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IL REGNO DEI MANCUSO | E la cosca va alle urne

VIBO VALENTIA Nel regno di Pantaleone Mancuso nulla sfugge al controllo del clan e delle sue ramificazioni. Uno strapotere che i magistrati della Dda di Catanzaro riassumono efficacemente in una fr…

Pubblicato il: 07/03/2013 – 14:10
IL REGNO DEI MANCUSO | E la cosca va alle urne

VIBO VALENTIA Nel regno di Pantaleone Mancuso nulla sfugge al controllo del clan e delle sue ramificazioni. Uno strapotere che i magistrati della Dda di Catanzaro riassumono efficacemente in una frase: «La potenza economica, militare e la spiccata capacità di infiltrazione nei gangli della politica, della pubblica amministrazione e delle istituzioni in senso lato, ha determinato l’inquinamento di settori finanziari e pubblici, non solo sull’intero comprensorio della provincia di Vibo Valentia, ma nell’intero territorio nazionale». Da Limbadi a Trieste le questioni finanziarie. Mentre la politica – come sempre importantissima postazione di potere per tutte le cosche – si fa in casa. In maniera capillare, anche sostenendo più schieramenti.
Non è schizofrenia. È più un`ansia di controllo che si traduce, quasi sempre, nel raggiungimento dei risultati. Il boss ha terminali operativi importanti e ben inseriti. Due per tutti: Antonio Maccarone, genero del capoclan, e lo zio Aurelio. È una conversazione tra i due ad aprire uno squarcio sulle potenzialità politiche dei Mancuso. Una “chiacchierata” in cui «emerge come Aurelio (Maccarone, ndr) intenda sfruttare il  bagaglio di relazioni connesso alla sua attività politico-istituzionale, nell’interesse della nuova attività imprenditoriale intrapresa con il nipote Antonio». C`è in ballo l`idea di aprire una nuova azienda, “Piccantissimo”, che si occuperà di commercializzare prodotti alimentari tipici calabresi. Aurelio, che è consigliere provinciale a Vibo Valentia spiega che «si adopererà affinché, per le prossime festività natalizie, la Provincia di Vibo Valentia acquisti presso la loro azienda i cestini regalo ed aggiunge che cercherà di ottenere lo stesso anche dal comune di Vibo, grazie ai suoi contatti con Nesci e Daffinà (Daffinà Antonino è capo gruppo Udc in consiglio comunale)».
La famiglia conta sulla «contiguità con il mondo degli avvocati, degli appartenenti alle forze di polizia, dei politici e degli enti amministrativi locali». Un`informativa dei Ros di Catanzaro conferma che il promotore dell`attività è Pantaleone Mancuso, il 56enne boss che, puntando su questa strategia di infiltrazione ha reso possibile l`accrescimento del «proprio potere di controllo del territorio e la propria forza di intimidazione nei confronti della popolazione, conscia di essere soggiogata da un`organizzazione mafiosa non solo temibile militarmente, ma anche sorretta da trasversali appoggi esterni».

