Nonostante la recessione, la crisi, la mancanza di liquidità, la riduzione dei consumi e la disoccupazione, c’è un’attività imprenditoriale che prosegue, senza problemi, a svolgere, anzi a incrementare, la propria attività sul piano nazionale e internazionale. I suoi profitti aumentano, in proporzione al fatturato e all’ampliamento del mercato di consumo dei prodotti oggetto del suo commercio. Non ne parla nessuno, né la Confindustria, né il governo, la sua attività non incide sul Pil nazionale e le statistiche la ignorano totalmente. Di che si tratta? Del traffico internazionale di droga, si tratta, della più grande multinazionale che esista sulla Terra, della quale la `ndrangheta è uno dei più importanti azionisti. Ne detiene quote di maggioranza, che incrementa con regolarità come i suoi dividendi, accuratamente investiti in ogni parte del mondo. Ne abbiamo già parlato, più volte anche, ma l’argomento non ha perso attualità. Tutt’altro.
Il 7 giugno scorso la guardia di finanza sequestrava nel porto di Gioia Tauro 300 chili di cocaina pura. Lo stupefacente era nascosto in tre container, partiti dal Sudamerica a bordo del mercantile “Msc Poh Lin”, che dopo il transito nello scalo calabrese erano diretti al Nord. Per la precisione, la droga era occultata all’interno di un carico di merci varie (scarti di alluminio, prodotti alimentari e legumi), destinato ad aziende del Nord-Italia. L’ammontare della cocaina sequestrata portava a 673 kg le quantità sequestrate nel porto di Gioia Tauro, che si aggiungono ai 1.100 kg sequestrati nel corso del 2011. Sembrava finita qui e invece, sorpresa, il giorno dopo, nello stesso porto, si aggiungeva il rinvenimento e sequestro di altri 630 kg di cocaina, occultata con le medesime modalità, tanto da superare le due tonnellate e 400 kg complessivi di droga sequestrata. Le indagini, così riferiscono le agenzie di stampa, proseguono per individuare e arrestare i responsabili del traffico. Sapremo in seguito se davvero si arriverà a raggiungere l’obiettivo, ma intanto registriamo come, nell’arco di meno di un anno e mezzo, dal solo porto di Gioia Tauro sarebbe entrato in Italia questo enorme quantitativo di cocaina destinato al consumo. Poiché, secondo le statistiche, le percentuali di droga sequestrate ammontano a circa il 5-10% di quella trafficata, si può concludere che circa duecento tonnellate di cocaina, nel medesimo periodo, sono state importate, acquistate e consumate, sul nostro territorio.
Non è finita qui. Magari. A titolo meramente esemplificativo, citerò alcune recenti operazioni relative a traffici di droga, eseguite a Roma, Milano e Reggio Calabria, che evidenziano anch’esse la attuale operatività dei trafficanti, il volume presumibile delle quantità trafficate, l’ampiezza dei coinvolgimenti e degli interessi coinvolti. Il 16 maggio di quest’anno il gip di Roma emetteva misura di custodia cautelare nei confronti di circa trenta indagati, facenti capo ad esponenti della famiglia Pelle di San Luca, per le attività di importazione di svariate quantità di cocaina, protrattesi per circa un anno, destinate al mercato di Roma e Milano, oltre che a quello calabrese.
Sicuramente di maggio rilievo le due operazioni concluse dalla DDA di Milano nel mese di giugno. La prima, che ha portato alla cattura di trenta indagati, di cui sette in Italia, gli altri tra Bulgaria, Spagna, Olanda, Slovenia, Romania,, Croazia, Finlandia e Georgia, conclude l’operazione Magna Charta, iniziata nel 2005, che riguardava un vasto traffico di cocaina dal Sudamerica all’Europa. Avviata dal Ros dei Carabinieri di Torino, l’indagine si occupava inizialmente di traffici riferiti ad esponenti della ‘ndrangheta di Rosarno, che portava in breve ad accertare coinvolgimenti e partecipazioni di numerosi esponenti della criminalità bulgara in contatto con trafficanti peruviani, argentini, boliviani, oltre che con italiani, per introdurre in Olanda, Spagna, Germania, Italia ingenti quantità di cocaina. Di questa indagine si mettono in rilievo le quantità sequestrate, oltre sei tonnellate, che sarebbero state circa dieci se una fuga di notizie dovuta ad un ex magistrato bulgaro, non avesse messo in guardia i trafficanti, oltre somme ammontanti a circa dieci milioni di euro. La base operativa era a Milano, ma la maggior parte del traffico avveniva attraverso velieri e motonavi, che portavano la droga nelle isole Baleari o a Madeira, per poi smistarla in vari Paesi europei. L’operazione è da segnalare, oltre che per le enormi quantità trasportate, anche e soprattutto per l’ingresso, da protagonisti in questo genere di mercato globale, di esponenti di primissimo piano della mafia bulgara, i quali sono riusciti a creare una rete europea autonoma e stabile, in grado di rifornire di cocaina i consumatori di alcuni grandi Paesi europei.
