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Costretto ad assumere il figlio del boss

REGGIO CALABRIA Costringevano un imprenditore a versare alla cosca mille euro al mese oltre ad assumere il figlio del boss al quale doveva versare lo stipendio senza che questo lavorasse.Si è concl…

Pubblicato il: 23/01/2013 – 8:40
Costretto ad assumere il figlio del boss

REGGIO CALABRIA Costringevano un imprenditore a versare alla cosca mille euro al mese oltre ad assumere il figlio del boss al quale doveva versare lo stipendio senza che questo lavorasse.
Si è conclusa con cinque provvedimenti di fermo l`operazione “Dogville”, condotta dalla squadra mobile e coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri e dal sostituto Antonio De Bernardo.
Tra gli arrestati c`è anche un ergastolano che, nel 2010 era stato scarcerato per decorrenza termini mentre era in attesa della sentenza definitiva della Cassazione per un omicidio commesso durante la faida di Sant`Ilario. Si tratta del boss Giuseppe Belcastro che, da stamattina, è stato assicurato alle patrie galere nella speranza che, nei prossimi mesi, la sua condanna all`ergastolo diventi definitiva.
Con lui, in manette, sono finiti gli esponenti della cosca “Belcastro-Romeo” scissionista della famiglia mafiosa D`Agostino di Sant`Ilario dello Jonio.
Il provvedimento di fermo, che adesso deve essere convalidato dal gip, ha raggiunto Antonio Galizia (di 24 anni), Giuseppe Nocera (50), Domenico Musolino (57 anni) e Ivano Tedesco (50).
Stando alla ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia, il denaro estorto all`imprenditore finiva nelle tasche di Belcastro. Secondo quanto emerso dalle indagini della squadra mobile di Reggio Calabria e dei commissariati di Bovalino e Siderno, infatti, la vittima è stata costretta ad assumere come braccianti agricoli alcuni affiliati alla cosca oltre a dover pagare direttamente somme di denaro. Vessato dalla cosca, l`imprenditore ha denunciato tutto alla polizia fornendo i riscontri all`attività di indagine che aveva già dimostrato l`operatività del boss Giuseppe Belcastro e dei suoi scagnozzi nel territorio di Sant`Ilario dello Jonio.
Gli assegni usati per pagare gli stipendi, nonostante gli assunti non si recassero al lavoro, venivano portati all`incasso da uno degli indagati, che poi girava il denaro a Belcastro.
La Dda di Reggio è riuscita a documentare le pressanti richieste di denaro necessarie a pagare il pizzo. Tra queste anche, da parte della cosca, la pretesa che l`imprenditore versasse agli indagati 60mila euro. Somma per la quale la vittima aveva iniziato a chiedere dei prestiti alla stessa consorteria mafiosa.
Nel corso della conferenza stampa, il questore Guido Longo ha sottolineato l`importanza di denunciare: «Grazie all`attività dei colleghi della Mobile e dei commissariati di Siderno e Bovalino, si è fatta luce sull`episodio che è la dimostrazione che, se si denuncia, si riesce a dare un colpo serio alla `ndrangheta. Altrimenti è tempo perso. Nella cultura di questa provincia il concetto della denuncia ancora non è entrato. Quando si paga il pizzo non si finisce più. Quest`imprenditore ha deciso di recidere questa spirale».
Gli fa eco il capo della squadra mobile Gennaro Semeraro secondo cui «solo collaborando con le forze di polizia si riesce a sferrare colpi alla `ndrangheta».
«Il reato di estorsione, – ha spiegato il procuratore aggiunto Nicola Gratteri – dopo quello del traffico di droga è il più diffuso e antico della `ndrangheta. È il reato che serve a dimostrare il potere e a delineare i confini del territorio. La collaborazione dell`imprenditore è stata fondamentale ma eravamo già riusciti a ottenere segnali che ci avevano portato a sospettare di Giuseppe Belcastro».

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