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La scommessa di D`Attorre

La scommessa, D’Attorre la vince. Ci sono tutte le premesse. Quando è arrivato in Calabria, dopo l’esperienza non molto lusinghiera di Adriano Musi (che si è poco impegnato ad applicare l`ut unum s…

Pubblicato il: 10/05/2012 – 13:59
La scommessa  di D`Attorre

La scommessa, D’Attorre la vince. Ci sono tutte le premesse. Quando è arrivato in Calabria, dopo l’esperienza non molto lusinghiera di Adriano Musi (che si è poco impegnato ad applicare l`ut unum sint di Giovanni XXIII, ma semmai a proseguire il divide et impera del sovrano romano Cesare) a gestire il partito democratico in crisi, soprattutto, per la cocente sconfitta alle elezioni regionali del 2010, Alfredo D’Attorre, non era per nulla convinto. Sapeva di trovare un partito dilaniato da opposte fazioni, da personalismi esasperati, dall’essere tutti contro tutti anche a causa di un poco lusinghiero risultato elettorale. Ed in pochi, allora, recitarono il mea culpa. Anzi, si è assistito a un deludente scaricabarile di responsabilità. D’altro canto, quando si perde, dopo una trionfale vittoria, le ferite bruciano di più, soprattutto se anziché usare unguenti, si è  usato il sale. E D’Attorre, consapevole di scendere in una giungla di leoni- buoni, ma sempre leoni – venne con l’umiltà di chi si accingeva, consapevolmente, ad affrontare un compito, tutt’altro che semplice. E, come primo atto, anziché parlare singolarmente con i vari leader del partito di Bersani-Franceschini-Letta, ha scelto di incontrarli tutti insieme e farli sfogare, dopo mesi di mugugni e di magagne. E così è stato. Da subito, quindi, la sveglia, il risveglio dell’amor proprio. «Non possiamo star qui a leccarci, ogni giorno, le ferite, peraltro meritate: dobbiamo reagire. Sono stati fatti errori imperdonabili, recitiamo un generale “mea culpa”, ma rimbocchiamoci le maniche», anche perché il Pd ha perso le regionali, non per merito dell’avversario di centro destra, ma per colpa – tutta intera – del centrosinistra. Siamo stati noi, con la nostra azione di (non) governo, in particolare negli ultimi due anni, a spingere i calabresi nelle braccia dei berluscones. «Chi è causa del suo mal, pianga se stesso – aveva detto il giovane dirigente – ma le lacrime, ad un certo punto, devono pur finire, svegliamoci e andiamo avanti». Cinque anni di sofferenza (ma saranno davvero cinque o, vista la situazione politica regionale, potranno diminuire?) e poi, come Cristo Gesù, ci sarà la meritata Resurrezione? «Saremo in grado di vincere la sfida che ci attende?» si chiese allora D’Attorre. A me la guida, a voi la soluzione. Rispolverando Alessandro Natta che misurava la classe dirigente dalle capacità di aggregare nuove forze e non di escluderle, il commissario del Pd ebbe a precisare che «rinnovamento non deve significare, a tutti i costi, rottamazione», anche perché  in tanti si sono rottamati da soli, o sono usciti dal Pd. Il riferimento è all’ex presidente Loiero, passato all’Mpa di Lombardo, di cui è divenuto coordinatore nazionale, il senatore Franco Bruno, approdato alla corte di Rutelli, Dorina Bianchi, passata prima all’Udc e poi alla corte di Berlusconi, Bova, in avvicinamento al Psi di Nencini, Adamo, in attesa, dice, di rientrare: per chi è andato via, secondo Massimo d’Alema, “extra ecclesiam, nulla salus”.
Consapevole che anche in politica, come scriveva Soren Kirkegaard, «la vita va capita guardando indietro, ma va vissuta guardando avanti», per D’Attorre  si deve «valorizzare la classe dirigente impegnata nei ruoli istituzionali e amministrativi, (ri)metterla insieme e lavorare per far entrare nel partito nuove energie». Per adesso – era febbraio – c’è l’impegno per le amministrative, i congressi – regionale, provinciali e di circolo, quindi le elezioni politiche.
Dall’agroalimentare di Lamezia, iscritti e simpatizzanti di centrosinistra, andarono via ben impressionati. Avevano concesso all`uomo mandato da Roma un’apertura di credito. Da allora, frenetiche riunioni e contatti quotidiani nelle cinque province, nelle singole realtà, con iscritti ed esponenti, con la militanza, con i giovani. Non ha mai nascosto le difficoltà, interne ed esterne, ha sempre parlato il linguaggio della chiarezza, qualche volta – quando è stato necessario – della durezza, nella consapevolezza che «soltanto cambiando strada e passo, rispetto al passato, possiamo valorizzare le risorse che ci sono nel partito e che,spesso, sono rimaste inascoltate».
E i problemi calabresi? Mai passati in secondo piano, a partire da Gioia Tauro, dalle infrastrutture, dal lavoro, dalla legalità: i punti emblematici della battaglia del Pd per la Calabria ed il Mezzogiorno. Con il commissario: il capogruppo Principe, Maiolo, Pirillo, Marini e Mario Oliverio a Cosenza, Battaglia e Minniti a Reggio, all’unisono, hanno ribadito che la Regione, con la sanità in primis, è al collasso, ha perso credibilità, la luna di miele è finita. E a questo punto «il Pd è la sola alternativa». Insomma una “missione possibile”, per la riconquista della Regione e, da subito, il rilancio del partito, dice l’uomo politico, roman-calabrese. Tutti d’accordo con lui? Certo che no. Voci dissonanti ce ne sono state, com’è giusto che sia. «Non siamo il partito di un uomo solo al comando» ha più volte ripetuto. Fino a quando, reincontrando gli stati generali del partito, a partire dal gruppo alla Regione, compresi Ciconte e De Gaetano,  non è riuscito a concordare e definire il prosieguo dell’impegno politico del Pd.  Il 24 giugno sarà eletto il nuovo segretario regionale, sempre col metodo delle primarie, poi si penserà ai congressi provinciali e di circolo. Candidati? Tanti, anche se si pensa a un uomo di esperienza, conosciuto in tutto il territorio.  Tutto sembra procedere per il meglio. Sembra, meglio dirlo. Al nuovo segretario, il primo dopo l’era Minniti, il compito, inoltre, della scelta, invero più complessa che mai, dei candidati alle politiche.
Dopo la tempesta, è il momento della quiete? Non dovrebbe trionfare il pessimismo di Leopardi.   Non è più tempo  di alchimie, anche perché, per dirla con Zagrebelsky, rinunciare alla politica è un pericolo. «Rinnovarsi, dice il ministro Riccardi, altrimenti l’antipolitica avrà la meglio».

* Giornalista

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