I MANCUSO ALLE URNE
La politica locale ha un ruolo centrale nelle mire del clan. E conta, in questo ambito, «la consapevole cooperazione offerta da Aurelio e Antonio Maccarone alle attività ed agli interessi illeciti di  Pantaleone Mancuso». Aurelio, infatti, «svolge stabilmente attività politica, nella sua qualità di consigliere provinciale di Vibo Valentia, eletto nella lista civica di centrosinistra “Autonomia e diritti” facente capo al consigliere regionale Ottavio Gaetano Bruni. Le intercettazioni citate in questa parte dell`ordinanza si riferiscono al 2010, quando Bruni militava nella compagine che sosteneva il centrosinistra. Adesso, l`ex presidente della Provincia di Vibo è passato all`Udc.
Il succo delle indagini sul filone politico dell`inchiesta, per la Dda di Catanzaro, dimostra che «Pantaleone Mancuso intrattiene occulti legami personali con alcuni esponenti politici locali, fra i quali Ottavio Gaetano Bruni, esponente di vertice dello schieramento politico in cui milita anche Aurelio Maccarone». Un passaggio che pesa come un macigno su tutta la politica del Vibonese.
Come spesso accade, poi, sono gli stessi candidati a rivolgersi al boss chiedendogli un appoggio elettorale. Vale per una serie di Comuni della provincia, non solo per Limbadi, che è la “patria” della cosca. Le conversazioni registrate dalle microspie offrono uno spaccato allucinante delle sfide elettorali che si sono consumate nel 2011 in diversi centri. Ricadi, Joppolo, Limbadi: non c`è un consiglio comunale in cui i Mancuso non abbiano uno o più candidati. E non tutti dello stesso schieramento politico. Come in un piccolo manuale `ndranghetistico, si possono leggere tutte le indicazioni per ottenere un successo funzionale agli affari della cosca. Ad esempio, Mancuso «ha personalmente sostenuto la campagna elettorale del candidato sindaco di Limbadi, Francesco Crudo, cui è personalmente legato, ed effettivamente eletto a tale carica, ed ha parimenti osteggiato la candidatura dell’esponente dello schieramento politico avverso». Ed è evidente, secondo i magistrati, che «in occasione delle elezioni amministrative che, nel 2010 e nel 2011, hanno interessato il Vibonese, si è registrata una manifesta e operosa convergenza di interessi, tra Pantaleone Mancuso e i Maccarone, Antonio ed Aurelio, nel sostenere alcuni candidati in diversi comuni della provincia». È il metodo, già illustrato in una informativa del Ros, dei «mafiosi riservati». Il boss ha referenti capaci di metterlo in contatto «con il mondo politico-imprenditoriale, condizionando a suo favore il sistema». Da casa del capoclan al Palazzo, grazie ai soggetti «inseriti nel contesto associativo da lui diretto», che «si interfacciano con la realtà politica del territorio o rivestono un ruolo attivo in tale settore della vita sociale».

I PRESUNTI RAPPORTI CON BRUNI
Ai presunti rapporti tra Mancuso e Bruni, gli inquirenti dedicano un paragrafo a parte del decreto di fermo. È quello riservato alle elezioni del 28 e 29 marzo 2010. A quei tempi, Bruni era ancora nel centrosinistra. Scendeva in campo con “Autonomia e diritti”. E in quell`occasione, secondo i magistrati della Dda di Catanzaro, «emerge in modo palese l`impegno profuso» per la sua elezione. Il curriculum di Bruni è importante. Ha 69 anni, ed è stato presidente della Provincia, capo di gabinetto della Presidenza della giunta regionale dall’agosto 2009 al marzo 2010 (quando il governatore era Agazio Loiero) e da marzo 2009 a marzo 2010 presidente del Consorzio di sviluppo industriale di Vibo Valentia. È nel corso di una conversazione registrata all’interno del casolare rurale di Pantaleone Mancuso che, scrivono i magistrati antimafia, «si rileva una esplicita affermazione, compiuta da quest’ultimo, in merito al suo diretto e qualificato legame personale con  Ottavio Gaetano Bruni (…). Nel corso della conversazione avuta, quel giorno, con Pasquale Luigi Loschiavo, Mancuso affermava testualmente: “Con l’ex presidente della… del nucleo industriale eh… siamo amici, amici”». Per la Dda il riferimento è proprio a Bruni. Altro segnale di vicinanza sarebbe legato alle reazioni registrate subito dopo il voto per le regionali. Sulle prime, infatti, sembrava che Bruni non ce l`avesse fatta. Poi, invece, arrivò la conferma della sua rielezione. E, «nella circostanza, venivano intercettate più telefonate che confermavano la sostanziale ed effettiva unitarietà del tessuto relazionale che lega a Ottavio Gaetano Bruni, più soggetti di rilievo emersi nella presente indagine, quali Aurelio Maccarone, Francesco Staropoli, legato sia al Maccarone che al boss Pantaleone Mancuso, suocero di Antonio Maccarone (nipote di Aurelio)».

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