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L`IMPERO DI DON ROCCO | Anche il Comune nel suo feudo

Tra le trentasei pagine necessarie agli inquirenti per elencare tutti i beni da sequestrare a Rocco Musolino, il Comune di Santo Stefano non c’è. Eppure – se in Italia fosse possibile per un privat…

Pubblicato il: 03/04/2013 – 7:49
L`IMPERO DI DON ROCCO | Anche il Comune  nel suo feudo

Tra le trentasei pagine necessarie agli inquirenti per elencare tutti i beni da sequestrare a Rocco Musolino, il Comune di Santo Stefano non c’è. Eppure – se in Italia fosse possibile per un privato cittadino possedere un pezzo di Stato – le istituzioni del piccolo centro aspromontano sarebbero “roba sua”. Del resto, Musolino non è un cittadino come tanti. Uscito indenne da decenni di indagini a suo carico, per i pm assieme a boss del calibro di Francesco Serraino e Francesco Gioffrè, era l’anima imprenditoriale del trio che comandava incontrastato tutto l’Aspromonte, dal versante jonico a quello tirrenico. Sarebbero i “saggi”, coloro senza il cui consenso nessuna decisione importante poteva essere assunta. Un ruolo di privilegio che,  anche dopo la morte dei due e nonostante il riassetto seguito alla seconda guerra di `ndangheta, Musolino avrebbe continuato a mantenere e avrebbe ostinatamente esercitato soprattutto nel suo personalissimo feudo, Santo Stefano d’Aspromonte.

IL FEUDO DI DON ROCCO
L’informativa alla base del sequestro record che ha spogliato l’anziano consigliori dei clan, parla chiaro: “Musolino può contare sulla collaborazione di persone, impiegati e dipendenti comunali oltre che di esponenti della minoranza del consiglio comunale che in qualche maniera lo tengono aggiornato su tutto quello che succede all’interno del Comune aspromontano, nonché l’esistenza di una sorta di coalizione atta ad ostacolare la normale attività amministrativa dell’ente comunale”.
Uomini come il responsabile dell’Ufficio tecnico, Francesco Iatì, che – secondo gli inquirenti – per don Rocco cercherebbe carte e farebbe visure camerali, determinerebbe appalti scrivendo i bandi in base a cui saranno assegnati e lo informerebbe di quanto avviene al Comune, e – sempre secondo quanto emerso – quando il vecchio patriarca chiama, lui corre. Così come sarebbe uomo di Musolino, il consigliere di minoranza, Omar Cristian Coppola, ma soprattutto il nipote di don Rocco Francesco Malara, ex sindaco di Santo Stefano, proprio negli anni in cui il Comune verrà sciolto per mafia. Un Comune che don Rocco pretenderebbe di continuare a governare tramite persone a lui fedeli.  

LE ELEZIONI DEL 2010
E così – emerge dall’informativa – il patriarca avrebbe agito almeno fino alla primavera del 2010, quando a giocargli un brutto tiro è Michele Zoccali, attuale sindaco di Santo Stefano, cugino di Malara e nipote acquisito di Musolino, che in occasione di quella competizione elettorale decide di presentare una propria lista, “Insieme sulla via del cambiamento per Santo Stefano-Lista Zoccali”. Uno smacco, tanto per l’anziano patriarca, come per il cugino Malara che intercettato dagli inquirenti si lamenta: «Quando lo abbiamo candidato… quando pagammo… facemmo la lista, quello non sapeva neanche cosa voleva dire fare una lista di gente, prendere le firme, andare alla prefettura… non le sapeva nemmeno queste cose… omissis… un anno dopo, coso lordo che non sei altro, un anno dopo, mi giri le spalle e nemmeno mi conosci? — omissis — sono sempre stato tranquillo e zitto …inc… ma tu non puoi venire e tagliarmi le gambe a me! Ti ho fatto il carico pesante per farti passare!…[…]».
A loro, afferma Malara parlando con lo zio, Rocco Musolino, il neo oppositore deve l’inizio della propria carriera politica. Una circostanza che Zoccali non ha negato, ma che a suo dire sarebbe stata anche l’origine della rottura dei rapporti con i due. «Al momento della competizione elettorale che portò alla mia prima elezione, io ebbi l’appoggio – o meglio, la non opposizione – del Musolino e di Malara Francesco. Anzi, nella lista elettorale da me guidata vi erano alcuni esponenti indicati dai predetti, tra cui Cannizzo Rosario, Penna Vincenzo, Belmonte Luigi e Priolo Elisa. Successivamente alla nomina a sindaco i predetti Musolino e Malara pretendevano di nominare alcuni membri della giunta comunale, ma io mi rifiutai di cedere. Pertanto nel corso della legislatura, i rapporti col Musolino si deteriorarono tanto che, a distanza di un paio d’anni dalle elezioni, le nostre relazioni si sono interrotte del tutto».
E proprio il gran rifiuto di «valorizzare» i segnalati, «maltrattati e penalizzati» secondo Malara, sarebbe stato la causa scatenante della rottura. Un momento che Zoccali ricorda con precisione e mette a verbale: «Nella composizione poi della giunta, una volta vinte le elezioni, le prime elezioni, (..inc…) al momento della giunta, ovviamente ci sono state delle discussioni, dei momenti in cui mi era stato offerto il fatto di far entrare in giunta due dei miei e due dei suoi, (…inc…) allora ho detto no, la giunta la faccio io punto e basta, questo è il momento di rottura».

