RENDE «Sono nato a Reggio Calabria, quando c’erano i carri armati nelle strade». Giuseppe Lombardo inizia da qui il suo racconto sulla `ndrangheta, dai giorni inquieti di Reggio, dall’ombra lunga del golpe che si sarebbe dovuto realizzare anche con l’accordo della criminalità. L’aula dell’università della Calabria è piena di studenti e studentesse che prendono freneticamente appunti, durante questa lezione diversa, organizzata dal dipartimento di Pedagogia assieme all’associazione Riferimenti.
Lombardo parla lentamente, cercando di mettere dentro il suo discorso il senso di una battaglia che alla fine, se ne dice certo, sarà vinta. Ma intanto ci sono domande a cui è urgente dare risposte, perché anche così si procede contro la `ndrangheta. Per esempio quasi retoricamente il pm di Reggio si chiede «come sia possibile che malgrado le molte sentenze e le condanne, la `ndrangheta sia ancora viva».
Un modo per dire che il molto già fatto non basta, soprattutto perché occorre cambiare strategia. Nelle parole di Lombardo c’è la gerarchia della `ndrangheta, quella di base, arcaica, che rappresenta l’esercito, e quella sofisticata che controlla il sistema bancario, compra titoli di Stato, «perché il vero potere è quello economico».
Oggi le famiglie sono in grado di intervenire nelle emergenze, ma soprattutto di crearle, attraverso veri e propri attentati all’ambiente. Così le ditte della `ndrangheta sono le prime a intervenire in caso di necessità, mettendo in modo una circolarità perfetta, creare il danno e porvi rimedio. Ma la verità cui deve rassegnarsi chiunque sia impegnato nel fronteggiare la criminalità è che la `ndrangheta è capace di creare attorno a sé consenso sociale. Di fronte a questa realtà le indagini non scalfiscono la sua forza, abbattendosi ancora prevalentemente sul livello più basso, quello della manovalanza, mentre gli affari si diversificano e potenziano le capacità economiche.
E poi attorno al fenomeno resiste ancora una non puntuale informazione. Per esempio, ha spiegato il magistrato, quando si parla di Ponte sullo Stretto si dice spesso che è un affare tra ‘ndrangheta e mafia, mentre si sa che Messina è un locale di `ndrangheta e quindi il Ponte, se realizzato, sarebbe un affare economico che non si dovrebbe spartire con nessuno.
La lezione nell’aula dell’Unical è stata a più voci. Prima di Lombardo ha parlato il giornalista Arcangelo Badolati, che ha spiegato come la globalizzazione della `ndrangheta sia un processo cominciato molto tempo fa, con i contatti con i Lupi Grigi turchi, tenuti dai cosentini Notargiacomo, oppure con l’esercito insurrezionale irlandese e il terrorismo curdo, mentre qui in Calabria si insisteva nel negare la portata del fenomeno criminale. Sembrerebbe che certa informazione e le istituzioni viaggino con un qualche ritardo sulla rapidità di mutamento della ‘ndrangheta, visto che dell’infiltrazione negli ambienti economici e imprenditoriali milanesi se ne parla solo da un po’, mentre quel fenomeno – come racconta ancora Lombardo – cominciò negli anni settanta per iniziativa del boss De Stefano.
Le Gerbere gialle sul tavolo ricordavano l’impegno di Adriana Musella, figlia di una vittima della `ndrangheta e presidente dell`associazione Riferimenti, che con coraggio e tenacia ha combattuto una battaglia per trovare la verità sulla morte del padre, avvenuta perché si era opposto a un appalto chiaramente gestito dalla ‘ndrangheta. Oggi quella battaglia ha fatto nascere l’associazione, perché per sostenere una lotta servono anche dei simboli. (0010)
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