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«Ergastolo per Nino Perla»

Una gomitata che urta un bicchiere, un cocktail che cade, una lite, gli schiaffi: è questo il movente che secondo gli inquirenti ha indotto il ventiduenne Nino Perla a uccidere Eduardo Bruciafreddo…

Pubblicato il: 18/03/2013 – 14:55
«Ergastolo per Nino Perla»

Una gomitata che urta un bicchiere, un cocktail che cade, una lite, gli schiaffi: è questo il movente che secondo gli inquirenti ha indotto il ventiduenne Nino Perla a uccidere Eduardo Bruciafreddo, freddato sull’uscio di casa il 3 agosto 2010 a Ravagnese, nella periferia sud di Reggio Calabria. A sparare, sarebbe stato il suo coetaneo Antonino Perla, figlio di un uomo “di rispetto” della zona – quel Matteo, detto Giorgio, coinvolto nell’operazione “Alta tensione” – che non ha voluto perdonare quello che per lui è stato un imperdonabile affronto, uno “sgarro” consumato poche settimane prima davanti al locale il “Gatto matto”, noto ritrovo dei giovanissimi reggini in pieno centro città. Un delitto per il quale il pm Antonella Crisafulli nel corso della sua requisitoria ha chiesto oggi l`ergastolo.  
Una richiesta di condanna durissima per un ragazzo poco più ventenne ma ritenuto autore di un delitto efferato, che nell`ordinanza di custodia cautelare che ha mandato Perla dietro le sbarre già il gip sottolineava con parole lapidarie: «La sproporzione assoluta tra la causa e l’effetto, ossia tra un litigio originato da motivi di scarso spessore e l’uccisione di un uomo è talmente eclatante da risultare sintomatica di una personalità dominata da una scala di valori che è propria di un ambiente malavitoso e che contrasta insanabilmente con le regole dello Stato e dell’agire civile. Tali considerazioni servono a sottolineare la particolare riprovevolezza morale e sociale della spinta al delitto».
A inchiodare il giovane sicario, la determinante testimonianza del fratello della vittima, Maurizio Bruciafreddo, che dopo un’iniziale ritrosia – giustificata con l’intenzione di vendicarsi – ha steso fiumi di verbali di fronte agli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria. «La sera dell’omicidio mi trovavo in compagnia di mio fratello Eduardo e precisamente in cucina. Ricordo che stavamo sorseggiando una birra quando, dopo circa 15-30 minuti dalla fine del cartone animato dei “Simpson”, dunque intorno alle 21.15, è suonato il campanello di casa. Eduardo si è affacciato al balcone di casa e, in risposta alla mia richiesta di chi fosse, mi ha fatto segno di lasciar perdere che si sarebbe occupato lui della vicenda».
È una testimonianza precisa e dettagliata, quasi marchiata a fuoco nella mente del ragazzo che ricorda – momento per momento – cosa sia successo quella sera:  «Si è diretto verso la porta d’ingresso dell’appartamento dopo aver chiuso alle sue spalle la porta della cucina e, dopo due-tre secondi, ho sentito il primo sparo e, d’istinto, mi sono alzato verso il corridoio. Nel frattempo venivano sparati altri due colpi. Aprendo la porta della cucina mi sono trovato di fronte Eduardo che si teneva il collo con una mano e si manteneva ancora in piedi. Ho chiesto a mio fratello chi avesse sparato ma non ho ottenuto risposta poiché Eduardo non ce la faceva a parlare. A quel punto ho provveduto ad appoggiare mio fratello contro l’angolo cottura della cucina e sono corso giù per le scale dello stabile».
È questo il racconto fatto dal fratello della vittima di quella tragica sera. Una sequenza dettagliata, rimasta vivida e precisa nella memoria: «Mentre scendevo di corsa le scale ho sentito il portone chiudersi. Effettivamente, giunto sul pianerottolo, avevo necessità di girare la maniglia e uscire in strada. Istintivamente mi voltavo dapprima verso sinistra senza notare la presenza di alcuno, successivamente verso destra, cioè verso il punto in cui il mio palazzo dà ad angolo con la stradina che scende verso il vicino vallone dove si trova il torrente. Percorsi pochi metri, notavo la presenza di un soggetto di sesso maschile, dell’apparente età di circa 20-25 anni, alto circa 1.70 metri, ben piazzato fisicamente, vestito di nero e con capelli neri a punta, cioè cosparsi di gel. Ho notato che lo stesso camminava con andamento molleggiato, tipico di chi avesse assunto sostanze stupefacenti. Preciso che ho avuto modo di osservare questo giovane da due angolazioni, prima di fianco e poi di spalle e l’ho riconosciuto per Nino Perla, figlio di Giorgio».
Parole che il ragazzo ha ripetuto tanto davanti agli inquirenti, come in aula, mentre è nelle stanze del carcere di Reggio che il ragazzo ha riconosciuto senza difficoltà Nino Perla, nel corso di un incidente probatorio chiesto e ottenuto dal sostituto procuratore. Un’identificazione determinante e che gli avvocati Francesco Calabrese e Carlo Morace hanno tentato di smontare nel corso dell`istruttoria sostenendo l’impossibilità di riconoscere l’omicida nei momenti di concitazione seguiti al delitto. Tutti elementi che il prossimo 25 marzo toccherà al Tribunale valutare.

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