatori della cosca. L`agente si accorge presto di quanto sia scottante quel foglietto: il 25 agosto la sua automobile va a fuoco. Per Giovinazzo, invece, “colpevole” di aver consegnato il bigliettino al poliziotto, rischia di finire malissimo. Dopo il trasferimento di Cicciu Testuni (questo il soprannome di Pesce), l`uomo che aveva individuato per portare i suoi messaggi viene accerchiato da una decina di altri detenuti «e solo l`intervento della polizia penitenziaria interrompe un vero e proprio linciaggio». Il passaggio firmato dal gip di Reggio Calabria illustra il distorto codice d`onore della `ndrangheta, che impone una punizione per l`«infame»: «Per i sodali di Francesco Pesce, mai avrebbe dovuto obbedire all`ordine ricevuto (quello di consegnare il biglietto, ndr), ma distruggere piuttosto il pizzino». Giovinazzo viene trasportato in infermeria, ma nega di essere stato picchiato. La cosca Pesce controlla il carcere, tant`è che l`amministrazione penitenziaria chiede il tresferimento per tutti i sodali del clan: « le drammatiche dinamiche che ormai si sono create tra gli appartenenti alla cosca Pesce e questa struttura Penitenziaria e questo Reparto in particolare” fanno ritenere “che sia impossibile, se non a rischio di gravissime ripercussioni, che gli stessi continuino ad essere quivi ristretti ovvero quivi appoggiati per processo”».

I CONTENUTI DEL “PIZZINO” Quel foglietto vergato a mano da Cicciu Testuni è preziosissimo per gli inquirenti. Ci sono nomi e suggerimenti: le volontà di un boss che teme di perdere il comando perché nel suo futuro c`è una lunga detenzione. Pesce cerca di tutelare gli interessi della holding di famiglia e di indirizzarne in qualche modo i futuri assetti. I magistrati ripartiscono il “pizzino” in quattro sezioni, «corrispondenti ad altrettante precise direttive». La prima parte riporta i nomi di sei persone – Rocco Messina, Pino Rospo, Muzzupappa Ninaredo, Franco Tocco, Danilo, Paolo Danilo – e si conclude con una precisa indicazione riguardante il latitante Giuseppe Pesce, fratello di Francesco: «Fiore per mio fratello». È l`attribuzione in piena regola di una carica mafiosa.
Nella seconda parte del pizzino, Francesco Pesce dispone che “Biase” consegni a una donna straniera (“polacca”) del denaro; non c`è una cifra, segno che «si trattava di un riconoscimento economico prestabilito e caratterizzato dalla continuità nel tempo, il cui importo doveva essere stornato da alcuni assegni (“ass. Fortug.”)».
La terza indicazione riguarda l`affiliazione (“santino”) di un nuovo soggetto tra gli uomini d`onore della cosca. La nuova leva viene indicata genericamente come “geometra Luca”.
Nella parte conclusiva, invece, viene indicato «il nome di colui che avrebbe dovuto trasmettere fuori dal carcere il biglietto, nonché l’esecutore delle volontà del giovane boss (“Saverio tuo cognato”). L’ordine impartito dal Pesce era chiaro: una cospicua somma di denaro (“I 7”), normalmente introitata nella cassa della cosca tramite “Peppe Rao”, da quel momento, doveva essere destinata al suo nucleo familiare (“Li da a me”)».

GLI SCOPI DEL BOSS Per gli investigatori è tutto chiaro: «Pesce, consapevole del lungo periodo detentivo a cui andava incontro, attraverso il “pizzino”, aveva attuato tutte le cautele necessarie per consentire al fratello minore Giuseppe (latitante) di guidare il gruppo criminale durante la sua detenzione, attraverso uomini di estrema fiducia». Interpretazione « confermata dalla successiva frase “Fiore per mio fratello” che,  non a caso, segue l’elencazione dei precedenti sei nominativi». Una promozione al grado di capobastone che stava in cima ai pensieri del boss.

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