Alle due del pomeriggio Mario Tassone lascia l’hotel Marriott, a metà strada tra Roma e Fiumicino, con aria soddisfatta: il consiglio nazionale dell’Udc ha confermato, attraverso una mozione, la fiducia al segretario nazionale Lorenzo Cesa. Il documento, che è passato con un voto contrario e due astenuti, sostiene la scelta del segretario di fissare per il 27 aprile il congresso del partito. Le assise sanciranno l’apertura di una nuova fase politica nella formazione centrista che è uscita con le ossa rotte dall’ultima tornata elettorale. E in parte (il deputato chiedeva l`azzeramento dei vertici e l`avvio di una fase commissariale fino al congresso, ma la proposta non ha raccolto grandi consensi) è quello a cui puntava l’ex viceministro calabrese e attorno al quale si sono coagulati tutti quegli esponenti del partito contrari alla scelta di consegnarsi anima e corpo a Mario Monti.
Assente Casini, il leader ha inviato all’assemblea una missiva (per certi versi epocale) in cui dichiara «finita una stagione», tocca a Cesa affrontare de visu i quadri dirigenti di un partito che è riuscito a conquistare il magro bottino di otto seggi alla Camera e soltanto due al Senato. L’invito che il segretario rivolge ai presenti è uno solo: «Nei prossimi giorni possiamo fare tutto, criticarci, discutere, confrontarci anche aspramente. Quello che non possiamo permetterci assolutamente è dividerci. Sappiamo bene che l’1,8% non è un risultato del tutto sincero, noi valiamo molto di più. Quell`1,8% finale che abbiamo raccolto due settimane fa è un risultato che ci sottostima».
Il congresso annunciato sarà per Cesa l’occasione «per dare a questo partito la linea politica da seguire, per portare idee nuove e costruttive». In sala gli ex diccì lo ascoltano in religioso silenzio. Tassone, ai tanti che gli chiedono cosa succederà adesso, ripete come un mantra che tutto ciò non sarebbe accaduto «se fossimo andati da soli alle elezioni». Poco distante da lui sosta la nutrita pattuglia calabrese guidata dal segretario regionale Gino Trematerra. Quest’ultimo e Tassone, entrati negli ultimi tempi più di una volta in rotta di collisione, si limitano ai convenevoli. Ma è solo una tregua armata in vista del confronto vero, che si aprirà in sede congressuale.
OCCHIUTO DEPUTATO Il vertice romano è servito anche per sgombrare definitivamente il campo da ogni perplessità relativa alla riconferma di Roberto Occhiuto in Parlamento. Cesa ha assicurato che nelle prossime ore ufficializzerà di aver optato per il seggio in Puglia, liberando quello calabrese che verrà occupato proprio dall’esponente cosentino. «È tutto ok», si limita a confermare il diretto interessato. Dalla sua parte c’è un risultato, quello ottenuto dall’Udc in Calabria, secondo solo al dato della Campania dove correva il nipote di Ciriaco De Mita e la necessità per i vertici dello Scudocrociato di dare un’adeguata rappresentanza a una regione dove sono scesi in campo tutti i maggiori rappresentanti del partito.
GLI EQULIBRI CALABRESI Gli equilibri interni ai centristi saranno rimessi a punto al congresso mentre quelli tra l’Udc e il Pdl non dovrebbero subire scossoni. Almeno nel breve periodo. Sia Trematerra che il governatore Peppe Scopelliti hanno tutto l’interesse a conservare intatto un rapporto politico da cui finora entrambi le parti hanno tratto giovamento. Per questo motivo è difficile che il presidente della Regione venga incontro alle richieste dei pasdaran berlusconiani, che mirano a ridimensionare il peso dei centristi riconoscendo loro un solo assessorato piuttosto che i due detenuti fino a poco tempo addietro. Sa bene, Scopelliti, che il loro apporto non è solo determinante ai fini numerici per mantenere in vita la maggioranza ma soprattutto in prospettiva futura, quando ci saranno da affrontare le nuove scadenze elettorali.
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