LAMEZIA TERME Una domanda circola insistente tra quanti ancora si ostinano a dare un peso alle esternazioni della politica allorquando avviene un’intimidazione mafiosa contro un magistrato. Ma il presidente della commissione regionale antindrangheta, Salvatore Magarò, cosa ne pensa dell’ennesima minaccia recapitata al pm Giuseppe Lombardo? Al sostituto procuratore reggino – pubblica accusa in alcuni dei processi più importanti contro le cosche dell’area dello Stretto –, subito dopo la diffusione della notizia di una lettera minatoria con dentro polvere da sparo («se non la smetti ci sono pronti altri 200 chili»), è letteralmente piovuta addosso una gragnuola (probabilmente, date le circostanze, anche molto fastidiosa) di messaggi di solidarietà e attestazioni di vicinanza. Da associazioni, personalità istituzionali, semplici cittadini. Dai rappresentanti delle forze politiche, soprattutto, di tutti gli schieramenti e partiti. Una mobilitazione bipartisan e parolaia. Esternazioni formali, frasi divenute ormai stucchevoli, ma comunque utili a procurare un sempre indignato posto al sole agli specialisti dell’intervento pubblico in nome dell’altissimo riconoscimento all’opera dei servitori dello Stato.
LA FIERA FARISAICA Se poi, in realtà, uomini come Lombardo sono lasciati soli al loro destino di magistrati troppo scomodi, questo importa solo a pochi. Di certo, non a coloro che continuano a non vedere la fiera farisaica che continua a bandire a buon mercato meri prodotti della propaganda. È comunque arduo stabilire se Magarò non si lasci andare anche lui, di tanto in tanto, a qualche elevatissima carezza istituzionale solo perché conscio dell’ipocrisia di cotanto sproloquiare. Di certo c’è che il buon consigliere regionale di certe cose non parla proprio mai, nemmeno quando – al netto delle scontatissime manifestazioni di cui s’è detto – una presa di posizione istituzionale sarebbe non solo gradita, ma perfino augurabile.
«L’inutile presidente dell’inutilissima commissione» – l`espressione, ancora una volta, sembra calzare a pennello – non si sentì in dovere di profferir parola nemmeno di fronte a un evento drammaticamente epocale come il recente scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria. Il primo caso di questo tipo per un capoluogo di provincia. Roba che nemmeno nella Palermo di Riina e Ciancimino. Niente, il vuoto pneumatico dei pensieri e delle parole.
IL SILENZIO DEL PRESIDENTE L’uomo che istituzionalmente avrebbe il compito di fare sintesi e tracciare un qualche orizzonte nella lotta alla criminalità organizzata, è rimasto silente. E lo stesso si può dire in relazione a tutti gli altri Comuni calabresi sciolti per mafia e alle numerose commissioni d’accesso inviate ai quattro angoli della regione. E le operazioni giudiziarie? Mai un plauso (non costa niente, in effetti) agli inquirenti, mai un commento, una tiepida presa d’atto.
L`ANTIMAFIA DEI CONFETTI Del resto Magarò, già da tempo, sta mettendo in campo una sua precisa strategia, che potrebbe essere perfino brevettata come l’“antimafia dei confetti”. Indimenticabili le sue “aspirine antindrine”, consegnate qualche anno fa agli increduli operatori dell’informazione. Sortita pop-commerciale applicata alla lotta ai clan che ha trovato una replica di altrettanto ironico spessore durante le ultime festività natalizie. Le pastiglie alla frutta stavolta erano contenute in una scatola con la dicitura “Lex total plus”. In molti ricordano ancora il sorriso soddisfatto del presidente, quando le consegnò (al pubblico ludibrio?) a coloro che avrebbero dovuto poi diffondere (prendendole almeno un po’ sul serio) le sue, inusuali e forse strambe, iniziative.
