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Lombardo: «Cercare la verità anche nella vita quotidiana»

REGGIO CALABRIA «Quando ho scelto di fare il magistrato ho giurato sulla Costituzione e ho accettato il ruolo che dall’essere magistrato deriva: quello di raccontare la verità. Chi da magistrato la…

Pubblicato il: 15/03/2013 – 15:35
Lombardo: «Cercare la verità anche nella vita quotidiana»

REGGIO CALABRIA «Quando ho scelto di fare il magistrato ho giurato sulla Costituzione e ho accettato il ruolo che dall’essere magistrato deriva: quello di raccontare la verità. Chi da magistrato la omette, è uno spergiuro». È in un’aula bunker gialla di gerbere che gli studenti del liceo “Piria” di Rosarno e il Galileo Galieli, organizzati dall’associazione “Riferimenti”, hanno voluto stringersi attorno al pm Giuseppe Lombardo, destinatario poche settimane fa dell’ennesima intimidazione. Un gesto che sembra aver toccato il coraggioso sostituto, che ai ragazzi ha voluto spiegare perché nonostante le minacce e le pressioni più o meno dirette, ogni giorno – puntualmente, testardamente – continui a fare il proprio lavoro. Un lavoro che ha un unico faro e un unico padrone: la verità. Da ricostruire nelle inchieste e provare nei procedimenti. La verità – ha detto Lombardo, quasi commosso dalla genuina manifestazione di solidarietà dei ragazzi che in questi mesi – lontano da telecamere e riflettori – ha imparato a conoscere, «non è interpretabile perché ce n’è una sola. E non può essere neanche parziale, perché a certe latitudini, una verità parziale è una verità negata. Noi non possiamo raccontare verità fasulle che possano essere di comodo ad altri». Parole pesanti come pietre che danno il metro del lavoro quotidiano di un magistrato che non si è mai accontentato di versioni di comodo o verità di superficie – che pure gli avrebbero permesso arresti e gloria – ma ha deciso di andare oltre, scavare, cercare quel secondo livello che da decenni permette alla ‘ndrangheta non solo un asfissiante controllo del territorio, ma un ruolo da protagonista negli equilibri – non solo criminali – della regione e – forse – del Paese. Una battaglia che Lombardo da anni ha ingaggiato con coraggio e dedizione, ma che non può – non deve – condurre da solo perché non si tratta – dice – di una lotta personale, ma collettiva. Ed è probabilmente per questo che ha chiesto ai ragazzi «di affrontare un percorso di ricerca della verità, anche nella pratica di vita quotidiana». Lo ha detto da magistrato Lombardo, ma lo ha detto soprattutto da “giovane reggino”, pur consapevole che questa lotta «è un dovere che va oltre l’essere reggino o calabrese, perché siamo cittadini del mondo ed è con il mondo che ci dobbiamo confrontare». Una lotta che il pm Giuseppe Lombardo è sicuro di vincere e che esorta i ragazzi a combattere puntando ad essere sempre migliori «non possiamo partire sconfitti in partenza. Questo è quello che dobbiamo sempre tenere a mente: noi non abbiamo perso. E prima o poi, tutti si dovranno rendere conto che vincere la `ndrangheta è possibile».
Parole commosse e appassionate, testimonianza precisa di un impegno quotidiano che va oltre il mestiere e sconfina quasi nella missione, costruita quotidianamente con ore di lavoro duro, a tratti quasi sfibrante, come quello testimoniato oggi in aula al processo “Meta” da cinque degli oltre 110 marescialli, brigadieri, appuntati, ufficiali della polizia giudiziaria, le cui attività hanno intessuto la trama della lunga, complessa e dettagliata indagine che si è intrecciata con la cattura di Pasquale Condello ed è andata oltre, arrivando a ricostruire gli assetti delle cosche in città all’indomani della seconda guerra di `ndrangheta. Un’ipotesi accusatoria costruita su migliaia di informazioni, collezionate, riscontrate e legate le une alle altre dal pm Lombardo, coordinando gli uomini della polizia giudiziaria che in aula oggi, come nel corso dell’ultima udienza hanno dato conto delle attività più diverse. Dagli appostamenti durati quasi ventiquattro ore – visore termico alla mano e tanta pazienza – il giorno della cattura di Pasquale Condello, raccontati oggi dal maresciallo Pietro Vittorini, ai monitoraggi continui dei luoghi frequentati da quelli che all’epoca erano solo presunti – ma le indagini confermeranno come tali – fiancheggiatori del superboss e gli estenuanti pedinamenti dei medesimi soggetti, riferiti dal maresciallo Luca Spagnolo, passando per i provvedimenti di sequestro con cui si è progressivamente prosciugato lo stagno in cui il clan poteva nuotare, fino alle indagini successive all’arresto del “Supremo”, tese a decodificarne la fitta trama di interessi. È il caso di un pizzino con annotato un appunto relativo ad un giornale radio della Rai regionale che da conto di un’operazione contro le `ndrine infiltrate nell’A3, che porterà i militari fino alla sede centrale della rete a Cosenza. Una ricerca – al momento- infruttuosa ma che comunque da il senso di quanto siano ancora da scoprire gli articolati interessi del superboss

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