Nessuna garanzia sulle risorse economiche e sul futuro del personale, erano queste le condizioni dell`intesa che il presidente Giuseppe Scopelliti ha sottoposto al rettore dell`università di Catanzaro, Aldo Quattrone. «Una cambiale in bianco» che Quattrone ha rispedito al mittente dopo una lunga ed estenuante riunione negli uffici del dipartimento Salute. In gioco, spiega il rettore, non c`è solo la Fondazione Campanella ma la sopravvivenza della facoltà di Medicina del capoluogo. Il viso del rettore è ancora segnato dalla lunga notte di trattative conclusa con una frase emblematica pronunciata da Quattrone: «Noi non vogliamo essere dei mendicanti». Quello che chiedono i vertici della Magna Graecia è il riconoscimento di quanto spetta all`università, un`istituzione, rimarca Quattrone, «non amata dalla comunità calabrese». Lo dimostrano i fatti. Il protocollo d`intesa siglato nel 2004 da Regione e ateneo prevedeva 450 posti letto, ossia (come stabilito dalle norme nazionali) tre pazienti per ogni studente iscritto al primo anno di Medicina. I continui tagli hanno invece portato alla situazione attuale che vede 150 posti letto dell`Azienda ospedaliera Mater Domini a cui si dovrebbero aggiungere i 43 delle unità non oncologiche della Fondazione. Un depotenziamento che, dice chiaramente Quattrone, rischia di compromettere l`offerta formativa dell`ateneo. Gli effetti sono già ben visibili: delle 30 scuole di specializzazione originarie ne sono rimaste 17. «Non ho mai visto in nessuna parte d`Italia una Regione che penalizza la sua unica facoltà di Medicina. Un comportamento schizofrenico, da una parte si spendono centinaia di milioni di euro per costruire nuovi ospedali e dall`altra si impedisce di formare quei medici che dovrebbero lavorare in quelle strutture». Il rettore non nasconde la sua preoccupazione: «Sappiamo tutti che l`università di Cosenza spinge per ottenere una seconda facoltà di Medicina e può contare sull`appoggio dell`intera classe politica locale, dal presidente della Provincia al sindaco. Non è un retro-pensiero è un fatto oggettivo. Noi comprendiamo le ragioni dell`ateneo cosentino, ma sosteniamo che in una situazione di crisi come quella attuale ci pare impossibile spendere risorse pubbliche per duplicare una facoltà che già esiste, che vanta delle professionalità e può contare su una struttura, pagata dallo Stato, che vale oltre 400 milioni di euro».
L`immediato futuro è legato a quanto deciderà la commissione paritetica chiamata a stabilire se vi sia un`adeguata copertura economica per il passaggio delle unità operative e se sia possibile “salvare” i posti di lavoro della Campanella. I lavoratori della Fondazione non possono essere assorbiti dall`Azienda Mater Domini poiché assunti senza concorso pubblico. Il rettore allora ha proposto una convenzione che manterrebbe i lavoratori in capo alla Campanella, quest`ultima riceverebbe dall`Azienda ospedaliera pagamenti per le prestazioni effettuate. Ci vorranno un paio di settimane per conoscere le risposte della commissione di tecnici. Un ulteriore passaggio dovrebbe avvenire lunedì. Per quella data, ha promesso il governatore, il consiglio regionale dovrebbe approvare una modifica della legge regionale 63 che concederebbe un po` di ossigeno alla Campanella che già da alcuni giorni ha sospeso i ricoveri. Una decisione che Scopelliti non ha approvato tanto da minacciare la sostituzione dei vertici della Fondazione. Un comportamento paradossale quello del governatore secondo il presidente del Cda Paolo Falzea. «Il presidente sa bene che il blocco era una scelta obbligata, non possiamo continuare a contrarre debiti senza aver certezze sul futuro della struttura. Mi sarei aspettato un`assunzione di responsabilità da parte della classe politica». La Fondazione è con l`acqua alla gola, solo oggi sono arrivati altri due decreti ingiuntivi, mentre i sindacati lanciano l`allarme per l`avvio della procedura di licenziamento collettivo e di messa in mobilità per il personale della Campanella. «Siamo fortemente allarmati – affermano i segretari generali territoriali di categoria Tonino Meliti (Cgil), Antonio Bevacqua (Cisl) e Francesco Caparello (Uil) – per lo scenario che si potrebbe prefigurare nel tessuto socio-economico della città e del circondario per la perdita dei 257 posti di lavoro che graverebbero sul sostentamento di altrettante famiglie, delle quali molte monoreddito. È impensabile che in una Regione con altissimo tasso di disoccupazione, invece di creare nuove occasioni di lavoro per i giovani e i disoccupati, si perdano i posti di lavoro esistenti. In più occasioni abbiamo registrato e, per quanto di nostra competenza, ragionato sullo stato di crisi economico-finanziaria per come denunciata dai responsabili della Fondazione. Fra i tanti momenti di confronto, per affrontare lo stato di crisi della struttura, come sindacato abbiamo sempre ribadito le necessità primaria di salvaguardare i posti di lavoro unitamente all`erogazione di un servizio qualificato ed efficiente in un settore di sofferenza molto delicato e particolare sia per i malati che per i loro familiari».
«Sollecitiamo ogni urgenza – sostengono ancora i segretari generali territoriali – nell`affrontare in termini risolutori la gravissima vicenda, che ribadiamo non è solo occupazionale ma investe il grave problema del diritto all`assistenza e cura di centinaia di malati. Facciamo appello affinché, pur nel quadro del Piano di Rientro cui è sottoposta la Regione, si trovino le giuste soluzioni per garantire la continuità nell`assistenza e cura ai malati oncologici e vengano salvaguardati i 257 posti di lavoro messi in discussione con l`avvio della procedura di licenziamento collettivo e di messa in mobilità».
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