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Omicidio Congiusta, Costa: non ho ucciso io Gianluca

REGGIO CALABRIA «Sono qui a chiedere giustizia per un omicidio che non ho commesso. E dicendo questo mi rivolgo anche alla famiglia Congiusta, perché anche loro meritano giustizia e ad ammazzare il…

Pubblicato il: 10/04/2013 – 16:03
Omicidio Congiusta, Costa: non ho ucciso io Gianluca

REGGIO CALABRIA «Sono qui a chiedere giustizia per un omicidio che non ho commesso. E dicendo questo mi rivolgo anche alla famiglia Congiusta, perché anche loro meritano giustizia e ad ammazzare il loro figlio non sono stato io».
In mattinata hanno annunciato una camera di consiglio breve – non più di quattro ore – i giudici della Corte d`appello di Reggio Calabria, chiamati oggi a decidere se, come emerso dalla sentenza di primo grado, il boss Tommaso Costa sia responsabile dell`omicidio dell`imprenditore sidernese, Gianluca Congiusta. Ma nella mente di familiari, amici, associazioni che attendevano – con ansia – la sentenza di secondo grado, rimbombano le parole che il boss ha voluto rivolgere alla Corte e alle parti, approfittando dell`ultima udienza del lunghissimo processo d`Appello, per ribadire la sua versione dei fatti.
«Il fatto che l`intimidazione di cui i magistrati Mollace e De Bernardo sono stati vittime, sia stata associata a questo processo è l`ennesima prova dell`esistenza di un burattinaio dietro tutto questo», dice il boss, ricordando quella busta con un proiettile e «altri due oggetti dal significato inequivocabile e minatorio» che qualche settimana fa è stata intercettata all`interno del Cedir. Un tentativo – forse – di gettare ombre su un`istruttoria che tanto in primo quanto in secondo grado ha lasciato poco margine all`ambizioso capo della cosca sidernese, che con il sangue e il terrore ha tentato di ricostruire l`egemonia dei Costa, polverizzata dai concorrenti Commisso. Un tentativo cui il pg Francesco Mollace – che ha chiesto la conferma della condanna all`ergastolo per Costa e a 25 anni per il suo braccio destro Curciarello – non da né spazio, né respiro. «Tommaso Costa è sempre stato bravo a tarparsi le ali da solo. L`intimidazione che abbiamo subìto doveva rimanere fuori da questo processo e Costa è caduto nell`errore di parlarne, così come è caduto nell`errore di fare l`estorsione a Scarfò», tuona il pg, ricordando quella richiesta che sarebbe stata all`origine dell`omicidio del giovane imprenditore sidernese. Un delitto di cui Tommaso Costa, dice il procuratore, è il responsabile perché «tutte le strategie investigative portano sempre a lui come mandante dell`omicidio».
Una tragedia per cui deve essere finalmente fatta giustizia, «che è una sola – sottolinea Mollace –. Non esiste una giustizia di Costa e una della famiglia Congiusta. La verità è una sola, la giustizia è una sola». Un`affermazione perentoria, ma che non scoraggia Giuseppe Curciarello, coimputato di Costa nel processo d`Appello. Anche lui ha voluto tentare di convincere i giudici della sua verità «di lavoratore, non di mafioso, di una persona a cui hanno distrutto la vita».
Una vita che, uscito dal carcere, a suo dire Curciarello avrebbe voluto indirizzare su binari diversi, consacrandola al lavoro e alla famiglia «ho fatto anche un altro figlio, presidente», dice l`imputato, quasi a sostegno della sua tesi. Nega di non aver mai avuto nulla a che fare con la `ndrangheta, cui è accusato di essere associato, con la droga che è accusato di trafficare, si dice vittima di un procedimento cui «neanche il dottore Mollace crede, ma si è dovuto omologare», afferma Curciarello, che quasi grida. «Non sono il braccio destro di Tommaso Costa, sono un amico di Tommaso Costa – sottolinea –. Quello che ho fatto per Tommaso Costa l`ho fatto per affetto e lecitamente». Affermazioni che cozzano con anni e anni di indagini che lo inquadrano come fidato braccio destro del boss, suo insostituibile collaboratore nella strategia di rinascita della cosca Costa, schiacciata dalla faida decennale con i Cataldo. Tutti elementi – contrastanti, complessi – che i giudici della Corte d`appello di Reggio Calabria sono stati tenuti a valutare. (0050)

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