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Montezemolo? No Grazie

In questi giorni è accaduto qualcosa di nuovo. Almeno così sembra(va). C’è stato un intervento del presidente degli industriali calabresi che è entrato a gamba tesa sul modo di fare politica nella …

Pubblicato il: 27/06/2012 – 18:32
Montezemolo? No Grazie

In questi giorni è accaduto qualcosa di nuovo. Almeno così sembra(va). C’è stato un intervento del presidente degli industriali calabresi che è entrato a gamba tesa sul modo di fare politica nella nostra regione. In buona sostanza, ha detto basta al “politicismo stucchevole” che caratterizza l’attuale momento, coinvolgendo nel ruolo di primo responsabile la giunta regionale in carica. Incapace di programmare alcunché, atteso che si limita (così come hanno fatto tutte) ad amministrare la gestione corrente (male, malissimo la sanità). Ne sono seguite difese d’ufficio, anche scomposte (Scopelliti, docet), commenti di rilievo (Cosenza, dixit), critiche costruttive (fra tutte, Covello, Cgil) e qualche proposta (Naccarato). Quanto a quest’ultimo, devo dire che ho apprezzato l’appello agli emigrati “per merito”. In Calabria, come ovunque, c’è davvero un grande bisogno di contributi di intellettuali, di imprenditori, di scienziati. Ne abbiamo tanti, soprattutto fuori casa. Speriamo che rientrino a tutela dell’interesse generale. Tuttavia, sarà difficile che lo facciano, almeno quelli offesi dalla storia e dai vizietti della politica nostrana. Nonostante tutto, continuiamo a credere che gli Stefano Rodotà & C., ma anche i Versace e i Monorchio, impegnino anche la loro faccia per la Calabria offesa da sempre. Alcuni di questi ci hanno pure provato, con esperienze risultate a loro persino sgradevoli.
Ciò che non condivido è il tentativo di utilizzare strumentalmente le critiche spietate, molto spesso tirate fuori dal cilindro in odore di elezioni, e le proposte, apparentemente mirate a recuperare l’elite calabrese, di chiaro ed esplicito appoggio a future liste di aspiranti leader politici. Ad un tale progetto sembrano fare capo le “novità” dell’ultima ora che (lo ripeto) condivido nel merito critico. Quello che non accetto è che si continui a fare pretattica. A ricorrere a vecchi metodi preparatori, che ricordano molto quelli berlusconiani. Anche perché credo che servano poco allo sponsorizzato Luca Cordero di Montezemolo, dal momento che ha mezzi e occasioni per promuoversi. Quando e come vuole.
Evitiamo, dunque, di interessarci della Calabria strumentalmente, specie da parte di chi ha contro la storia. Quella che rende vano ogni tentativo di rappresentare la novità. In un momento com’è quello attuale serve ben altro. Idee chiare e scevre da secondi fini. Presenze di uomini liberi e trasparenti, da contrapporre ai solito noti. Magari, insediare in questo processo i migliori calabresi residenti ovunque. È nostro compito convincerli, soprattutto dimostrando di mettere da parte quei perniciosi personalismi presi in prestito dall’economia che conta. Quella privata, si intende. Per quanto mi riguarda, ridatemi i miei distinguo, quelli messi da parte, anche di recente, in Parlamento con le nomine bipartisan delle authority. Ridatemi la destra e la sinistra. Occorrono le distinzioni, meglio le differenziazioni progettuali. Quelle sulle quali distinguere e formare il con- senso elettorale, oggi carpito. Non è vero che non c’è più modo di distinguerle. Oggi più che mai ce n’è bisogno, eccome. Nel modo di concepire l’Europa e la partecipazione comunitaria; il diritto al lavoro e dei lavoratori; il diritto alla salute e la compartecipazione economica dei cittadini alle prestazioni; l’imposizione fiscale, quale strumento per colpire, per esempio, i grandi patrimoni a salvaguardia delle povertà e dei servizi che ad essa si devono. Non potendo restituire alla collettività quegli esponenti della politica di ieri (a cominciare da Berlinguer), è necessario che si dia ad essa la speranza di credere e di lottare.
Ripristiniamo la differenza sostanziale tra meritocrazia e familismo. Una terra senza che i meriti prevalgano sulle parentele, che la ca- pacità domini sulle protezioni clientelari, è destinata al default. La Calabria è sulla strada giusta per chiudere i battenti alla democrazia partecipata. Qui tutto passa solo che lo vogliano i maggiorenti della politica, spesso rappresentanti immeritevoli della gente perbene, divenuta “schiava” per bisogno e per difetto di lotta democratica. Ragioniamo e costruiamo differenziando le guardie dai ladri. ’Ndrangheta, corruzione dilagante, ruberie a sistema, posti di lavoro elargiti in cambio di qualcosa ovvero riservati ai figli di papà potenti sono gli elementi che caratterizzano la civiltà regionale (e non solo di oggi). Da qui, la necessità di distinguere chi ruba la dignità, le economie e i credo, da chi subisce l’aggressione violenta perché non ha altro cui potere ricorrere.
Su tutto, consegniamo il futuro ai diretti interessati, ai legittimi ti- tolari: ai giovani. Il cambiamento può rendersi possibile solo consegnando il timone alle nuove generazioni calabresi che – fatta salva qualche eccezione (Scalzo e Speranza, docent) – sono state impedite nell’esprimersi. Del resto, l’esperienza di questi anni dimostra che tutte le rappresentanze (fatta salva qualche rara eccezione che riesce a distinguersi nei lavori parlamentari e nei consessi regionali) vanno archiviate, solo che si voglia “prendere la parola” nelle sedi istituzionali senza dare adito ad ilarità. Solo che si voglia mettere a produzione una non comune capacità elaborativa, indispensabile per legiferare (un compito fin qui svolto con i piedi, Consulta docet), per gestire le risorse e soprattutto per programmare. Un compito, quest’ultimo, riconosciuto inesistente in lungo e in largo.
I giovani capaci ci sono. Prima regola: non farli scappare via. Seconda: chiamarli in soccorso.

Docente Unical

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