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Un uomo in divisa informava i Bellocco

REGGIO CALABRIA È un uomo che porta la divisa e ancora non ha né nome né volto, ma che puntualmente informava i Bellocco di San Ferdinando delle indagini a loro carico, il motivo che ha spinto la D…

Pubblicato il: 06/03/2013 – 9:14
Un uomo in divisa informava i Bellocco

REGGIO CALABRIA È un uomo che porta la divisa e ancora non ha né nome né volto, ma che puntualmente informava i Bellocco di San Ferdinando delle indagini a loro carico, il motivo che ha spinto la Dda reggina ad accelerare i tempi dell’operazione “Tramonto”, che ha stretto il cerchio sul casato mafioso che da decenni impone il suo volere su Rosarno e il suo circondario.
«I Bellocco erano puntualmente informati delle iniziative dei carabinieri sul territorio, di chi, quando, e in merito a cosa venisse sentito. Erano a conoscenza di un’imminente operazione contro di loro e le intercettazioni suggerivano il rischio di un pericolo di fuga, per questo l’Ufficio di Procura si è avvalso di un potere che il codice gli concede come il fermo», ha spiegato il procuratore aggiunto Michele Prestipino Giarritta, che assieme ai sostituti Giovanni Musarò e Luca Miceli, ha condotto l’indagine che ha fatto finire in manette Giulio Bellocco, insieme con i figli Berto, Antonio detto Totò, Domenico, e vede indagata anche Aurora Spanò, compagna di Giulio Bellocco, già detenuta.
Si tratta dell’intera colonna vertebrale dei Bellocco di San Ferdinando, riconosciuta articolazione del più noto omonimo clan che ha a Rosarno il proprio quartier generale e ad esso indissolubilmente legata, come gli stessi indagati – ascoltati dagli uomini del Ros – candidamente ammettono. O meglio rivendicano. Nel corso di un colloquio registrato nel carcere di Castrovillari, poco dopo l’arresto dei latitanti Umberto e Francesco Bellocco, è Aurora Spanò – forte del chiaro ruolo decisionale che dimostra di avere in seno alla famiglia – a pretendere lumi, quindi a lamentarsi: «Come ha preso per i casati nostri, come ha preso (che brutta sorte hanno avuto i nostri casati)». Una frase «di indiscutibile natura confessoria» per il gip che – sottolinea – «non necessita di troppi commenti».
Del resto non è che uno degli episodi – dice Prestipino – che testimonia «il forte senso dell’identità della cosca come componente della `ndrangheta, e dei Bellocco come uno dei più importanti casati». Un casato di cui gli uomini arrestati oggi si sentono parte integrante e che rivendicano con «orgoglio e arroganza tipicamente mafiosa». La medesima arroganza che porterà Aurora Spanò a imporre con angherie, minacce e vessazioni alle compagne di cella di servirla e omaggiarla, obbligandole a pulirle la stanza e i servizi, e rifarle il letto. Perché è una signora, una signora di `ndrangheta, cui è impossibile ribellarsi, pena feroci ritorsioni. Lo apprenderà sulla propria pelle Grazia Crucitti, compagna di cella della Spanò che oserà guidare una ribellione delle detenute contro di lei, e per questo sarà punita dal clan con il selvaggio pestaggio del marito, linciato dagli uomini dei Bellocco.
Un episodio minore, nell’ambito di un’inchiesta in cui agli uomini del clan vengono contestati anche episodi di usura, estorsione e appropriazione indebita – come quella ai danni dei fratelli Secolo, costretti a restituire un prestito a un tasso del 28% – ma che dà il metro del «pervasivo, esteso, asfissiante controllo del territorio» che la famiglia imponeva. Un’inchiesta che si è avvalsa delle «puntuali, precise, dettagliate informazioni» – ci tiene a sottolineare Prestipino – e proprio per questo pericolose per il clan, fornite da Maria Concetta Cacciola, giovane testimone di giustizia, morta suicida nell’agosto 2011. «È lei – ribadisce a più riprese – il procuratore capo facente funzioni Ottavio Sferlazza – a raccogliere le confidenze della sorella dei due e a rivelarle ai magistrati, permettendo l’apertura delle indagini».
Informazioni poi blindate da riscontri incrociati, ma che per inquirenti e investigatori hanno costituito la traccia da seguire e per il clan, una minaccia concreta e precisa. Da eliminare. «L’estrema precisione delle dichiarazioni della Cacciola aiuta a comprendere perché siano state esercitate pressioni così pesanti e violente, vessazioni così manifeste da indurre al suicidio una donna che aveva trovato la forza di ribellarsi alle rigide regole dell’omertà impostele dalla sua famiglia». Una vicenda – sottolinea l’aggiunto – oggi oggetto di un procedimento ancora in corso al Tribunale di Palmi, ma sulla quale anche quest’operazione può contribuire a ristabilire verità e giustizia. Giustizia  per una giovane donna morta per aver cercato un destino diverso e migliore.

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