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La disgrazia di Reggio

«La disgrazia di Reggio», secondo quanto l’ineffabile Giovanni Zumbo riferiva nel corso di un’amabile conversazione al boss Giovanni Pelle, nell’abitazione di quest’ultimo, era stata la cattura di …

Pubblicato il: 27/06/2012 – 18:37
La disgrazia di Reggio

«La disgrazia di Reggio», secondo quanto l’ineffabile Giovanni Zumbo riferiva nel corso di un’amabile conversazione al boss Giovanni Pelle, nell’abitazione di quest’ultimo, era stata la cattura di Pasquale Condello. Vale a dire l’arresto dopo un decennio di latitanza di uno degli esponenti di vertice della ’ndrangheta reggina, protagonista della guerra di mafia degli anni 80 e gravato da due condanne all’ergastolo. Lui, Zumbo, saggiamente, quella cattura l’aveva caldamente sconsigliata, per il bene della città, naturalmente, perché sin quando c’era lui (il boss) – libero latitante – «non si muoveva nessuno», mentre la sua cattura avrebbe «provocato disordini e rotto equilibri». I saggi consigli di Zumbo erano rivolti, a suo dire, ad apparati dello Stato – vale a dire esponenti dei Servizi – i quali purtroppo non lo avevano ascoltato, e così «è stato un malanno». La conversazione costituisce l’epitaffio funebre di una città, della sua classe dirigente, del suo presente e del suo futuro. Se gli equilibri di una città si reggono sulle capacità di direzione di un noto latitante e dei più pericolosi, stando alle condanne riportate, ciò equivale ad ammettere che il potere mafioso sulla città è arrivato a un punto così alto da condizionare la vita cittadina in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi ambiti. Un criminale, invece che nemico e ostacolo della convivenza civile, viene indicato il suo garante supremo, tanto da far paventare la sua cattura come l’inizio di un periodo di disordini, piuttosto che di recupero di spazi di legalità e di convivenza civile. Fin qui, se tutto si riducesse a una conversazione tra persone poi arrestate per reati di mafia, sarebbe grave, ma non ancora tragico. Se invece avviene che le “profezie” di Zumbo si sono rivelate attendibili, allora il discorso vira decisamente verso il peggio. In effetti Zumbo parla, nel 2010, di ciò che è già avvenuto, dopo la cattura del boss. Ed è davvero avvenuto di tutto.
Dopo quel fatidico 18 febbraio 2008, a Reggio succedono cose strane: inizia una serie di fatti, apparsi allora misteriosi, e oggi sempre più misteriosi. Si allude alle microspie inserite negli uffici di due sostituti procuratori della Repubblica, mentre serpeggiano i primi veleni, si parla di “pizzini” con riferimento a toghe, lasciate accuratamente senza nome in modo da potere essere attribuite secondo utilità e convenienza, vengono lanciati messaggi intimidatori che chi deve intendere intende, eccome se intende. Insomma una stagione, non ancora finita, nella quale nascono collaborazioni, rappresaglie, e tanto altro. Il passaggio successivo di questo nuovo corso, privo di equilibri, dentro e fuori il mondo della ’ndrangheta e del suo vasto contorno, si verificò due anni dopo, quando l’anno nuovo inizia in verità il 3 gennaio con le bombe davanti all’ingresso della Procura generale. Dopo di che avvenne di tutto. Messaggi intimidatori, più allusivi che reali, vengono lanciati all’interno di strutture protette, impenetrabili agli estranei, ma evidentemente non a tutti, come i sotterranei del Cedir, poi ancora bombe e armi abbandonate in posizioni allusive. La conclusione di quell’annus horribilis non poteva che essere tragica. Il 15 dicembre Orsola Fallara tenta il suicidio ingerendo acido muriatico e tre giorni dopo muore in ospedale. Quella morte fu uno shock per la città, o meglio avrebbe dovuto esserlo, ma in effetti la sua dirompente tragicità fu stemperata in parte dal cinismo, in parte dal disorientamento di una città che accetta tutto quanto avviene pur non credendo a nulla. Di quello che avvenne in quel periodo, del clima irrespirabile vissuto in città e delle sue conseguenze future, se ne sa di più leggendo le conversazioni ambientali reperite all’interno degli atti depositati, provvidenzialmente, dalla Dda di Catanzaro, che non dall’esito delle investigazioni, così come sul caso Fallara squarci di verità emergono oggi fuori dal percorso istituzionale a cui tutti guardavano prima fiduciosi, poi sempre più perplessi. È come se nel 2008, con quella cattura improvvida, si fosse aperto un ciclo, che speriamo si possa concludere già nel corso di questo 2012. Certamente, ad affrettare la conclusione di questo triste ciclo, occorrerebbero novità istituzionali importanti, che diano un segno di discontinuità con il passato e indichino una strada diversa. Il riferimento è al nuovo governo, che non sembra, al momento, molto interessato ai problemi della criminalità organizzata, al suo impatto feroce sull’economia e sulla democrazia di questo Paese e anche le indispensabili riforme in materia di corruzione segnano il passo, in un cammino parlamentare che ignora il peso che la questione morale esercita sulle nostre prospettive di sviluppo. Non è un caso che la linea della corruzione sia inversamente proporzionale a quella dello sviluppo se è vero che la Germania viene percepita all’ultimo posto nella scala dei Paesi europei in fatto di corruzione e l’Italia la prima: lo spread morale pesa forse ancora più che quello degli interessi sui titoli pubblici.
In questo contesto la Calabria rappresenta, come spesso le accade, una palla di piombo, che la condanna al- l’isolamento, alla disoccupazione giovanile, all’arretratezza culturale. L’ultimo quadriennio ha certamente luci e ombre, ma adesso occorre che le ombre vandano prontamente dissipate, sino in fondo, se si vuol rivedere la luce del sole e non la luce artificiale di un’abile rappresentazione teatrale.

* magistrato

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