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Sette anni fa veniva ucciso Franco Fortugno

LOCRI Sono passati sette anni dall’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale calabrese Franco Fortugno, avvenuto a Locri il 16 ottobre del 2005. Un anniversario che ricorda lo strapotere …

Pubblicato il: 16/10/2012 – 13:21
Sette anni fa veniva ucciso Franco Fortugno

LOCRI Sono passati sette anni dall’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale calabrese Franco Fortugno, avvenuto a Locri il 16 ottobre del 2005. Un anniversario che ricorda lo strapotere della ‘ndrangheta e le sue ingerenze nella vita democratica calabrese. Un delitto eccellente, consumato in modo efferato, quello avvenuto a Palazzo Nieddu, mentre si stavano celebrando le primarie per la scelta del candidato premier del centrosinistra. Chiara la scelta degli assassini di dare maggiore eco possibile a un agguato che, in ogni caso, getterà una luce vivida sulla Calabria e le sue perversioni, sugli intrecci tra Stato e antistato, sul bacio mortale tra istituzioni e interessi occulti. La morte di Fortugno ha comunque risvegliato una nuova coscienza civile, stimolando al contempo un inedito interesse istituzionale nei confronti di una regione reietta, storicamente abbandonata al suo destino.
Per l’omicidio dell’ex vicepresidente del Consiglio, la Cassazione ha confermato l`ergastolo per Salvatore Ritorto, Domenico Audino e Giuseppe Marcianò, figlio di Alessandro. Per quest’ultimo, invece, la Suprema Corte ha stabilito l’annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado del processo. L’ex caposala dell’ospedale di Locri, soprannominato “Celentano”, adesso è libero, in attesa del nuovo grado di giudizio.
La decisione della Cassazione di riscrivere la sentenza avvalora la tesi, sostenuta sempre dalla famiglia di Fortugno, di un omicidio di stampo mafioso, nei confronti del quale l`attività investigativa avrebbe forse dovuto essere più incisiva.
Non può non suscitare dubbi l’ipotesi che Marcianò abbia potuto organizzare da solo un delitto di questo tipo, destinato a creare un incontrollabile putiferio giudiziario e mediatico. Difficile credere che la ‘ndrangheta non abbia dato il suo imprimatur finale. Fortugno, nei mesi precedenti alla morte, aveva denunciato ripetutamente la cattiva gestione della sanità. Era diventato un personaggio scomodo, soprattutto per le cosche e i loro affari.
È vero, alle elezioni regionali del 2005, Alessandro e Giuseppe Marcianò avevano appoggiato la candidatura di Mimmo Crea, condannato a 11 anni di reclusione nell’ambito dell’inchiesta “Onorata società”. Fortugno era stato eletto a Palazzo Campanella, Crea no. Numerose intercettazioni telefoniche dimostrano il risentimento dei due Marcianò nei confronti del politico ucciso a Palazzo Nieddu.
Dopo gli arresti, la svolta alle indagini è stata impressa dalla decisione di Domenico Novella e Bruno Piccolo (quest’ultimo morto suicida) a collaborare con la giustizia. Le loro dichiarazioni si sono rivelate fondamentali per supportare l’impianto accusatorio della Dda di Reggio Calabria. Sono stati loro a raccontare i pedinamenti a cui era stato sottoposto il vicepresidente del consiglio regionale. E sono stati sempre loro a indicare Salvatore Ritorto come il killer che, accompagnato da Domenico Audino, ha fatto fuoco contro Fortugno, colpito mentre si trovava assieme ad alcuni amici all’ingresso del seggio elettorale. La Cassazione ha confermato la colpevolezza di Ritorto, Audino e Giuseppe Marcianò. Resta da chiarire la posizione di Alessandro “Celentano” Marcianò. Restano da chiarire le reali motivazioni di un omicidio eccellente, di quelli a cui la ‘ndrangheta non aveva abituato. Un delitto in seguito al quale la Calabria non sarà più la stessa.

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