LE CONTROMISURE DI DON ROCCO
Una rottura che alle successive consultazioni della primavera 2010 – quando Zoccali si presenta per la conferma e contro di lui trova «una lista costituta appositamente contro di me» – sarebbe diventata guerra aperta, che travalica la competizione elettorale e sarebbe diventata anche guerra politica, personale e familiare. Un conflitto in cui – il vecchio patriarca lo sa – Franco Malara non può e non deve partecipare apertamente: «Quando si mette Franco Malara – si legge in un passaggio delle tante conversazioni intercettate – con questo bordello che c’è, visto che lui sott’occhio, ci sarebbero bordello e pasticci. Quando fanno sindaco Franco Malara… omissis… e non solo incolpano lui ma anche Malara, e per questo motivo non vuole che Malara si immischi: “Sicuramente si immischia all’esterno e non si discute, tutto un altro discorso, ma che si deve immischiare a fare il sindaco… toccano a me e a lui pure..e io non voglio che… ha famiglia, un lavoro…inc…sicuro al 100%”…[…]».
Sarebbe stato meglio trovare un candidato esterno alla famiglia, far migrare i grandi esclusi del primo mandato di Zoccali al Comune – Cannizzo Rosario, Penna Vincenzo, Belmonte Luigi – nella lista creata da don Rocco e lavorare per raccogliere il maggior numero di consensi. Se necessario – emerge dalle carte – sarebbe avvenuto con le minacce esplicite – come quella di mancato rinnovo dell’appalto, in seguito puntualmente eseguita, rivolta al presidente della coop che si occupa della gestione della seggiovia – o le pressioni sull’aspirante sindaco, perché rinunci, o sulla popolazione in generale, perché si ricordi chi è don Rocco Musolino.

GUERRA A SANTO STEFANO
Una guerra senza quartiere, che rende l’aria di Santo Stefano irrespirabile, come testimonia lo sgrammaticato esposto anonimo che nell’aprile 2010 arriva in Procura: «Viviamo sotto continuo ricatto di don rocco musolino che quando ci sono elezioni non lascia in pace a nessuno perché deve comandare lui e basta ogno 5 anni quando si vota per il sindaco lo deve scegliere lui che prima gli piace poi alla fine lo caccia sempre perche ce suo nipote francesco malara che siccome non si puo presentare vuole che si presenta sindaco chi vuole lui. questa volta vogliono cacciare quellaltro nipote michele zoccali che ha fatto il sindaco questi 5 anni (….) lo zio e uscito dall’arresto a casa sua e da nuovo e tornato nel paese e hanno chiamato per fare sindaco un signore che e stefanito (di Santo Stefano, ndr) ma nel paese non se visto mai eppure lo portano per sindaco e con le buone e con le male deve fare il sindaco lo chiamano cumpari toto musolino unaltro che ora lo mettono e fra cinque anni lo cacciano perche gli fanno firmare tutte le carte cosi fanno quello che vogliono e poi la giustizia attacca a lui e non a quelli che comandano di fare le cose. I giornali parlano di questo re della montagna sapete un carbonaio che ha rubato tutta la vita ed e padrone di tutto anche della caserma dove stanno i carabinieri e della casa del parco dellaspromonte vedete se potete fare qualche cosa per liberare uesto paese da questi delinguenti».

