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"Crimine", depositate le motivazioni Struttura unitaria della `ndrangheta

REGGIO CALABRIA «La `ndrangheta, storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria, ha assunto via via nel tempo ed in un contesto di trasformazione ancora non conc…

Pubblicato il: 21/07/2012 – 10:44
"Crimine", depositate le motivazioni Struttura unitaria della `ndrangheta

REGGIO CALABRIA «La `ndrangheta, storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria, ha assunto via via nel tempo ed in un contesto di trasformazione ancora non concluso, una strutturazione unitaria, tendente a superare il tradizionale frazionamento ed isolamento tra le varie `ndrine». A certificare la nuova organizzazione della criminalità organizzata calabrese è il giudice dell`udienza preliminare di Reggio Calabria, Giuseppe Minutoli, che ha cristallizzato i risultati di anni di indagini nelle 860 pagine di motivazioni della sentenza del processo “Crimine”. Gli atti sono stati depositati nel pomeriggio di ieri, dopo la sentenza che nel marzo scorso ha portato alla condanna di 94 tra boss e gregari. Una sentenza che ha confermato l`assunto della Dda di Reggio Calabria sull`unitarietà della struttura `ndranghetista. Scrive il gup: «L`obiettivo che la Dda si era proposto di raggiungere e che, secondo questo giudice, è stato provato, era quello di delineare la struttura dell`organizzazione nel suo complesso, di individuare gli organi che la compongono e le “norme” che regolano i rapporti al suo interno. Ed è questo, indubbiamente, l`elemento di dirompente novità apportato dalla presente attività di indagine».
«La `ndrangheta – prosegue Minutoli – non può più essere vista in maniera parcellizzata come un insieme di cosche locali, di fatto scoordinate, i cui vertici si riuniscono saltuariamente (pur se a volte periodicamente), ma come un “arcipelago” che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole. L`unitarietà, a differenza di quanto è stato giudizialmente accertato per la mafia siciliana fa pienamente salva la persistente autonomia criminale delle diverse strutture territoriali. Tuttavia (ed è questa la novità del presente processo), l`azione dell` organismo di vertice denominato Crimine o Provincia, la cui esistenza è stata inoppugnabilmente accertata, seppur non sembra intervenire direttamente nella concreta attività criminale gestita in autonomia dai singoli locali di `ndrangheta, svolge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo, innanzitutto attraverso la tutela delle regole basilari dell`organizzazione (una sorta di “Costituzione” criminale), quelle, in definitiva, che caratterizzano la `ndrangheta in quanto tale e ne garantiscono la riconoscibilità nel tempo e nello spazio, anche lontano dalla madrepatria Calabria».

«NESSUNA CONFUSIONE TRA OPPEDISANO E DE STEFANO»
«Nessuna confusione – si legge ancora nelle motivazioni del processo celebrato col rito abbreviato – può essere fatta tra la carica di “Capo Crimine” di Polsi (nel periodo interessato dalle indagini attribuita a Domenico Oppedisano) e la carica di Crimine che si attribuisce a Giuseppe De Stefano nell`ambito della operazione Meta». Non è possibile sovrapporre i due piani, scrive Minutoli, perché la carica a De Stefano (non imputato nel processo “Crimine”) «riguarda esclusivamente il macro-organismo criminale reggino oggetto di Meta e all`interno del quale a De Stefano risulta attribuito il ruolo di responsabile per le attività criminali che agisce all`interno dell`organismo decisionale quale vertice operativo, per aver ricevuto, con l`accordo di tutti i capi-locale, la carica di Crimine». «D`altro canto – aggiunge il gup – non risponde neppure al vero che i nomi di alcune delle storiche “famiglie” `ndranghetistiche emerse nei processi celebrati negli ultimi decenni a Reggio Calabria, come i De Stefano e i Tegano (mandamento città) ed i Piromalli (mandamento tirrenico), non compaiano in questa indagine, che soltanto non ha tra i suoi imputati appartenenti a quelle cosche» per la «non universalità» di questo processo, che non può certo abbracciare l`intero panorama criminale reggino». Passando a tratteggiare la figura dell`ottantenne Domenico Oppedisano, il gup sottolinea che la sua «figura emerge prepotentemente nel corso di tutta l`indagine quale personaggio di assoluto spessore nell`ambito della `ndrangheta che fa capo al cosiddetto Crimine di Polsi. Si tratta di un vecchio “patriarca” che vanta una riguardevole carriera criminale all`interno del sodalizio, per sua stessa ammissione. Certo, Oppedisano non è stato scelto quale Capo Crimine perché più feroce o più blasonato dal punto di vista criminale di altri. È di tutta evidenza dalle plurime intercettazioni che la sua è stata una nomina di compromesso tra molteplici istanze di potere che riguardavano i vari mandamenti storici della `ndrangheta reggina, in esito ad una complessa e defatigante “trattativa”. Ma è altresì vero che non è un mero uomo di paglia, bensì un autentico capo, e da lungo tempo, come emerge senza possibilità di equivoci da tutte le conversazioni in cui risulta essere `ndranghetista ascoltato, stimato (e temuto) anche all`estero, perché di vecchio corso criminale. E la sua nomina ben si giustifica perché Oppedisano appare uomo capace di tentare mediazioni tra gruppi criminali agguerriti e, quindi, di evitare possibili conflitti, sempre in agguato».

LA CITAZIONE DI FALCONE
C`è anche una citazione di Giovanni Falcone nelle motivazioni della sentenza del processo contro il gotha della `ndrangheta scaturito dall`operazione Crimine-Infinito coordinata dalle Dda di Reggio Calabria e Milano che nel luglio 2010 portò all`arresto di oltre 300 persone. «Come ha ben evidenziato in un suo famoso scritto del 1991 un magistrato martire del contrasto statuale alla mafia – scrive il gup Minutoli – quest`ultima “si caratterizza per la sua rapidità nell`adeguare i valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l`uso dell`intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa”. Ha, quindi, aggiunto significativamente che “è necessario distruggere il mito della presunta nuova mafia o, meglio, dobbiamo convincerci che c`è sempre una nuova mafia pronta a soppiantare quella vecchia”».
«La verità – prosegue il gup – è che, come è stato ben evidenziato, non esiste la “vecchia mafia” e la “nuova mafia”. Esiste la mafia, che però è cambiata nel tempo perché si è adattata ai cambiamenti dell`economia e della società in genere. Gli arresti giurisprudenziali passati in giudicato dimostrano che sempre, in una prospettiva diacronica, si è assistito a ricambi generazionali e a una evoluzione di strumenti e modalità di attuazione del programma criminoso, che resta sempre e comunque di estrema pericolosità per le fondamenta dello Stato democratico. Riprendendo questi concetti, perfettamente applicabili al fenomeno `ndrangheta, a giudizio del Tribunale è evidente che non può parlarsi di una `ndrangheta vecchio stile, che si limita a rituali inoffensivi, e di una `ndrangheta militare o che si insinua negli affari o che si dedica al narcotraffico».
»La `ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche – scrive il gup – è quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la globalizzazione del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione ed il suo `valore aggiunto”».

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