Ancora a Milano, che si conferma il centro di smistamento e di consumo più importante d’Europa, una nuova operazione, su indagini condotte dai carabinieri del Nucleo investigativo di quella città, consentiva la cattura di 22 indagati per traffico di cocaina, riguardante l’importazione di quintali di droga, acquistata da narcos ecuadoriani e albanesi e destinata al consumo della città. La circostanza che una parte della cocaina fosse portata e venduta all’interno della struttura Mediaset serve solo a comprendere l’ampiezza della domanda (della fame, sarebbe meglio dire) di cocaina esistente in quella città, tanto che i trafficanti dichiarano di fare fatica a trovare i fornitori per soddisfarla tutta e bene.
Affidiamoci alle statistiche ufficiali, anche se generalmente tendono a sottostimare le cifre di produzione e consumo. Secondo il rapporto Unodoc (Ufficio sulle Droghe e il Crimine delle Nazioni Unite), circa 230 milioni di persone (tra i 15 e i 64 anni), pari al 5% della popolazione mondiale hanno fatto uso di stupefacenti. Di questi 27 milioni, circa lo 0,6%, sono tossicodipendenti dall’eroina – riaffacciatasi prepotentemente sul mercato dopo 40 anni – e dalla cocaina. I decessi per droga sarebbero 200mila. Nella prefazione si legge che le droghe illecite minano lo sviluppo economico e sociale e alimentano criminalità, instabilità, insicurezza e la diffusione dell’hiv. Cresce in maniera esponenziale il consumo delle droghe sintetiche. L’Europa si conferma uno dei maggiori mercati di consumo per la cocaina.
Secondo il rapporto 2011 della Dcsa (Direzione Centrale Servizi antidroga), la ‘ndrangheta calabrese detiene il controllo dell’80% della cocaina destinata all’Europa, e se si considera che solo nel 2011 sono state sequestrate circa 40 tonnellate di stupefacenti di vario genere, si avrà un’idea di quanto siano ingenti i profitti derivanti dal traffico.
Prosegue il rapporto: «Secondo un masterplan della fine del Duemila, infatti, le porta container provenienti dall’Asia e dirette ai porti del Nord Europa (Rotterdam, Amburgo, Anversa) troverebbero conveniente, sia in termini di tempo che di costi, scaricare le merci a Gioia Tauro e da qui, lungo il corridoio ferroviario, proseguire verso il Nord Europa, per essere ricaricate su porta container destinate al porto di New York, hub di tutto il Nord America e del Messico. Sicuramente l’evolversi di un tale scenario accrescerebbe ancor di più la pericolosità della ‘ndrangheta, la quale già dispone di stabili referenti sia nei Paesi produttori che in quelli di transito della cocaina. I trafficanti internazionali preferiscono trattare con la ‘ndrangheta perché la sua peculiare struttura, fortemente incentrata sui rapporti di parentela e di comparaggio, la rende meno vulnerabile ad eventuali delazioni o pentimenti e quindi maggiormente affidabile».
Possiamo passare alle conclusioni. Risulta evidente come la domanda di droga, proveniente dalla società civile, non solo indebolisce sino a rendere vana l’azione di contrasto al traffico, ma finisce con il legittimarlo, in quanto rispondente ad esigenze diffuse e ampiamente tollerate dal costume e dalla morale comune. Né le age
nzie etiche e religiose del nostro Paese appaiono particolarmente impegnate su questo fronte.
Quello che stupisce di più è la totale indifferenza ai dati che abbiamo presentato, succintamente, nelle righe precedenti. Tranne qualche isolata inchiesta giornalistica, i grandi mezzi di informazione ignorano volutamente il problema e preferiscono parlare d’altro. Altrettanto fa la politica. D’altra parte se l’opinione pubblica è indifferente perché sollevare problemi che forse si sa di non potere risolvere? Meglio rinviare e per il momento tacere. L’inerzia tuttavia non è mai servita a risolvere nulla, ha sempre aggravato la situazione e ha reso le soluzioni più difficili e complicate. Non c’è una forza politica, dicasi una, che abbia un’idea, che proponga un dibattito, che formuli una proposta, che insomma si faccia carico di un problema che riguarda l’economia, la vita, della nostra società oltre che le sorti stesse della nostra democrazia. Quando i profitti dei traffici di droga assumerannono un’importanza tale da essere decisivi per gli equilibri economici del Paese, allora davvero c’è il rischio di mutamento in stato-mafia, come ho ricordato qualche settimana fa.
Quando Elio Ciolini parla della riunione tenuta a Zagabria, nell’autunno del 1991, quella che avrebbe programmato, le stragi del 1992, indica, tra i partecipanti, anche rappresentanti dei trafficanti di cocaina. Quel passaggio merita approfondimento, se non sul piano giudiziario, almeno sotto quello storico. Perché i trafficanti di droga avevano interesse a occuparsi del futuro politico del nostro Paese, perché avrebbero dovuto avviare in Italia una nuova strategia della tensione? Quali obiettivi si prefiggevano da un cambiamento dei referenti politici? E quale era allora l’oggetto completo della trattativa? Solo gli interventi sull’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario? O c’era altro, che riguarda più da vicino il tema della nostra odierna riflessione? Probabilmente non lo sapremo mai, ma intanto ci godiamo (si fa per dire) la nostra narco-economia.
* Magistrato
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