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«Il rapimento di Berlusconi sfumò grazie alla P2»

REGGIO CALABRIA «La ‘ndrangheta non è mai stata solo un’organizzazione criminale», dice Alessia Candito, giornalista del Corriere della Calabria e autrice del libro “Chi comanda Milano”. La mafia c…

Pubblicato il: 05/04/2013 – 22:23
«Il rapimento di Berlusconi sfumò grazie alla P2»

REGGIO CALABRIA «La ‘ndrangheta non è mai stata solo un’organizzazione criminale», dice Alessia Candito, giornalista del Corriere della Calabria e autrice del libro “Chi comanda Milano”. La mafia calabrese è anche e soprattutto altro: affari, potere, convergenza con i sistemi deviati, la massoneria, l’eversione nera. «È espressione di una elite economica che vuole rimanere tale». Cioè un modo attraverso cui è possibile garantire la perpetuazione delle classi dominanti, lo strumento di cui l’apparato istituzionale “occulto” che muove i fili del Belpaese si è servito per mantenere posizioni ben consolidate.
La ‘ndrangheta è una piovra trasversale, capace di cambiare pelle adattandola ad habitat differenti. Ed è su questa capacità di metamorfosi che si concentra il volume scritto dalla Candito, presentato questo pomeriggio a Reggio nella sede della Provincia. La presenza capillare e vincolante delle cosche a Milano, in quella che un tempo fu la “capitale morale” d’Italia, è l’emblema di una multinazionale affaristico-criminale in grado di tessere relazioni con qualsiasi interlocutore.
«La ‘ndrangheta – spiega l’autrice – non potrebbe essere quello che è senza rapporti strutturali e sistemici anche con persone non “battezzate”, o che non hanno mai impugnato un’arma». Soggetti che a loro volta hanno bisogno dell’apparato criminale «per mantenere il sistema». Sorge allora il dubbio che il tratteggio della storia della più potente lobby criminale del mondo possa corrispondere quasi perfettamente a quello dell’Italia stessa. La trama del Paese (e del libro) si dipana tra pistole e droga, politica ed economia, grembiulini e golpe falliti, leghe secessioniste e strategie autonomiste. Ogni passaggio epocale, alla luce di questa prospettiva, nasconde al suo interno l’ombra lunga di poteri esoterici di cui ancora poco si è scritto e raccontato.
Il libro della Candito è una tappa in questo percorso di ricostruzione dell’“altra verità” di Milano. Quella dell’Expo e dei grandi appalti, dell’economia falsata dai capitali illeciti, delle infiltrazioni mafiose nel tessuto produttivo, politico e morale della città.
Alla presentazione del volume – organizzata dall’associazione culturale Snap e moderata da Aldo Libri – hanno partecipato anche il sostituto procuratore Giuseppe Lombardo e il direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni.
Entrambi hanno affrontato il nodo centrale della questione: l’essenza vera della ‘ndrangheta calabrese e le storiche connivenze delle istituzioni. In questo scenario, Reggio Calabria appare come il crocevia obbligato di ogni svolta italiana. Secondo Pollichieni, la radice è da ricercare negli anni 70, il preciso momento storico nel quale la ‘ndrangheta si è trasformata grazie all’abbraccio perverso con l’eversione nera, la massoneria e alcuni pezzi deviati dello Stato. Un patto blindato e mai rescisso.
Lo dimostra il fatto che «ancora oggi i vertici dello Stato sono pronti a giocarsi la carriera a Reggio», dice il direttore del Corriere, come se la posta in gioco nella città dello Stretto fosse più alta che in altre parti del Paese: «Saremo perseguitati a vita dalle devianze istituzionali. Non siamo mai stati periferia quando l’“impero” ha dovuto stabilire le sue strategie politiche». Pollichieni elenca alcuni passaggi chiave: «L’appoggio al golpe Borghese è stato deciso durante una riunione a Pizzo Calabro. Mentre quando il terrorista nero Franco Freda ha avuto la necessità di nascondersi, si è rivolto alla famiglia Barreca di Pellaro. E lo stesso si può dire circa la strategia secessionista della Lega Nord e delle altre leghe del Sud».
La Calabria (e la ‘ndrangheta) è al centro di tutte le dinamiche perverse che riguardano il destino dell’Italia. Il piano per rapire Silvio Berlusconi (i cui inediti retroscena sono raccontati nel numero in edicola questa settimana del Corriere della Calabria) va riletto in questa prospettiva. Perché il sequestro organizzato dai clan della Locride sfuma? «Perché Berlusconi – osserva Pollichieni – rispetto agli altri imprenditori del Nord aveva qualcosa in più, che a Platì non conoscevano ma a Reggio e Palermo sì: la P2». La ‘ndrangheta reggina e la mafia siciliana diedero insomma protezione al “massone” Berlusconi. Perché – probabilmente – queste diverse entità trovavano, e trovano tuttora, una loro sintesi in una camera di compensazione comune.
La compenetrazione di lobby e poteri distinti è allora totale. Per questo – ad avviso di Pollichieni – «non è possibile addebitare responsabilità alla società civile, che deve essere assolta anche in virtù di quello che avviene nei palazzi della Procura, dove alcuni “eroi” sono caduti per mani istituzionali. Spesso a colpire non è solo la lupara». ???
Ed è in quella stessa Procura che, secondo il procuratore Lombardo, è necessario «mettere i guanti per andare a cercare negli archivi». Un passaggio fondamentale per comprendere davvero il fenomeno mafioso. Per il sostituto reggino «non si può capire la ‘ndrangheta di oggi senza conoscere quella del passato». Per questo bisogna cercare anche laddove altri magistrati hanno decidere di non mettere il naso, nel tentativo di ricostruire il «puzzle», cioè la vera struttura criminale che domina a Reggio e nel resto del Paese. Il tutto senza «continuare con lo smembramento delle indagini, che non porta a nulla», perché «non c’è una ‘ndrangheta di Reggio e una di Milano: esiste un organismo unico che indossa l’abito che quel particolare contesto richiede». A Reggio come in Lombardia.
È allora impossibile decifrare quel mondo senza l’aiuto di chi lo conosce dal di dentro, quei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono osteggiate da molti pm ma che Lombardo continua a ritenere essenziali per l’attività investigativa.
«Questa città è stanca di ricostruzioni soggettive, ha bisogno di verità oggettive – continua il magistrato –. Finché qualcuno continuerà a parlare di semplici suggestioni, saremo vittima di un grande inganno. Se ancora oggi siamo impegnati nella lotta alla ‘ndrangheta, vuol dire che qualcosa negli anni corsi non è andata per il verso giusto. Con le tecnologie di cui disponiamo dobbiamo andare oltre, senza accontentarci di verità di facciata. Reggio aspetta risposte, ma qualcuno deve fare le domande giuste». (0070)

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