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Le trame oscure dell`“avvocato del diavolo”

Frode, truffa, riciclaggio, esercizio abusivo della professione più altri venticinque capi di imputazione per i quali i giudici londinesi hanno condannato a quattordici anni di carcere Giovanni Di …

Pubblicato il: 07/04/2013 – 15:57
Le trame oscure dell`“avvocato del diavolo”

Frode, truffa, riciclaggio, esercizio abusivo della professione più altri venticinque capi di imputazione per i quali i giudici londinesi hanno condannato a quattordici anni di carcere Giovanni Di Stefano. Chiacchierato affarista, assurto agli onori delle cronache per i falliti tentativi di rilevare il Campobasso calcio e gli studios della Metro Goldwyn Mayer, deve la sua notorietà alla lunga lista di controversi clienti che ha difeso nelle aule di tribunale. Non a caso per i media mondiali era considerato l’”avvocato del diavolo”.
Da Saddam Hussein, al suo braccio destro e consigliere politico Tariq Aziz, passando per il capo dei servizi segreti iracheni Ali Hassan al Majid detto “Alì il chimico”, da Slobodan Milosevic al leader paramilitare serbo Zeljko Arnatovi, conosciuto come la “tigre Arkan”, dal dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe al serial killer Jeremy Bamber, Di Stefano, pur non avendo mai conseguito una laurea, ha difeso tutti questi personaggi.

“AVVOCATO DEL DIAVOLO”
Ma Giovanni Di Stefano non è un semplice truffatore. Il suo nome compare in alcune delle pagine più buie e non ancora del tutto chiarite della storia della Repubblica italiana, associato a quel nucleo di boss, faccendieri, massoni deviati e politici che il procuratore di Palermo, Roberto Scarpinato iscrive nel registro degli indagati nell’ambito di Sistemi criminali, l’inchiesta che individuava l`opa delle mafie sulla nascita delle leghe regionali. Stando all’ipotesi investigativa, tra il 91 e il 93 Cosa nostra avrebbe progettato di dividere, con un golpe, il Meridione dal resto d’Italia con l’appoggio della massoneria deviata e dell’estrema destra. La nuova alleanza si sarebbe consolidata sulla base di un progetto separatista che avrebbe avuto come punto di forza quello proveniente da Nord. La strategia della tensione si sarebbe sviluppata in concomitanza con tale progetto che, alla fine del 93, sarebbe stato improvvisamente bloccato, poiché tutte le forze di Cosa nostra sarebbero andate a favore e sostegno di una formazione politica all’epoca emergente, Forza Italia. Un progetto di cui Di Stefano era elemento di primo piano.
A indicarne ruolo e peso sarà il collaboratore Pasquale Nucera, pentito della cosca Iamonte,  che ai magistrati racconterà di quel “piano politico- criminale” elaborato dalla criminalità organizzata e discusso anche il 28 settembre 1991, in occasione della tradizionale riunione annuale di Polsi. Un appuntamento cui, in quell’occasione, avrebbero partecipato non solo rappresentanti delle `ndrine dei tre mandamenti, ma anche uomini delle famiglie napoletane, esponenti mafiosi calabresi provenienti da varie parti del mondo (Canada, Australia, Francia), tale Rocco Zito, in rappresentanza di “cosa nostra” americana e un personaggio di Milano, definito come “un colletto bianco” legato alla mafia siciliana e calabrese.
«Il colletto bianco che aveva una parlata italiana con accenti inglesi o americani si chiama Giovanni Di Stefano – dice Nucera  il 23 agosto 96 ai magistrati palermitani –.  È un italiano, amico di Milosevic, leader militare della Serbia. È un personaggio molto importante che gestisce il traffico di scorie radioattive e la fornitura di armi militari a paesi sottoposti ad embargo, principalmente la Libia».
Ma a Polsi, racconta il collaboratore, Di Stefano non è un semplice ospite. In Calabria, il sedicente avvocato era stato mandato per portare un messaggio. «Di Stefano disse che bisognava appoggiare il nuovo “partito degli uomini” che doveva sostituire la Dc in quanto quest`ultimo partito non garantiva gli appoggi e le protezioni del passato. Alla predetta riunione erano presenti tutti i vari esponenti dei locali della ’ndrangheta. Tra gli altri erano presenti Pasquale e Giovanni Tegano, Santo Araniti, uno dei Mazzaferro di Taurianova e uno dei Mazzaferro di Gioiosa Ionica, che abitava vicino il cimitero, Marcello Pesce, uno dei Versace di Polistena, uno dei Versace di Africo, parente di un certo Giulio Versace, Antonino Molè, il cui cugino fa lo spazzino, due dei Piromalli, Antonino Mammoliti ed altri. Era presente, seppure defilato, Matacena junior “il pelato”, appartato con Antonino Mammoliti di Castellace».

