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Quel favore a Cosa nostra: l`omicidio Scopelliti e il ruolo della `ndrangheta

Ci sono cose che non risultano agli atti di nessun processo. Sguardi e mezze parole che dicono più di cento faldoni. È questa la sensazione che, nel marzo 1993, i magistrati Alberto Cisterna ed Enz…

Pubblicato il: 14/07/2012 – 13:40
Quel favore a Cosa nostra: l`omicidio Scopelliti e il ruolo della `ndrangheta

Ci sono cose che non risultano agli atti di nessun processo. Sguardi e mezze parole che dicono più di cento faldoni. È questa la sensazione che, nel marzo 1993, i magistrati Alberto Cisterna ed Enzo Macrì avevano avuto fissando gli occhi del boss Nino Imerti, condelliano di ferro, cognato del “Supremo”, tuttora padrone incontrastato del comprensorio di Villa San Giovanni dove ricade il luogo in cui, nel 1991, è stato ucciso il giudice Antonino Scopelliti.
Perché è stato ammazzato? «Dottore, in quel momento, ero latitante. Mi sono chiesto chi è stato. Ho domandato agli altri che, invece, volevano saperlo da me».
Processi celebrati e finiti in una bolla di sapone. Presunti esecutori e presunti mandanti, tutti a casa. Imputati arrestati e, a distanza di anni, assolti da quello che per molti è stato definito il primo “attentato allo Stato”, il via alla stagione delle stragi che, dopo due anni, ha toccato il culmine con le mattanze di Capaci e via D`Amelio per poi proseguire con le bombe di Milano, Firenze e Roma.
Ieri come oggi, i collaboratori di giustizia parlano di una “cortesia” della `ndrangheta a Cosa nostra. Un favore del quale il pentito Nino Fiume sta spiegando i dettagli al sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo. Come un quadro di cui non si riesce a percepire i contorni perché custodito in una sporca teca di vetro che, all`improvviso, viene spolverata da chi, quel dipinto, l`ha visto realizzare.
La “cortesia” fatta dai calabresi per Cosa nostra doveva essere solo l`inizio di un percorso da intraprendere con la `ndrangheta. Un percorso di sangue e morti innocenti al quale Giuseppe De Stefano, il giovane erede di don Paolo, era contrario sin dall`inizio pur avendo fatto credere, attraverso il boss Franco Coco Trovato, che tra le file dei calabresi ci fosse anche un fronte possibilista.
Il pentito Nino Fiume, durante il suo interrogatorio nel processo “Meta”, ha riferito di tre riunioni tenute nel 1993 tra i vertici di Cosa nostra e quelli della `ndrangheta che non ha mai abbandonato la strategia del basso profilo.
Ed è proprio questo modo di pensare delle cosche reggine che l`ex killer sintetizza con una sorta di regola imposta dai De Stefano: «Un magistrato da noi si avvicina con amicizia o lo si delegittima».
Palermitani e calabresi si sono incontrati una volta a Milano e due in Calabria, a Rosarno, all`hotel “Vittoria”, e a Parghelia, all`interno del residence “Blue Paradise”.
Il no ai siciliani fu netto ma allo stesso accompagnato da una pacca sulla spalla come per dire: «Andate avanti».  
Appoggiare incondizionatamente la strategia stragista degli uomini di Totò Riina sarebbe stato un passo troppo lungo rispetto alla semplice “cortesia” dell`omicidio del giudice Scopelliti.
«È stato un favore ai palermitani perché Scopelliti aveva in mano l’accusa del maxiprocesso in Cassazione». Nel corso delle due udienze del processo “Meta”, Fiume ha lasciato intendere che è pronto a fare i nomi dei killer e dei «due calabresi» che hanno partecipato all`agguato. Se non ci fossero elementi nuovi rispetto alle verità processuali su un attentato consumato 21 anni fa, non sarebbero state riaperte le indagini dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo.
Le dichiarazioni di Fiume rischiano, adesso, di travolgere un mondo in cui la `ndrangheta non è la sola protagonista.
Reggio trema per quel pentito che, in molti, hanno tentato di delegittimare dall`inizio della sua collaborazione, sottovalutando i segreti che Fiume si porta dietro, da uomo di fiducia di Paolo De Stefano e, poi, da cognato di suo figlio Giuseppe.
I suoi verbali, ancora secretati, stanno facendo tremare un sistema che è compromesso in tutte le sue componenti: `ndrangheta, massoneria, servizi deviati, politica e interi pezzi delle istituzioni.
Per gli inquirenti, la chiave di volta di questo sistema potrebbe rivelarsi proprio l`omicidio del giudice Scopelliti nel quale un ruolo importante l`avrebbe svolto proprio la famiglia di Archi. Le armi dei De Stefano non sono quelle che hanno macchiato la Calabria. Piuttosto quelle che hanno insanguinato l`Italia.
Stragi e omicidi di Stato i cui segreti, in parte, sono custoditi in riva allo Stretto.

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