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Un giudice racconta la `ndrangheta a Milano

Da una parte gli uomini della ‘ndrangheta, che tentano in tutti i modi di accedere ai grossi appalti del Nord. Dall’altra gli uomini del Nord che, invece di allarmarsi e denunciare, si sono messi a…

Pubblicato il: 24/02/2013 – 19:06
Un giudice racconta la `ndrangheta a Milano

Da una parte gli uomini della ‘ndrangheta, che tentano in tutti i modi di accedere ai grossi appalti del Nord. Dall’altra gli uomini del Nord che, invece di allarmarsi e denunciare, si sono messi a disposizione delle cosche sperando di trarne vantaggio. Un abbraccio mortale, che ha aperto alla ’ndrangheta le porte della Lombardia. Il libro di Giuseppe Gennari “Le fondamenta della città” racconta questa storia da un punto di vista particolarmente privilegiato. Gennari, infatti, è giudice per le indagini preliminari al Tribunale di Milano e le carte delle inchieste sulle cosche calabresi in Lombardia le conosce bene.
Ha dovuto studiarle in questi anni, quando anche le Procure del Nord hanno dovuto fare i conti con un’evidenza troppo a lungo negata. Gennari ha firmato arresti per decine di presunti mafiosi. Esperienza sul campo, dunque. Informata e consapevole, il cui precipitato sta tutto in 240 pagine di un libro (edito da Mondadori) densissimo di storie, personaggi e verità ancora troppo nascoste.
Gennari cerca di spiegarsi il fenomeno e lo analizza partendo da un punto fermo: la ’ndrangheta si è evoluta. Per questo, ragiona il magistrato, «oggi bisogna andare a cercare i reati spia della presenza di un’organizzazione mafiosa. Reati da colletti bianchi come bancarotta, evasione fiscale, violazioni ambientali, corruzione, intestazioni fittizie di società. E poi, da lì, riavvolgere con pazienza il nastro, fino a risalire a chi tira le fila da dietro». Un tempo servivano “sbirri” capaci di indagare su estorsioni ed episodi di violenza, oggi «è indispensabile avere la capacità di leggere i flussi finanziari, seguire e ricostruire movimenti di denaro e capire cosa c’è di sospetto. Soltanto in questo modo si riesce non solo ad arrestare le persone, ma anche a colpire i patrimoni illeciti, che è di gran lunga la cosa più efficace».
Perché così gli altri non sono più persone ostili dalle quali guardarsi sempre, diventano amici, addirittura complici. E le cosche in trasferta sono riuscite «a creare un tessuto connettivo che invischia professionisti, imprenditori, politici, pubblici amministratori, direttori di banca, uomini delle istituzioni in una ragnatela inestricabile di scambi e favori reciproci».
Il punto di partenza, però, resta sempre la politica. Per Gennari «la ‘ndrangheta cerca sempre un rapporto e sempre lo trova. Destra o sinistra non conta niente, conta chi è al potere e può favorire l’organizzazione». E del resto «le indagini milanesi degli ultimi anni sono affollate da consiglieri, assessori di ogni livello, aspiranti candidati a questa o quella elezione che sono ben contenti di chiedere voti dove pensano di poterne trovare in abbondanza. E chi non ha la fortuna di finire nei listini bloccati per qualche merito speciale – ricorda il magistrato – deve essere eletto attraverso le preferenze personali. Bisogna conquistare, una dopo l’altra, centinaia di persone disposte a scrivere proprio il tuo cognome nella scheda elettorale».
Ma, politica a parte, è proprio nella “zona grigia” fra amministratori e professionisti che si chiudono gli affari importanti. Con rapporti che, per quanto condannabili sul piano morale, risultano consentiti sotto il profilo penale. Perché, Gennari, «non esiste una legge che consente di perseguire in modo efficace queste persone. E probabilmente sono in molti a preferire che non esista». Spieghiamo il meccanismo: oggi resta valido l’articolo del codice penale che punisce il concorrente esterno alla cosca. Per arrivare a una condanna, però, bisogna accertare che il contributo all’associazione è stato fondamentale. Scrive Gennari: «Al di sotto di questo livello, senza dubbio molto elevato, non c’è punizione. Questo significa che se un politico stringe un patto elettorale con il boss locale ma poi non viene eletto o, una volta eletto, non riesce a garantire alcun vantaggio serio alla cosca, non commette nessun reato». Domanda: «Quale Paese può accettare un politico che chiede i voti alla mafia o che frequenta stabilmente mafiosi?». La Calabria di sicuro sì, visto che i politici locali sorpresi a chiedere voti alla ’ndrangheta continuano a candidarsi – e ad essere candidati dai loro partiti – come se niente fosse. Ma la cosa oggi avviene anche in Lombardia. E Gennari lancia l’allarme.«Nella regione dei finti anticorpi e dei furbi che si credono più furbi di tutti, nessuno si rende conto di quale sia la potenza reale della ‘ndrangheta». Il libro passa in rassegna diversi casi di connivenza, tutti accomunati dal fatto che «la ’ndrangheta offre servizi. Gestiti all’occorrenza con metodo mafioso, ma pur sempre servizi di prima qualità. E poi, in fondo, ai clienti di Assocompari il metodo non interessa tanto: interessa il risultato, e quello è garantito».
Con la crisi economica che attanaglia il Paese, le immense riserve di liquidità della cosche fanno impallidire le banche e diventano merce preziosa per quegli imprenditori capaci di fare affari senza farsi scrupoli: «È stato così che, al Nord, la ’ndrangheta si è padanizzata: ha capito che il modello economico e imprenditoriale lumbard non va tanto per il sottile con regole e regoline. Per molti l’importante è solo incrementare gli affari e creare relazioni utili e utilitaristiche. Non importa come o tramite chi. La mafia c’è semplicemente perché c’è mercato per i suoi servizi. L’amara constatazione che chiude ogni inchiesta, almeno per quanto mi riguarda, è che ci sono tante persone che traggono vantaggio dall’esistenza della mafia. Persone che non hanno alcun interesse a denunciare nulla. Persone che la legge non potrà mai punire perché il loro delitto è l’opportunismo».
Insomma, leggere questo libro significa anche essere disposti a perdere qualche certezza. Capire, ad esempio, che per anni l’establishment lombardo ha giocato con i cittadini al gioco del non vedo, non sento, non parlo. E all’omertà. Gennari dedica un intero capitolo. Un’omertà che «ha tanti altri nomi, come convenienza, opportunismo, calcolo. Soprattutto al Nord». Qualche numero per capire: 130 attentati mafiosi tra il 2008 e il 2010. Denunce: zero. Con Ilda Boccassini che tiene a precisarlo in ogni occasione pubblica.

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