Il tessuto produttivo calabrese sta affrontando una delle fasi più dure della sua storia. Le imprese diminuiscono e non di poco. Solo quest’anno si è registrato un saldo negativo tra iscrizioni e cessazioni. Ben 133 le imprese che hanno chiuso i battenti. Il dato è venuto fuori dal rapporto sull’economia del territorio calabrese, curato dall’Unione regionale delle Camere di commercio. Sono in crisi, naturalmente, i settori trainanti dell’economia:l’artigianato e l’agricoltura. Il prodotto interno lordo segna un decremento dell’1, per cento. Le esportazioni languono, arrivano all’uno per cento del Pil. Ma c’è di più. Le famiglie calabresi dispongono di un reddito pro-capite inferiore alla media nazionale di oltre il 25 per cento. Ciò comporta che se altrove un cittadino ha un reddito di mille euro, in Calabria lo ha di soli settecentocinquanta. Non sono bruscolini. A causa del minor reddito e, quindi, del minor potere d’acquisto, diminuiscono anche i consumi dei calabresi di un buon 2 per cento. E la disoccupazione? C’è da piangere, perché il tasso di chi non ha o, meglio, ha perso il lavoro – in generale – è del 12,7 per cento, mentre, tra i giovani, la disoccupazione sfiora il 30 per cento. E coloro i quali hanno un titolo di studio superiore, cioè la laurea? Piangono con un occhio: su cento laureati, dieci non hanno lavoro, un dato, questo, che corrisponde al doppio della media italiana. Di contro qualche segnale, seppure timido, di ripresa sembra esserci. Crescono le imprese femminili, i giovani hanno cominciato, sia pure tardi, ad abbandonare l’idea del posto fisso, è presente un piccolo numero di imprenditori stranieri, le cooperative non affondano, anzi resistono, sia pure con un tasso di crescita inferiore all’uno per cento. C’è, dunque, di che preoccuparsi e soprattutto di occuparsi perché la ruota giri, o almeno cominci a girare, se le Camere di commercio delle cinque province non hanno voluto o, meglio, non hanno potuto tacere l’andamento negativo dell’economia calabra. La guerra è guerra, si diceva un tempo, sia pure per altri motivi, quando bisognava accontentarsi di qualcosa. Ed in questo caso, la crisi è crisi. In America, in Europa, in Italia e, di conseguenza, in Calabria, sempre l’ultima ruota del carro, il fanalino di coda di ogni graduatoria, di ogni analisi, di ogni rapporto.
Ricette? Dagli esperti che guidano gli enti camerali, giustamente, non potevano mancare. Lucio Dattola, che guida, pro-tempore, l’Unione regionale, si è detto del parere che «occorrano interventi cantierabili nell’immediato che siano capaci di attrarre investimenti e rilanciare i consumi, l’offerta formativa dei giovani deve adattarsi alle esigenze del mercato». Come dire che le università ed i centri di ricerca avanzata – lo ha sempre sostenuto l’attuale capogruppo del Pd alla Regione, Sandro Principe, quando ha guidato per due anni l’assessorato regionale alla cultura non vanno lasciati alla deriva, non vanno trattati come le aziende ospedaliere, in mano alla scure dei tagli indiscriminati, ma devono coinvolgere i giovani e generare con l’ innovazione, la capacità di essere credibili ed assorbibili dal mercato nazionale ed europeo, se quello calabrese è costretto a languire, chissà per quanto tempo ancora. In concreto il presidente dell’Unioncamere si è pronunciato affinché, una volta per tutte, si arrivi alla semplificazione di leggi e procedure, al finanziamento delle imprese in difficoltà non negando l’accesso al credito (è sperabile che l’accordo Carime-Fincalabra, con 200 milioni per le piccole e medie imprese, raggiunga l’obiettivo), investimenti concreti sulla cultura, non politiche di annuncio.
Di chi, per il rapporto di Unioncamere, la responsabilità? Della classe politica, ovvio. Che avrà pure difficoltà, visto l’attuale momento di “quasi default”, ma, di fatto, non ha concorso, né prima né oggi, alla sempre auspicata svolta. «Le forze della speculazione, scriveva Eugenio Scalfari giorni fa, hanno forza finanziaria, ma non imbattibile. Le banche nazionali hanno in mano i cosiddetti “fondamentali”, tra i quali, per lo sviluppo del reddito, primeggiano gli investimenti, la produttività del sistema e l’occupazione». Come se avesse letto il rapporto Unioncamere Calabria, Scalfari.
E` chiaro però che non ci si debba cullare sugli allori, se dai presidenti delle Camere di commercio è venuto il pressante invito alla Regione a «creare le condizioni interne ed esterne funzionali al rafforzamento della posizione internazionale della Calabria nel Mediterraneo, valorizzando l’industria culturale,l’offerta turistica, il settore agroalimentare, l’artigianato». E’ la prima volta che viene ad alta voce questa richiesta? O si sono sprecati voci e quintali di toner? Ma a chi si parla, se poi, come ha rilevato l’”estremista” Dattola, «occorrono politiche di sostegno per le imprese che soffrono di carenze strutturali, manageriali (altro punto dolente!) e di facilitazione di accesso al credito?». Al governo e soprattutto alla Regione, evidentemente, che, attraverso l’assessore Antonio Caridi, ha ritenuto “estremamente significative le risultanze del Forum, confermando che esistono elementi di forti criticità, anche se si dovrà puntare sulle “secolari” potenzialità. Sempre per la maggioranza, per il parlamentare Pino Galati, sono «indispensabili politiche di lunga gittata». Per l’opposizione, gli esponenti del PD, Maiolo , Oliverio e Battaglia, criticando la giunta regionale, hanno voluto parlare di una triste ed amara realtà in fallimento, a rischio chiusura. Anche l’annuale rapporto di Bankitalia ha parlato di economia calabrese in stagnazione. Con un’aggravante. Se nel 2011, il 53 per cento delle imprese ha registrato un calo, quest’anno è previsto un peggioramento. «In Calabria viene raccolto il risparmio, ma gli impieghi sono eccessivamente ridotti». Noi diciamo, dirottati. E’ meglio.
* Giornalista
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