IL PIANO
E agli esponenti di primo piano dei clan, riuniti eccezionalmente in un unico luogo dopo la lunga guerra che dall’85 aveva insanguinato Reggio e provincia, Di Stefano – racconta Nucera – chiede una “pacificazione”. I siciliani delle famiglie americane – spiega il faccendiere ai boss riuniti – avevano bisogno di un regime di concordia per portare a termine la costituzione di un movimento politico di “Cosa nostra” definito “partito degli amici”».
Ma se è Di Stefano a chiedere la pace, in quell’occasione è il boss Francesco Nirta a spiegare i termini di un progetto di cui l’elite della `ndrangheta reggina era fautrice e promotrice. «Nel corso della stessa riunione, secondo il racconto di Nucera – annotano i magistrati palermitani nella richiesta di archiviazione per necessari ulteriori approfondimenti dell’inchiesta Sistemi criminali – il boss calabrese Francesco Nirta avrebbe poi spiegato che si trattava di conquistare il potere politico, abbandonando i vecchi politici collusi che non garantivano più gli interessi mafiosi, e facendo ricorso ad uomini nuovi per formare un partito che fosse espressione diretta della criminalità mafiosa, da portare al successo elettorale attraverso una campagna terroristica. Tale “campagna” si sarebbe realizzata in due fasi: nella prima sarebbero stati eliminati alcuni esponenti dello Stato molto importanti, perché impedivano alla mafia di incrementare il proprio potere; nella seconda si sarebbe passato a destabilizzare, mediante la strategia del terrore, “il vecchio potere esistente”, allo scopo di raggiungere il fine politico prefissato. I nominativi dei possibili obiettivi degli attentati ad esponenti delle istituzioni non vennero però esplicitati in quell’incontro, trattandosi di questioni che venivano decise in riunioni più ristrette».
Già allora il pentito Nucera spiegava infatti –  mentre altri collaboratori confermavano in altra sede – che al di sopra delle gerarchie tradizionali riunite a Polsi esisteva un vertice molto più ristretto, chiamato a prendere le decisioni strategiche, in seguito ratificate alla tradizionale riunione annuale. Un vertice – dirà il pentito Filippo Barreca e con lui importanti collaboratori palermitani come Gioacchino Pennino – di cui fanno parte anche elementi della massoneria deviata e – aggiunge Nucera – anche dei “servizi deviati”. Una commistione, che – sempre secondo il pentito della cosca Iamonte – voluta da Licio Gelli, una presenza abituale in Calabria almeno dagli anni 70,  che per controllare i vertici della ‘ndrangheta, aveva fatto in modo che ogni componente della “santa”, la struttura di vertice delle `ndrine dell’epoca , venisse inserito automaticamente nella massoneria deviata. Affermazioni che trovano conferma tanto nelle rivelazioni di Barreca, tanto in quelle di altri pentiti palermitani come Leonardo Messina e Maurizio Avola.

GLI ALLEATI DELLE LEGHE NEI BALCANI
Un livello a cui Di Stefano avrebbe avuto accesso se è vero che – come un’informativa del 30 maggio del 2000 della Dia conferma – dopo una lunga parentesi nei Balcani, dove «risultato legato a finanzieri serbi e ad esponenti politici vicini all’ex presidente serbo Milosevic, nonché amico del criminale di guerra Zeljiko Razjatovic, meglio conosciuto come Comandante Arkan», rientra in Italia nel 95, stabilendosi a Termoli, dove partecipa con scarso successo, alle elezioni politiche con la formazione di nuovo conio “Lega Sud”. Un’avventura – a detta dello stesso Di Stefano – mirata a «difendere l’unità nazionale contro la Lega Nord di Bossi con oltre 11mila uomini messi a disposizione dal Comandante Arkan». Ma una nota della questura di Campobasso dell’8 maggio 1996
informa anche che Di Stefano avrebbe manifestato l’intenzione di candidarsi nella città di Palermo, annunciando che «Arkan aveva deciso di sovvenzionare l`iniziativa».
Rapporti confermati anche da Rade Cukic, ex ufficiale dei Servizi di sicurezza dell`ex Jugoslavia e divenuto collaboratore di giustizia dopo esser stato coinvolto in un’indagine per traffico d’armi e stupefacenti della Procura di Napoli. Ascoltato dai magistrati palermitani, Cukic nel `99 non solo identifica Di Stefano come “stretto collaboratore” di Arkan, ma afferma di avere appreso che proprio intorno al `94, la Tigre aveva fatto avere alla mafia siciliana in quel periodo un cospicuo quantitativo di armi pesanti e che aveva finanziato un movimento politico italiano denominato “Lega Sud” con somme ingenti di denaro (un milione di dollari all’incirca).
Una delle tante formazioni leghiste che, a cominciare dal `90,  iniziano nel Centro e nel Meridione d’Italia, nello stesso periodo in cui la Lega Nord entra nella sua fase di espansione. «Fenomeno di diffusione – sottolineano i magistrati palermitani – nel quale spiccava il ruolo trainante di personaggi provenienti dalla massoneria deviata e dalla destra eversiva: soprattutto gli odierni indagati Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie».

