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L`autunno caldo della giustizia

Dopo un`estate infuocata, anche l`autunno si preannuncia caldo, molto caldo. Non per motivi meteorologici, ma per il ritorno, nel dibattito politico, dei temi della giustizia. Sul fuoco ci sono pro…

Pubblicato il: 06/09/2012 – 18:12
L`autunno caldo della giustizia

Dopo un`estate infuocata, anche l`autunno si preannuncia caldo, molto caldo. Non per motivi meteorologici, ma per il ritorno, nel dibattito politico, dei temi della giustizia. Sul fuoco ci sono problemi insoluti, difficili, sui quali le forze politiche si misurano da tempo, senza riuscire a trovare quel minimo di coesione che consenta di approdare a soluzioni condivise. E c’è anche il pericolo che se si riuscisse, per ipotesi, a trovarle, queste benedette soluzioni condivise, si intonerebbero immediatamente aspre critiche verso i nuovi, vergognosi  inciuci della politica. Gli argomenti sono quelli che più dilaniano le forze politiche, assai più dell’economia e del lavoro. Sono le intercettazioni, le misure anti corruzione, la responsabilità civile dei giudici, l’emergenza carceraria. Non è poco. In altri contesti politici, pensiamo al resto dell’Europa, sarebbero temi di riforma senza risvolti drammatici, ma in Italia è diverso. Il ruolo della giustizia, della magistratura, è l’unico in grado di contenere il malaffare che circonda la vita politica del Paese, di mettere in discussione il controllo della spesa pubblica lungo percorsi guidati verso interessi personali e di gruppo, di disvelare i noti, e nello stesso tempo oscuri, rapporti tra gli interessi politici, quelli economici, quelli criminali. Ecco perché, per riflesso condizionato, quando la magistratura interviene su questi interessi, la reazione è immediata, violenta. I giornali la raccontano come l’ennesimo «scontro che dilania i rapporti tra politica e magistrati», l`Anm reagisce con fermi comunicati di protesta, accompagnati da commenti e interviste da una parte e dall’altra, con reciprochi scambi di polemiche, quando non di invettive. Che, sui temi della giustizia sopra indicati si debba intervenire in sede legislativa è materia opinabile, ma la discussione è legittima. Quello che non appare condivisibile è che per motivare questa ripresa di interesse si debba preliminarmente giustificarla con «i gravi e numerosi abusi» che sarebbero commessi dai magistrati delle procure italiane e dai giudici delle indagini preliminari. È questo ciò che è avvenuto ultimamente da parte di esponenti di governo, dai quali tuttavia è legittimo chiedere di indicare, anche a titolo di esempio, quali siano i gravi abusi commessi in materia di intercettazioni (perché è di questo che si parla in questo momento). Accennare ripetutamente all’esistenza di abusi senza mai specificare a cosa si alluda è ingiusto e scorretto, e serve solo a delegittimare l’operato della magistratura per poi limitarne i poteri e le attribuzioni. Se poi il riferimento è alla nota questione delle intercettazioni indirette delle conversazioni del presidente della repubblica con Nicola Mancino, vi è un motivo di più per definirlo improprio. Due grandi giuristi come Franco Cordero e Gustavo Zagrebelski (e, mi sia consentito, assai meno autorevolmente anche chi scrive,  in un intervento apparso su questo giornale) hanno dimostrato, sulle pagine di Repubblica, come l’attuale assetto normativo non consentisse alla Procura di Palermo di distruggere le conversazioni di cui sopra, toccando questo compito, per legge, esclusivamente al giudice, nel contraddittorio tra le parti. Nel vuoto normativo possono proporsi diverse soluzioni interpretative e tra queste sarà la Corte costituzionale, in sede di decisione sul conflitto di attribuzione sollevato dal Capo dello Stato, a decidere e, nell’attesa, non è corretto formulare valutazioni di scorrettezza o peggio di abuso. Non si tratterà di una decisione semplice, perché i margini di una sentenza interpretativa sono assai più ristretti di quando la Corte decide su una eccezione di incostituzionalità di una norma di legge. In questo caso infatti dovrà stabilire se il normale iter processuale seguito dalla Procura di Palermo,  previsto erga omnes, sia applicabile o meno al Capo dello Stato o, in caso contrario, quale  soluzione alternativa possa fondarsi sulla base del sistema costituzionale e legislativo vigente. Sarà una interessante materia di studio (e di polemica) tra costituzionalisti, con riflessi politici di non poco rilievo,  sulla quale tornerò anch’io a parlarvi. Per il momento torniamo ad occuparci della tanto vituperata magistratura.
Analogo, infatti,  è il caso delle polemiche sollevate contro il provvedimento del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, la quale  per avere emesso un provvedimento di sequestro dello stabilimento Ilva (confermato dal Tribunale del riesame), è stata immediatamente oggetto delle consuete insolenze giornalistiche e  inserita di ufficio nel club delle toghe rosse, reazione tanto scontata quanto priva di originalità. L’ipotesi di un (nuovo) conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, preannunciata con raro sprezzo del pericolo da un esponente di governo, peraltro affermato giurista, a prescindere dalla sua palese  inammissibilità (tanto da essere ritirata dopo qualche giorno), dimostra come emerga sovente l’insofferenza nei confronti dell’intervento giudiziario e la tentazione di neutralizzarlo con forzature istituzionali e non con il rispetto delle regole processuali. Eppure l’intervento giudiziario sull`Ilva si è dimostrato non solo corretto, ma doveroso e non più rinviabile al fine di evitare che l’attività dell’impianto potesse aggravare o comunque protrarre le conseguenze del reato (il disastro ambientale). Si è in presenza di problemi, essi sì gravissimi, che riguardano la salute dei cittadini, la tutela  ambientale, dei posti di lavoro, l’interesse della produzione industriale, tutti di rilievo costituzionale, tutti bisognosi di tutela, purché nel rispetto della legalità, di cui la funzione giurisdizionale è presidio obbligatorio e imprescindibile.

* Magistrato

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