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"Falsa politica", chiuse le indagini

REGGIO CALABRIA La Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha chiuso le indagini per 14 indagati nell`inchiesta “Falsa politica”. L`accusa, a vario titolo, è di associazione a delinquere …

Pubblicato il: 17/03/2013 – 16:43
"Falsa politica", chiuse le indagini

REGGIO CALABRIA La Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha chiuso le indagini per 14 indagati nell`inchiesta “Falsa politica”. L`accusa, a vario titolo, è di associazione a delinquere di stampo mafioso, contestata anche ai cinque esponenti politici coinvolti. Tra gli arrestati l`ex consigliere regionale Cosimo Cherubino, l`ex assessore provinciale di Reggio Rocco Agrippo e i tre consigliere comunali di Siderno: Domenico Commisso (in carica durante l`amministrazione Ritorto), Giuseppe Tavernese e Antonio Commisso (consiglieri di maggioranza durante l`amministrazione Figliomeni). Assieme a loro altre persone ritenute appartanenti al clan Commisso: Rocco Commisso, Cosimo Figliomeni, Pietro Futia, Pasquale Romanello, Damiano Rocco Tavernese, Rocco Tavernese detto “Robertino”, Giovanni Verbeni, Salvatore Commisso ritenuto appartenente al “locale” di `ndrangheta di Marina di Gioiosa Jonica, e Giuseppe Armocida. Nell`ambito delle indagini ha ricevuto un avviso di garanzia anche il sindaco di Siderno, Domenico Ritorto, che ha sempre respinto le accuse ma poi si è dimesso. L`inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri e dal sostituto Antonio De Bernardo ha permesso di svelare gli intrecci tra la cosca Commisso e la politica.

L`INCHIESTA E I LEGAMI TRA `NDRINE E POLITICA
Secondo le indagini, una delle stanze dei bottoni dove si decidevano le sorti della Calabria era una lavanderia, la “Ape green” di Siderno: qui il boss Giuseppe Commisso stabiliva le candidature in grado di tutelare gli interessi del clan. Era da qui che partivano le direttive che decidevano le sorti delle elezioni, comunali, provinciali o regionali che fossero. Le intercettazioni dei dialoghi all’interno della lavanderia “Ape green” tra Giuseppe Commisso detto “Il mastro” e illustri esponenti candidati alle elezioni ha rivelato una parte di quella zona grigia al cui interno si instaurano rapporti perversi tra ‘ndrangheta e i rappresentanti delle istituzioni. L’operazione “La falsa politica” rappresenta il completamento dell’attività investigativa condotta all’interno delle indagini “Crimine”, “Recupero-Bene comune” e “Locri è unita”. I vari elementi probatori hanno permesso di accertare come il clan dei Commisso puntasse sulla politica per accrescere il suo potere criminale ed economico. I colloqui intercettati hanno inoltre fatto luce sul rovesciamento di alcuni meccanismi: non erano gli uomini d’onore a bussare alla porta dei politici, bensì il contrario. Tutti a richiedere l’appoggio elettorale del “Mastro”, una scelta che rappresentava anche una ipoteca sulla futura attività degli esponenti politici. Che non venivano mai appoggiati in maniera palese, in modo da non esporre i propri candidati ai controlli degli inquirenti. «Gli dobbiamo usare la falsa politica a questi qua»: l’espressione usata da Giuseppe Commisso è a tal proposito molto eloquente.

L`ESAME SENZA SFORZO DELLA FIGLIA DEL BOSS
Dalle carte dell`inchiesta venne fuori un`intercettazione che risale al 2007 ritenuta molto importante dagli inquirenti. Non si discute di lavori o appalti, ma di un esame universitario. Quello che la figlia del capobastone di Marina di Gioiosa Jonica deve sostenere all`Università della Calabria. «Occorreva che la figlia del boss – scrivono gli investigatori – superasse un esame senza disagio e sforzo alcuno e il rischio correlato di sottoporsi alle incertezze di una prova». Il politico (Agrippo) «era pronto per allestire un esame pro forma, coinvolgendo attraverso tale Gaetano di sua conoscenza il titolare della cattedra e i suoi assistenti». Queste le valutazioni, poi si entra nel campo delle indagini. Ed è bene specificare che tra il docente e il boss (così come tra il docente e lo stesso Agrippo) non sono documentati contatti diretti. Ci sono una telefonata – quella che serve per organizzare l`esame – e un riscontro – il superamento della prova da parte della studentessa. E c`è un nome, quello del docente titolare della cattedra. Ma scendiamo nel dettaglio. Lo scopo della macchinazione è che «la figlia di Aquino sostenesse un esame pro forma con gli assistenti nella sua stanza ove si sarebbe dovuta presentare la ragazza sostenendo di aver preso accordi per l`esame, con l`accordo che, se la cosa fosse emersa, si sarebbe spiegato tutto sostenendo che si era trattato di un esame straordinario per ragioni di salute». Il tenore della telefonata è sintomatico della grande confidenza tra Agrippo e “Gaetano”. E della sicurezza di riuscire nell`intento in pochissimo tempo («passa un minuto di là a poi va a lezione»). La figlia del boss dovrà andare «alle tre e mezza nella stanza del professore Rubino… lei va dal professore, lui non ci sarà, ma non ci sarà volutamente», dice “Gaetano”. Al suo posto ci saranno gli assistenti. La giovane dovrà dire di aver parlato col professore e che deve fare la prova orale. Ribadiamo, non ci sono intercettazioni dirette che coinvolgano il professore e non ci sarebbero neppure gli elementi per certificare di chi si tratti. Ma all`Unical c`è solo un professore Rubino. Si tratta di Franco, ex preside di Economia, eletto direttore del dipartimento di Scienze aziendali e giuridiche. Le rassicurazione di “Gaetano” sono fondate («loro sanno che devono fare e chiudono la partita») e il piano va in porto. È Rocco Aquino in persona a fornire le ultime indicazioni a sua figlia («vai a bussare che c`è l`assistente e gli spieghi chi sei e chi non sei»). Tutto funziona alla perfezione. Alle 15.31 (l`appuntamento era alle 15.30, ndr) la figlia chiama Aquino e gli dà la buona notizia: ha preso 30 e si prende un «ah… brava!» in risposta. (0050)

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