VITTORIA SHOCK E
INIZIANO I GUAI

Un appello che sembra presagire una nuova vittoria per il candidato di don Rocco, con il conseguente mantenimento della dittatura di miele del “re della montagna”. Uno che – secondo gli inquirenti – nella vita ha sparato poco o mai, ma con i soldi avrebbe saputo decidere le sorti di paesi e comunità. Ma nella primavera 2010, per venti voti, il sindaco di Santo Stefano è di nuovo Michele Zoccali. Un risultato che avrebbe fatto infuriare tanto il patriarca, come Malara, che in paese non avrebbero esitato a presentare il conto a quanti credevano “a disposizione”. È il caso di Roberto Megale, figlio di quel Francesco indagato per aver favorito la latitanza del boss Giuseppe Iamonte, arrestato proprio a Santo Stefano. E a lui, tanto don Rocco come Malara, rivolgono parole più che esplicite: «Roberto, lo sai che ti voglio bene e ti rispetto, ma tuo padre nei miei confronti si sta comportando proprio in modo balordo e brutto… è una vita che piange tuo padre… è una vita che ti do tutte cose… nella famiglia… e che modo è che si comporta in questa maniera? Vale più Cannizzaro di me? A questo punto arrivammo? Digli a tuo padre che mi chiamo Rocco Musolino e non Cannizzaro, perciò faccia ciò che vuole, gli sembra che sta andando bene?», tuona il patriarca, registrato dagli investigatori. Ancor più esplicito è l’ex sindaco Malara: «Se lui vuole dare il voto, lo vota zitto zitto… omissis… deve essere corretto un cristiano… uno sceglie una linea e tiene quella linea. La deve tenere sempre quella linea no? Penso che il messaggio fu chiaro. Nella cabina se glielo voleva dare il voto a Cannizzaro glielo dava, ma pubblicamente tuo padre doveva prendere parte con noi! Pubblicamente doveva prendere parte con noi tuo padre e non si discute, Roberto! Coi rapporti che ci sono e con la stima che ci fu nella vita l’uno con l’altro».
Ma soprattutto – sospettano gli inquirenti – i due si danno da fare per rendere la vita impossibile – tanto dal punto di vista amministrativo, come personale – a Zoccali per spingerlo alle dimissioni. E mentre c’è chi avrebbe fatto di tutto per ingolfare l’attività del Comune, all’indirizzo del neosindaco arriverebbero messaggi difficili da equivocare. «Io ho subito due… non so come chiamarli, nella mia casa a Gambarie ci sono state due volte …. una volta hanno asportato il barbecue, la scala, insomma una cosa dimostrativa insomma, assolutamente, (…inc…) entriamo quando vogliamo, facciamo quello che vogliamo, in ultimo ho trovato la tavola apparecchiata dentro casa…[…]. Poi un’altra volta sono entrati ed hanno tagliato tutte le lampade … le lampade esterne del… perché … non è che è una casa grande, è una casa piccola, ci sono quattro lampioni esterni per … li hanno segati nettamente. In seguito a questo poi c’è stata una lettera, indirizzata al mio consigliere, al consigliere Penna, di tipo intimidatorio chiaramente e lui l’ha portata in consiglio, l’ha letta in consiglio, (…inc…) del consiglio, quindi l’ha esplicitata verso la popolazione, poi ci sono stati altri atti vandalici, cioè tutto un susseguirsi di piccoli atti vandalici all’interno del Comune».
Minacce più che esplicite, il cui significato – qualora non fosse stato compreso – sarà lo stesso don Rocco Musolino – emerge dall`informativa – a spiegarlo a Zoccali, in occasione di un incontro “chiarificatore”, seguito a una missiva velenosa ricevuta dall’anziano patriarca. Uno scritto di cui Musolino chiede conto al neosindaco che non può che affermare – mette a verbale di fronte agli inquirenti – che «pur facendo il sindaco, non avevo alcun potere sulla circolazione dei predetti anonimi. Il Musolino, significativamente, mi invitò a dimettermi, lasciando intendere che successivamente anche gli anonimi avrebbero smesso, di conseguenza, di circolare». Parola di don Rocco, padrone di Santo Stefano. (0050)

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