La protesta dei lavoratori delle società miste che segue quella del Terzo settore e delle categorie produttive dimostra che nella nostra città i diritti sociali di cittadinanza non vengono garantiti né ci sono prospettive, seguendo l’attuale impostazione, che potranno esserlo nei prossimi anni.
Non vorremmo certo essere nei panni della terna commissariale che cerca di fronteggiare una sorta di “tempesta perfetta” tra dissesto e recessione, debiti e pressione fiscale, scioglimento per infiltrazioni criminali e crisi fiscale e di idee dello Stato, novità normative e supporti consulenziali insufficienti.
Tuttavia la terna commissariale, cui tutti noi ci siamo rivolti con il dovuto garbo per la qualità degli uomini e il delicato e straordinario ruolo che esercita, deve prendere atto che alcune delle scelte effettuate sinora sono inidonee a conseguire gli obiettivi che si prefigge.
I commissari-sindaci hanno due grandi questioni da affrontare: il risanamento finanziario e l’erogazione dei servizi in termini di livelli essenziali delle prestazioni.
Diciamo crudamente come la pensiamo sulla prima. Il piano di riequilibrio proposto è un rimedio peggiore del male perché non tiene conto di una serie di fatti. Già i professori Marino (Università Mediterranea) e Jorio (Unical) hanno avuto modo di esporre critiche condivisibili ad un Piano di riequilibrio calibrato su una sottostima evidente dei debiti fuori bilancio e una previsione di incasso a dir poco miracolistica.
Non vogliamo indugiare in questa sede sui dati economico-finanziari che sono chiari per chi li vuole vedere e la cui traiettoria era altrettanto chiara da molti anni. Ci preme però sottolineare come sia fuorviante credere di equilibrare un dissesto sul presupposto di avere scoperto una scarsa riscossione delle entrate in Calabria.
È vero invece che le entrate, specie per gli enti gestiti con maggiore disinvoltura, non sono vere e quindi affidare il futuro di una comunità nel pieno di una depressione economica ad un aumento vertiginoso della riscossione di entrate false è un non senso e porta al disastro e a mandare in default anche il futuro.
È ora di dirlo chiaro (o meglio di ridirlo e riscriverlo): Il Comune di Reggio è in dissesto. Lo stesso giudice della Corte dei conti lo ha scritto e ha dedicato intere pagine ad evidenziare i vantaggi della sua presa d’atto per i cittadini e le imprese rispetto all’attuale situazione di dissesto non dichiarato.
L’estensore del provvedimento numero 309 della Corte dei conti calabrese ha espresso non opinioni personali ma il contenuto delle leggi in vigore.
Non vogliamo nemmeno pensare che ci sia qualcuno portato a pensare che la recente legge regionale “salva Scopelliti e rovina Reggio” sull’utilizzo dei proventi della vendita dei beni disponibili possa aiutare in qualche modo la città.
Il problema vero è che la procedura scelta di predissesto non solo non aiuta l’economia cittadina ma ha aumentato il debito di oltre 50 milioni di euro direttamente. Sottrae cioè ai reggini da una parte la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, dall’altra la possibilità di una ripresa in un tempo ragionevole, mentre non garantisce alle stesse imprese la par condicio creditorum né la speranza di potere lavorare per un pubblica amministrazione che non sia fallita.
Non sappiamo sulla base di quali considerazioni si sia deciso il Piano di riequilibrio. Quello che appare è che le decisioni sono nate sulla base di elementi errati, peraltro prodotti sostanzialmente dalla stessa macchina (alias le stesse persone) che in questi anni ci hanno regalato bilanci falsi e previsioni errate.
Di più c’è che è insopportabile constatare che mentre chi si è arricchito o impossessato di risorse illegittimamente è ancora saldamente nei posti di comando del Comune e della Regione e a fare le spese del nuovo corso siano stati assenteisti o presunti tali (talune posizioni saranno sicuramente correttamente valutate sia dalla Procura che dai magistrati) addirittura agli arresti domiciliari con l’accusa di avere rubato qualche ora di lavoro.
Non è poi da sottovalutare che nel frattempo le strade sono un colabrodo, la spazzatura è nelle strade, la differenziata non esiste, il servizio idrico è più carente del solito, le scuole spesso sono senza gasolio… In altre parti del Paese tutto ciò ha un nome che è scritto nel Testo unico degli enti locali.
Il Piano quindi è incongruo e proietta la città in una recessione decennale fatta di una pressione tributaria massima ed insostenibile (perché i cittadini dovrebbero subirla senza peraltro servizi?) e non assorbe i debiti fuori bilancio esistenti (come si fa a non contabilizzarli?) traducendosi cioè in una afflizione inutile e fuori squadro rispetto alle previsioni normative. Qualsiesi sindaco futuro non potrà che prenderne atto della situazione.
La seconda questione su cui decidere razionalmente è quella dei servizi comunali.
Nel recente passato si è cercato di criminalizzare un pò per convenienza e un pò per ignoranza il modello gestionale delle società miste. Questo modello è sostanzialmente quello scelto in Italia dai Comuni, grandi e piccoli bravi e meno bravi. L’idea deriva dai principi dell’Economic analisys of law su cui gli Stati più moderni hanno conformato le scelte economiche.
La circostanza che le società miste siano state infiltrate dalla criminalità non identifica un fattore criminogeno strutturale allo strumento ma l’esposizione ad un rischio endemico per il nostro territorio. Semmai la normativa apprestata nella costituzione delle società ha consentito di sciogliere le stesse senza danni.
Sono le scelte fatte dagli amministratori che hanno fatto lievitare i costi delle società. In altri termini se è obbligato lo scioglimento di quelle società nel presupposto dell’infiltrazione non è per nulla logico o utile affidare tutto ai privati. Il rischio è di perdere completamente una dimensione accettabile di controllo e regolazione del servizio, di offrirsi semmai al controllo dei poteri criminali, di abbandonare di fatto i lavoratori.
Le società infatti hanno consentito di stabilizzare oltre 600 lsu-lpu.Nei primi anni la qualità dei servizi è migliorata e solo un’idea malata di amministrazione ha portato allo stato attuale.
Il sindacato è stato con fermezza e competenza a presidio dei diritti dei cittadini che meritano servizi diversi e dei lavoratori che lottano per il proprio lavoro. Le varie proposte avanzate, dalla costituzione di una società in house a quella di una mista con Cassa depositi e prestiti o altre come quella di una multiutilyties sono tutte condivisibili. I commissari devono valutare la soluzione più idonea.
Quello che è certo è che tagliare i costi dell’igiene del 30% sapendo che il 65% di Leonia veniva speso per il personale vuol dire condannarsi a un’estate da paura. I lavoratori di tutte le società miste devono essere tutelati specie in una città in recessione e tramite loro bisogna migliorare i servizi oggi precipitati a livelli inaccettabili. Il tavolo romano può dare un contributo in tal senso.
Ripetiamo, nessuno vorrebbe essere nei panni dei tre commissari. Tuttavia noi reggini abbiamo subito già abbastanza e quindi meritiamo scelte razionali. I commissari si dotino dell’assistenza necessaria perché su queste questioni non sembra che abbiano avuto sinora il supporto necessario.
*Consiglieri regionali del Pd
x
x