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Carmelo Murina continua a definirsi perseguitato

REGGIO CALABRIA «Viene facile dire Carmelo Murina controlla Santa Caterina perché sono già stato condannato per queste cose. Ma io vorrei chiedere al dottore Lombardo: “Perché da vent’anni a questa…

Pubblicato il: 20/02/2013 – 17:34
Carmelo Murina continua a definirsi perseguitato

REGGIO CALABRIA «Viene facile dire Carmelo Murina controlla Santa Caterina perché sono già stato condannato per queste cose. Ma io vorrei chiedere al dottore Lombardo: “Perché da vent’anni a questa parte non si parla mai di Carmelo Murina? Perché le indagini non hanno mai portato a me? Se devo pagare per una storia che mi ha visto protagonista in passato, se ogni quattro-cinque anni devo pagare la stessa cosa.. non ci sono prove, non ci sono reati fine..”». È quasi l’immagine di un perseguitato quella che Carmelo Murina, per gli inquirenti il reggente dello strategico quartiere di Santa Caterina di Reggio per conto della cosca Tegano, cerca di dare di sé nel corso delle dichiarazioni spontanee che ha chiesto e ottenuto di fare oggi, nel corso dell’ultima udienza del processo “Agathos”.
Ed è sulla stessa falsa riga che si è mossa l’arringa finale dell’avvocato Antonio Managò, che per sua stessa ammissione difende il boss di Santa Caterina «da quando aveva i calzoni corti», ma non è riuscito a evitare al suo storico assistito due sentenze passate in giudicato per associazione mafiosa. Eppure il legale ha tentato di smontare una per una le dichiarazioni dei tanti collaboratori che hanno deposto al processo “Agathos”, affermando – con più o meno dettagli – un’unica verità: Carmelo Murina non solo è parte integrante della `ndrangheta, ma ha avuto un ruolo da dirigente nell’articolazione territoriale che detta legge nel quartiere di Santa Caterina. Un assunto cristallizzato nel capo di imputazione che ha trascinato il boss a processo, che – scandisce il pm Lombardo nelle sue inferocite repliche – è il «perimetro necessario per ricordare a tutti che qui si discute di una cosa precisa: di un’articolazione territoriale della ndrangheta denominata cosca Tegano e di un imputato, Carmelo Murina, incaricato di sovrintendere su Santa Caterina».
Un’ipotesi accusatoria confortata da  un dato storico preciso – dice il pm – che ha preso corpo nelle centinaia di dichiarazioni di collaboratori, tutte successive alle circostanze che hanno già in passato portato Murina dietro le sbarre.  In discussione,  sottolinea il pm, non c’è infatti la semplice appartenenza del boss ad un clan in qualità di partecipe, ma il ruolo e l’agire criminale di un “colonnello” del potentissimo clan Tegano. «Questa è una nazione assetata di sangue, che rimuove dalla memoria stragi, uccisioni di innocenti, omicidi, così come isola progressivamente le persone per bene. E Reggio Calabria è un esempio di tutto questo», ricorda quasi con amarezza Lombardo, commentando tanto l’arringa come le dichiarazioni spontanee di Murina.
«Qui siamo in presenza di imputati senza coraggio che nascondono le proprie responsabilità dietro le gonnelle di una legislazione debole, distratta, connivente» tuona il pm, per il quale se dopo due sentenze definitive è ancora necessario dimostrare il ruolo di vertice di Carmelo Murina, allora «bisogna anche andare a verificare se nel territorio di Reggio Calabria c’è un antistato che annulla o affianca lo Stato di diritto». Ed è durissimo Lombardo contro la linea difensiva degli avvocati che hanno tentato di derubricare a contraddittorie calunnie, le dichiarazioni dei collaboratori che inchiodano gli imputati. «Assistere nel 2013 a determinati discorsi è umiliante per chi li fa e per chi li ascolta», taglia corto Lombardo, sottolineando come le difese suggeriscano al Tribunale di non considerare quanto affermato dai collaboratori, ma tenere conto delle dichiarazioni «di un assassino, di un soggetto che fa parte di un’organizzazione che ha fatto milioni di morti».
Ed è proprio per contrastare una linea difensiva che tende ad isolare Carmelo Murina dal contesto ndranghetista di Reggio Calabria e a minimizzarne il ruolo – importante – in esso rivestito, che Lombardo ha chiesto l’acquisizione di tutte le dichiarazioni dei collaboratori chiamati a deporre al processo “Meta”. «E che ci siano tutte, incluse quelle che parlano dei rapporti di Carmelo Murina con appartenenti alla polizia di Stato, poi vedremo se non ci sono intercettazioni a suo carico», insiste il pm. Un’istanza che ha incontrato la scontata opposizione delle difese e dopo una breve camera di Consiglio, anche del Tribunale che ha rigettato la richiesta della pubblica accusa, considerata troppo vaga e indeterminata. Ma quelle testimonianze, in particolare quella di Iannò – che non più tardi di una decina di giorni fa ha spiegato in dettaglio quale fosse il ruolo e il peso di Murina – per il pm Lombardo devono pesare sulla decisione dei giudici. È per questo che ha ribadito la propria richiesta, limitandola però «alle dichiarazioni del collaboratore Iannò al processo “Meta”, che ha indicato Murina come appartenente alla ndrangheta, un’organizzazione in cui, con l’accordo di tutti, si può fare qualsiasi cosa». Qualora non fosse possibile – i verbali di quell’udienza non sono allo stato ancora disponibili – il pm ha chiesto al collegio una riapertura dell’istruttoria perché venga permesso al collaboratore di deporre in aula. Ma anche questa seconda istanza – giudicata “sovrabbondante” – non è riuscita a convincere il Tribunale.

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