L`OSCURA OMBRA DEI SERVIZI
Nomi che ritornano e si incastrano, tessere che trovano collocazione in un mosaico agghiacciante e quasi improbabili riscontri nelle parole di personaggi che nulla dovrebbero – almeno in teoria – avere a che fare con questo mondo. Personaggi come Elio Ciolini, ambiguo soggetto «legato – si legge nelle carte – al mondo dei servizi segreti, nonché ad ambienti massonici e dell’eversione nera», ma soprattutto depositario di segreti importanti. Arrestato alla fine del `91, il 4 marzo 1992  –  otto giorni prima dell’omicidio Lima –  Ciolini invia una missiva al giudice istruttore presso il Tribunale di Bologna. Una missiva profetica. Oggetto, “nuova strategia tensione in Italia – periodo: marzo-luglio 1992”.
E sono parole che fanno rabbrividire – soprattutto alla luce degli eventi futuri – quelle che Ciolini scrive al magistrato: «Nel periodo marzo-luglio di quest’anno avverranno fatti intesi a destabilizzare l’ordine pubblico come esplosioni dinamitarde intese a colpire quelle persone “comuni” in luoghi pubblici, sequestro ed eventuale “omicidio” di esponente politico Psi, Pci, Dc sequestro ed eventuale “omicidio” del futuro presidente della Repubblica. Tutto questo è stato deciso a Zagabria  (settembre 91) nel quadro di un “riordinamento politico” della destra europea e in Italia è inteso ad un nuovo ordine “generale” con i relativi vantaggi economico finanziari (già in corso) dei responsabili di questo nuovo ordine deviato massonico politico culturale, attualmente basato sulla commercializzazione degli stupefacenti. La “storia” si ripete dopo quasi quindici anni ci sarà un ritorno alle strategie omicide per conseguire i loro intenti falliti. Ritornano come l’araba fenice».
Tra il marzo `92 e settembre dello stesso anno perderanno la vita, nell’ordine, il senatore Salvatore Lima (12 marzo), il giudice Giovanni Falcone (23 maggio) e il suo collega Paolo Borsellino (19 luglio). Omicidi già previamente programmati – afferma Ciolini prima che gli eventi confermino le sue parole – a Sissak, un piccolo centro nei pressi di Zagabria, nel corso di una riunione svoltasi durante la quale sarebbe stato spiegato in dettaglio il piano eversivo in programma in Italia, che avrebbe ottenuto la benedizione” anche di alcuni esponenti della destra internazionale, tra i quali un americano e un austriaco”, si legge nelle carte. «Il finanziamento di tale organizzazione sarebbe avvenuto con la vendita di grosse partite di stupefacenti e con la gestione di raffinerie di droga». Agli inquirenti, che dopo l’omicidio Lima lo convocano per un interrogatorio, Ciolini «precisava inoltre che tale organizzazione possedeva le “schede” di alcuni esponenti politici italiani di rilievo. E – dicono le annotazioni dei pm –  manifestava preoccupazione per il fatto che taluni documenti comprovanti la sua presenza in Croazia potessero venire in possesso di Licio Gelli».
Ma Gelli non è l’unico soggetto che si temeva fosse a quelle latitudini. «Si noti – sottolineano i magistrati – che Ciolini colloca la riunione, in cui si parlò del piano eversivo, in un centro della ex-Jugoslavia (Sissak) e che proprio nella ex Jugoslavia ha operato per anni l’indagato Giovanni Di Stefano». L’uomo che la condanna dei tribunali britannici ha costretto dietro le sbarre. L’uomo che – se decidesse di parlare – potrebbe contribuire a riscrivere interi capitoli della storia della Repubblica. (0080)

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