MILANO I 2.812 resti, in particolare frammenti ossei, ritrovati all`interno di un tombino «sono da identificare in Lea Garofalo». Lo ha spiegato in aula l`antropologa e patologa forense Cristina Cattaneo, consulente della Procura nel processo d`appello sull`omicidio della testimone di giustizia crotonese, sequestrata e uccisa nel novembre del 2009. Secondo la consulente, le condizioni dei resti ossei ritrovati «sono perfettamente coerenti» con il racconto reso dal pentito Carmine Venturino.
Stamani davanti ai giudici sono stati ascoltati l`antropologa Cattaneo e un archeologo che hanno firmato una consulenza tecnica per il pm Marcello Tatangelo dalla quale risulta la compatibilità dei resti ritrovati in un magazzino a Monza con Lea Garofalo. In sostanza, Cattaneo ha spiegato che le condizioni dei resti rintracciati coincidono con la testimonianza del pentito Carmine Venturino, il quale ha raccontato ai magistrati che il corpo della donna venne bruciato e che le ossa vennero spezzate, mentre il cadavere era in fiamme, con una pala. «C`è l`indicazione certa – ha spiegato l`antropologa – che le ossa sono state frammentate durante le combustione». Il consulente ha anche escluso che la donna sia stata sciolta nell`acido, come si era pensato fino alla sentenza di primo grado e prima che il pentito lo scorso luglio facesse nuove rivelazioni sulle modalità dell`omicidio. Il processo dovrebbe proseguire con l`interrogatorio in aula di Carlo Cosco, l`ex compagno di Lea, che nelle scorse udienze ha reso una confessione choc, attribuendosi la responsabilità dell`omicidio dopo oltre tre anni dai fatti.
CARLO COSCO: HO PERSO LA TESTA QUANDO
HA DETTO NON TI FACCIO PIU` VEDERE DENISE
«È stato un raptus, io non volevo uccidere la madre di mia figlia, mi è scattato qualcosa quando lei mi ha detto “non ti faccio più vedere Denise». Così si è difeso in aula Carlo Cosco, l`ex compagno di Lea Garofalo, provando a “smontare” l`ipotesi di un omicidio premeditato di `ndrangheta da lui organizzato. Carlo Cosco, condannato all`ergastolo in primo grado per l`omicidio della testimone di giustizia, aveva confessato di aver ucciso la sua ex compagna nelle scorse udienze del processo d`appello e oggi si è fatto interrogare in aula per spiegare, in sostanza, di aver ucciso ladonna per un “raptus” e non per motivi di `ndrangheta, cioé perché lei stava collaborando. Cosco ha negato di appartenere alla mafia calabrese, come invece aveva sostenuto il pentito Carmine Venturino, uno degli imputati del processo. «Io non avevo intenzione di uccidere la madre di mia figlia, questo lo ripeto per cento anni», ha detto Carlo Cosco, spiegando tra l`altro che dall`estate del 2009 (la donna venne uccisa il 24 novembre del 2009) «mi stavo riappacificando con Lea, avevamo rapporti intimi e ci volevamo rimettere insieme anche per il bene di nostra figlia». La sera del 24 novembre, secondo il racconto di Cosco, lui e Lea si trovavano a Milano in un appartamento di un amico e la donna «mi ha detto brutteparole, mi ha detto `non ti faccio più vedere Denise». A quel punto «gli ho tirato un paio di pugni e le ho sbattuto la testaper terra». Poi, sempre stando alla versione dell`uomo, avrebbedetto a Carmine Venturino e Rosario Curcio, di “aiutarmi” a far sparire il cadavere. L`uomo ha scagionato nel suo racconto i suoi due fratelli Vito e Giuseppe Cosco. «Io non mi sono consegnato – ha aggiunto Carlo Cosco – per paura di perdere mia figlia, perché se non si trovava il corpo non perdevo mia figlia».
DENISE NON CREDE ALLA VERSIONE DEL PADRE
Denise Garofalo, la figlia di Lea non crede alla versione del padre Carlo Cosco, che stamani in aula ha raccontato di avere ucciso l`ex compagna per un “raptus” e non per motivi legati alla `ndrangheta. La ragazza, cha ha assistito all`udienza sotto protezione in un corridoio a fianco dell`aula, ha spiegato a chi le sta vicino che lei vuole la verità e che il racconto del padre «è senza logica». (0050).
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