«Vorrei essere io ad anticipare qualche prevedibile commento ironico e facili, scontate battute – spiegò, lungimirante, il presidente –: il piccolo gadget che darò in omaggio per le prossime festività natalizie vuole essere un’occasione per comunicare concetti seri e valide iniziative istituzionali con un linguaggio divertente, ironico e non stereotipato. Mosso da un unico obiettivo, quello di catturare l’attenzione e la curiosità per poi, magari, far anche riflettere». Ecco, magari. Perché verrebbe difficile a chiunque riflettere sulla serietà del problema ‘ndrangheta mentre mastica caramelle e si sforza di considerare il più profondamente possibile lo spiccato sense of humor dell’ingegnoso politico cosentino. I cui particolari metodi di contrasto al malaffare non vengono compresi da nessuno, nemmeno dagli stessi componenti dell’organo consiliare.
QUELLA VOLTA IN CUI BRUNELLO Resta memorabile la reprimenda subìta ad opera del vicepresidente della sua commissione, Brunello Censore. Era il 15 febbraio 2012 e Magarò aveva convocato a Palazzo Campanella i 42 sindaci (ora sono molti di più, ma l’antindrangheta istituzionale non ne ha dato conto pubblicamente) minacciati o intimiditi dalle cosche. All’incontro risposero presente solo 15 rappresentanti locali. Non un successo, insomma. Un flop prontamente rilevato dal consigliere democrat – oggi anche parlamentare –, che redarguì il collega con parole al vetriolo: «In questa iniziativa vedo solo una volontà di propaganda. Il centrodestra ha più volte annunciato buoni propositi e iniziative legislative. Atti e impegni che però sono venuti meno quando si trattava di trasformarli in azioni reali. È arrivato il momento di finirla con queste passerelle, la lotta alla ‘ndrangheta si fa con politiche precise e risorse vere». «L’incontro di oggi – replicò balbettante Magarò – non deve essere sciupato attraverso polemiche di carattere politico. Serve senso di responsabilità». Ma dal piccolo alterco si capì che la commissione non era poi una cosa seria nemmeno a giudizio dei suoi componenti.
LA GOCCIOLINA PER FALCONE Magarò non ha comunque ceduto il passo ai suoi detrattori. Anzi, è tornato alla carica ancora più zelante in occasione del ventennale della morte del giudice Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta. «Capaci 23 maggio 1992, ore 17.58», era l’informazione contenuta nell’orologio commemorativo della strage che il presidente donò ai membri della commissione. Con un particolare dal gusto opinabile e piuttosto pulp: una macchiolina di sangue posizionata sul quadrante, poco prima delle ore sei, che richiamava alla memoria il tragico momento dell’esplosione.
Purtroppo però, nella foga di questa laboriosità creativa magaroniana, manca sempre qualche accenno in prosa, o anche un semplice verso ispirato che riguardi i fatti che quotidianamente e concretamente interessano la Calabria, a sua volta oggetto degli interessi della ‘ndrangheta. Un intervento scomodo, magari, che dia fastidio a qualcuno. D’altronde, essere presidente di una vera commissione antimafia dovrebbe essere anche un po’ rischioso, o no? Magarò – buon per lui – non è tipo da mettersi nei guai. È invece un politico con il piglio dello statista. Al punto da spingersi verso un solenne endorsement a favore della candidatura di Stefano Rodotà alla presidenza della Repubblica.
UN INTERVENTO PER IL COLLE «Il voto del 24/25 febbraio – argomentava qualche settimana fa il consigliere regionale – ci consegna un’Italia mutata, ma anziché lasciarsi prendere dall’angoscia per le novità intervenute le forze politiche e gli italiani dovrebbero cogliere l’occasione per rinnovare istituzioni e consuetudini politiche. In questo quadro, se ad occupare la poltrona sul Colle più alto della capitale ci fosse un noto esperto di diritto come Rodotà… saremmo tutti decisamente più tranquilli». «Magarò, chi è costui?», direbbe don Abbondio (e forse lo stesso Rodotà).
Ma il presidente della commissione antindrangheta è fatto così, inutile cercare di cambiarlo. Parla spesso, ma non di quello che i calabresi vorrebbero ascoltare. Anzi: su certi temi, su certi personag
gi, su certe connivenze, sta proprio zitto.
Un umile consiglio, allora: cominci anche Magarò ad approfittare delle sventure di qualche servitore dello Stato davvero a rischio, a esternare ipocrisia al pari dei colleghi. Il silenzio, si sa, è terribile. E a volte rischia di cancellare perfino l’assenza.
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