Versace: «La disabilità non è una vergogna»

«La disabilità non è una vergogna e lo sport è una terapia». Giusy Versace, la prima atleta italiana donna con amputazione bilaterale che si è qualificata per le Paralimpiadi di Londra nei 100 e 200 metri corsa ha aperto con queste parole il 50/o Laboratorio internazionale della comunicazione, a Gemona(Udine). Quello della Versace è stato un toccante racconto di vita e di sport, il racconto di una giovane donna che il 22 agosto 2005 ha perso le gambe per un incidente stradale, e che oggi è completamente reinserita e, dedicandosi allo sport, ha ottenuto risultati importantissimi. Voglio «arrivare in finale, sono determinata. Lo devo a me stessa e a tutti coloro che mi hanno sostenuta in questo progetto», ha anticipato incontrando studiosi da tutto il mondo. Dopo l`incidente, «volevo solo correre e ho scoperto lo sport come terapia, perché spinge a superare i propri limiti, rafforza l`autostima»; ha ripreso a lavorare nel mondo della moda (membro della famiglia del noto brand), ma lasciando molto spazio per il volontariato e per l`associazione che ha fondato, volta a raccogliere fondi per protesi da donare a chi non può permetterselo. «La fede è stata importantissima in questo percorso – ha affermato – ma determinanti sono state anche le persone che mi sono state accanto». Poi, quando uno studioso afghano le dice che nel suo Paese ci sono almeno centomila donne che hanno subito amputazioni a causa delle mine e che non escono di casa, la Versace dice: «Avrei voluto essere già là per dire di non vergognarsi, di uscire, di riprendersi la vita. Se riuscirò ad organizzarmi, potrei andare da loro».