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E il caudillo Peppe rimase "vittima" delle cifre

REGGIO CALABRIA L’attesa era vibrante negli attimi precedenti all’arrivo del capo, il condottiero coraggioso capace di rinvigorire animi fiaccati e di indicare nuovi orizzonti per la città di Reggi…

Pubblicato il: 17/01/2013 – 22:25
E il caudillo Peppe rimase "vittima" delle cifre

REGGIO CALABRIA L’attesa era vibrante negli attimi precedenti all’arrivo del capo, il condottiero coraggioso capace di rinvigorire animi fiaccati e di indicare nuovi orizzonti per la città di Reggio, malgrado lo scioglimento del consiglio per contiguità con la ‘ndrangheta, malgrado lo spettro del dissesto finanziario. Non lo ammetteranno mai, probabilmente, ma le centinaia di persone accorse a Palazzo Campanella per ascoltare il governatore Scopelliti  – tra fan, sostenitori agguerriti, fedelissimi, militanti, portaborse, membri storici di rodate claque, politici locali, consiglieri regionali, pidielline in tiro, parlamentari sfiancati dalle trasferte e normali cittadini –, saranno rimaste deluse dalla performance del loro lider maximo, alle prese con un compito arduo: dimostrare che quanto detto e scritto negli ultimi anni sugli sfaceli contabili (quelli legati alla ingerenze della criminalità organizzata non sono stati sfiorati, ma rinviati ad altra sede) sono falsità, millanterie delle solite lobby, nefandezze comunicative orchestrate da gruppi di potere asfissianti e fermamente decisi a ostacolare il cambiamento in atto.
La sala “Calipari” del consiglio regionale è tutto un fremito, il clima è da redde rationem epocale. Ad alimentare speranze mai sopite di riscossa è l’incipit dell’evento, affidato a un videoclip accompagnato da musiche da kolossal, come a significare lo sforzo titanico dei dieci anni di scopellitismo in riva allo Stretto. Immagini di opere in rapida sequenza. Le piazze ristrutturate (Italia, Orange, Carmine, Castello); l’ex 208 riportato a nuova vita; il tapis roulant; il Palazzo di giustizia (ancora fermo al palo); il teatro “Cilea”; la Pinacoteca civica. E poi gli eventi, come le notti bianche, il grand prix di volley, l’arrivo di Rtl ad allietare le notti reggine.
Sono il bilancio iconografico di una gestione politica che pretende di essere riconosciuta come rivoluzionaria. L’effetto è immediato. Brodo di giuggiole per gli astanti in sala. Manca solo lui, che si fa attendere come una consumata rockstar. Tutti aspettano il one man show del caudillo Peppe, nella convinzione che l’immagine, la comunicazione (la sortita di Berlusconi a Servizio pubblico insegna) possa trionfare sulla sostanza, travalicare infine verità e contenuti di un’esperienza di governo falcidiata da innumerevoli insuccessi con la personificazione della politica, attraverso pratiche imbonitorie utili a zittire i dissidenti e rinserrare le fila alla vigilia delle prossime elezioni. 
Solo che al posto del solito commander in chief, la platea si è trovata di fronte un governatore fiaccato nello spirito, incapace di scaldare i cuori di quello che comunque era e rimane il suo popolo: il centrodestra duro e puro, quello che malgrado scandali, processi e mannaie ministeriali continua a credere negli ideali incarnati da Scopelliti e dalla sua classe dirigente. “Ora parlo io”, recitava il titolo dell’evento. E l’ex sindaco ha parlato, senza la consueta veemenza, il consolidato slancio, con l’eloquio inevitabilmente incartato da numeri e dati. O meglio, da cifre da impallidire. Ci vuole calma per spiegare l’origine di 679 milioni di euro di residui passivi («somme relative a investimenti», spiega), cautela per argomentare con efficacia il perché di quei 118 milioni di disavanzo (che «non sono frutto di malagestione», aggiunge, ma rispecchiano «gli stessi problemi che hanno tutti i Comuni d’Italia»). I “Peppe boys” annuiscono tra il convinto e il confuso; i big di partito e delle istituzioni in prima fila accompagnano visibilmente col capo. La folla dietro per il momento rimane fredda, in ascolto. Ce la farà a giustificare queste cifre? E come? Gli sguardi interlocutori del pubblico non lasciano spazio ad altre interpretazioni. Forza Peppe, puoi fare di più – pensano tutti un po’ delusi.
Superata la fase critica, quella relativa ai nodi contabili che rischiano di trascinare Palazzo San Giorgio verso il default, Scopelliti riprende slancio, ritrova l’abbrivio e la sicurezza di un tempo. È la requisitoria il suo pezzo forte. Le accuse alla sua esperienza e a quella del successore Arena? «Azioni costruite, mirate, tese a convincere i cittadini che gli otto anni del “Modello Reggio”…». Una parentesi, una frase lasciata a metà, e l’applauso muore sul nascere. Ma l’azione dei “congiurati”, dei “nemici” è stata in ogni caso «devastante», condotta da chi «ogni giorno parlava dei conti del Comune. Forse qualcuno aveva paura della città metropolitana, o che Reggio potesse crescere ancora di più». A poco a poco, ecco che ritorna la consolidata dialettica dell’ex sindaco e governatore. Adesso il battimani è più deciso, Scopelliti si galvanizza e attacca: «Non ho mai visto questa ferocia, questa cattiveria, quest’odio nei confronti di altri amministratori». E di chi è la responsabilità di una simile situazione? Dei «fucilatori», dei «vigliacchi». Dove sono? «Sono qua, ma la regia è per forza fuori». Complotti, macchinazioni, c’è un mondo oscuro dietro che trama e agisce nell’ombra, animato da chi «non è mai stato amato dalla città e pensa allora di aggredirla». Ma di fronte ai bombardamenti sotterranei, Scopelliti oppone la forza del coraggio, unito a quello del suo storico gruppo dirigente. «Noi – insiste il governatore – non abbiamo paura di andare avanti». Ecco perché «io rimango qua». Standing ovation, la platea si è finalmente ridestata. Scopelliti si riscopre capopopolo, condottiero. I nemici della città, gli oppositori del vento del cambiamento che soffia in Calabria, sono sempre in agguato. Adesso bisogna stanarli, smascherare il loro gioco e continuare lungo il solco già tracciato.
Il comizio è concluso. L’ex sindaco, sudato e sfinito, ha portato a termine la sua missione. Sorrisi diffusi, la folla lentamente va via. Desiderosa di credere ancora al sofista stanco.

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