Mi ha colpito una notizia che ho appreso da Mimmo Locasciulli nel corso di una recentissima trasmissione televisiva. In Giappone, si sciopera mettendo sul braccio dei lavoratori una fascia grigia, i quali però si recano regolarmente al lavoro. Tali scioperi, per come riferito dal noto cantautore italiano e per come ho avuto modo di approfondire, pur essendo silenziosi e non affatto lesivi della produttività, sono molto temuti dal governo nipponico. Ciò perché evidenziano di solito una protesta molto affollata, di circa un milione di lavoratori (tali sono le più recenti astensioni), contro le politiche governative. Una protesta che si traduce in voto!
Tutto questo accade perché – nei Paesi ove l’espressione del voto è naturalmente considerata come il rating che la società civile assegna alla politica che governa – è dalle condivisioni o dalle insoddisfazioni sociali che essa viene promossa o bocciata. I promossi ottengono così l’ok per continuare. Ai bocciati viene refertato il passaporto per sparire dalla scena politica.
Ben lungi da me proporre modalità di sciopero diverse da quelle in uso nel nostro Paese – che hanno prodotto tanto in termini di riconoscimento dei diritti dei lavoratori da non potere essere messe in discussione in alcun modo – salvo tuttavia ripensare le cause che alcune volte lo determinano.
Ciò che vorrei invece puntualizzare, prendendo a riferimento l’esempio, è la irresponsabilità con la quale il nostro elettorato domestico affronta i percorsi, meglio gli appuntamenti elettorali a tutti i livelli. I problemi che emergono si riferiscono all’interpretazione privata del voto e ai doveri della politica. Quanto all’interpretazione privata, essa è figlia delle brutte abitudini di attribuire all’espressione del voto il valore di corrispettivo. Quasi il prezzo che ciascuno è disposto a pagare l’indebito, ma anche spesso il dovuto da una società che, rispettivamente, contraccambia con facilità chi non ha titolo e a fatica attribuisce ai meritevoli. Quanto ai doveri della politica, essa li disconosce a tal punto da avere smarrito le caratteristiche che l’hanno sempre distinta. Un problema alquanto complesso perché investe la loro vita interna e le scelte che dovrebbero caratterizzarla nell’impegno di soddisfare l’interesse del Paese e dei cittadini. Ebbene, a fronte di tutto questo accadono delle cose stranissime. Esempi.
Nella vita interna si scontrano gli squadroni e si mettono in campo i numeri prepotenti, quelli che sono detenuti dagli apparati.
Nel Partito Democratico si litiga in casa. Si contende tra chi pretende il ricambio di chi ha perso e chi è espressione dell’usato, bravo da sempre nella spartizione dell’esercizio del potere. Di conseguenza, si è andati alle primarie con gli eserciti dei decrepiti della politica. Con i soliti plotoni di chi è riconoscente “per grazia ricevuta”. Con quelli (quasi rinnovati Luigi XV) che, attraverso un linguaggio rococò, predicano diversamente da ciò che fanno, pretendendo assoluzioni politiche al pari di come, giustamente, hanno conseguito quelle giudiziarie. Il rinnovamento, quello che ci sarebbe voluto, è tutt’altro!
Nel centrodestra di peggio. Ci si unisce nelle idee del ringiovanimento delle rappresentanze. Ci si divide sino a sciogliersi in modo teleguidato da chi del telecomando se ne intende. L’affare è affare. Nel suo segno, ci si rinnova, supponendo di poterlo fare con qualche lifting in più e con qualche amazzone in meno.
Intanto, i giovani, sia da una parte che dall’altra, si allontanano dalla vita democratica, tra spesso immeritate manganellate fisiche ed egoismi economici che sottraggono loro ogni futuro.
Ad entrambi gli schieramenti, ovviamente allargati alle altre coalizioni competitor alle prossime elezioni, l’ineludibile compito di ringiovanire i loro ranghi senili e di infortirli dei migliori giovani. Ove mai si dovesse pensare ai vecchi, occorrerebbe farvi ricorso solo se ne vale la pena. In una tale logica, nel senso di volere mostrare una loro utilità, sarà difficile giustificare ogni concessione di deroga in favore di chi è stato primario (co)artefice, al maschile e al femminile, degli insuccessi che hanno ridotto il Paese all’irriconoscibile e i cittadini alla disperazione.
Ben vengano, dunque, i ringiovanimenti da individuare tra i sindaci che ci sono; tra quelli che ci sono stati e tra quelli che non ci sono riusciti per le malefatte degli altri; tra chi ha dato buona prova nelle istituzioni (ma anche fuori), peraltro in zone ad alto disagio mafioso. Ma anche tra i semplici ranghi dei giovani promettenti, impegnati per passione e senso solidaristico nei diversi consigli comunali. Quei “prodigi” di onestà che ci sono a destra, a sinistra e tra i sempre moderati.
Insomma, si rende necessaria l’individuazione dei soggetti capaci indispensabili per modificare le cose unitamente a quelli che rimarranno per meriti dimostrati (tre o quattro pluripartisan ci sono!).
Occorre però sostituire (e sono tanti) quelli “scaduti”, da ritenersi non più “consumabili” pena la messa in pericolo della “salute pubblica” e la messa da parte dell’intelligenza comune.
Altrimenti, ben venga Grillo, con il suo esercito naif, che devo dire non mi ha però entusiasmato granché. Meglio Crozza!
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