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La confessione di Silipo: «Sono stato costretto»

«Sono stato costretto a farlo». È questa la frase che, con le lacrime agli occhi, l`ex vice capo della squadra mobile di Reggio Calabria, Luigi Silipo, avrebbe riferito al sostituto procuratore naz…

Pubblicato il: 09/06/2013 – 7:01
La confessione di Silipo: «Sono stato costretto»

«Sono stato costretto a farlo». È questa la frase che, con le lacrime agli occhi, l`ex vice capo della squadra mobile di Reggio Calabria, Luigi Silipo, avrebbe riferito al sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi.
Il dirigente della polizia di stato, oggi in servizio a Torino, parlava delle indagini che ha condotto nei confronti dell`ex numero 2 della Dna Alberto Cisterna. Un`inchiesta, coordinata dalla Procura di Reggio Calabria, che ha visto il magistrato Cisterna indagato per corruzione in atti giudiziari e accusato di avere rapporti con esponenti della cosca Lo Giudice.
Dopo aver distrutto la carriera del vice di Piero Grasso, l`indagine si è conclusa con una richiesta di archiviazione firmata dal sostituto Beatrice Ronchi e mai accettata da Cisterna. Quest`ultimo, infatti, aveva denunciato l`ex vice dirigente della squadra Mobile Luigi Silipo in quanto avrebbe omesso all`interno dell`informativa depositata il 25 luglio 2011 sulla scrivania dell`ex sostituto procuratore della Dda di Reggio Beatrice Ronchi, alcune intercettazioni telefoniche favorevoli al magistrato, causandogli così un danno.
In particolare, stando a quanto lamenta Cisterna, il vicequestore aggiunto Silipo non avrebbe riversato un`intercettazione fondamentale che dimostrava la sua innocenza nell`inchiesta che lo vedeva indagato per presunti rapporti con Luciano Lo Giudice.
Ma andiamo con ordine e leggiamo cosa racconta il sostituto della Dna, Roberto Pennisi, nell`ambito dell`indagine difensiva condotta dall`avvocato Giuseppe Milicia che ha assistito Cisterna.
È il 18 maggio 2012 quando Pennisi si trova all`aeroporto di Fiumicino dove incontra «il dottore Luigi Silipo, funzionario della polizia di stato a me ben noto per le funzioni da lui svolte alla squadra mobile di Reggio Calabria, città presso la cui Procura della Repubblica ho prestato servizio dal 1991 al 2003».
«Secondo le mie abitudini – prosegue il racconto del sostituto della Dna –, dopo aver volato e prima di salire in macchina per rientrare a Roma, mi trovavo in quell`area per concedermi il piacere di una sigaretta dopo alcune ore di astensione dal fumo. Accanto a me si trovavano il conducente dell`automezzo speciale a mia disposizione e il maresciallo dei carabinieri addetto alla mia tutela. E proprio l`atteggiamento di questi, ad un tratto, mi colpiva in quanto notavo uno stato di allarme. Mi voltavo in direzione della fonte d`allarme e notavo il dottore Silipo che mi si stava avvicinando, sicché tranquillizzai il sottoufficiale dicendogli che si trattava di persona a me nota, appartenente alla polizia. Questi, raggiuntomi, mi diceva: “Posso salutarla?”. Non ebbi alcun piacere nel vedere il dottor Silipo. Ciò perché sapevo che aveva svolto le indagini relative al noto procedimento cui è stato sottoposto il mio collega, Alberto Cisterna, al quale mi legano rapporti di profonda amicizia nati da un decennio di comune, dura e perigliosa azione di contrasto al crimine in Calabria, sempre condotta con dignità, fierezza e spirito di sacrificio».
«Il collega – è scritto sempre nel verbale delle dichiarazioni di Pennisi – mi ha sempre tenuto aggiornato sullo sviluppo di quelle indagini e sulle modalità del loro svolgimento. E non nascondo come le stesse siano state improntate dalla polizia giudiziaria che le svolgeva non alla degna tenacia investigativa, bensì, secondo il mio giudizio di magistrato ed uomo libero, ad un sistema di ricostruzione dei fatti e dei dati investigativi che mi limito a definire non corrispondente al modello da me ritenuto giusto».
Dopo questa premessa, il sostituto della Dna ritorna a parlare di Silipo: «Alla sua domanda (“Posso salutarla?”, ndr) rispondevo di non avere nessun piacere nel vederlo, ma che tuttavia ricambiavo il saluto che non si nega a nessuno. Ricordo che alla risposta data sul mio ottimo stato di salute, aggiunsi che non mi sembrava altrettanto per lui, e che io stavo molto bene perché avevo la coscienza “a posto”, mentre lo stesso forse non poteva dirsi per lui. In effetti debbo dire che Silipo non mi sembrava in buona forma, aveva evidenti occhiaie, mi appariva smagrito rispetto ai tempi in cui lo avevo frequentato; in altre parole si presentava “afflitto”. E proprio tale stato mi indusse, per umana comprensione, a chiedergli se per caso avesse bisogno di un passaggio verso il centro di Roma, visto che non sembrava fornito di autovettura. Egli accettava e, pertanto, lo facevo accomodare sul sedile posteriore dell`auto di servizio alla mia sinistra (mentre nei sedili anteriori prendevano posto il conducente e la tutela) e, quindi, ci avviamo verso il centro».
La conversazione all`interno della macchina blindata cadde nuovamente sull`indagine nei confronti di Cisterna: «Gli dicevo, allora, – continua la ricostruzione fatta da Pennisi – che avevo sempre insegnato ai miei collaboratori della polizia giudiziaria, e anche a lui, ad essere tenaci ed inflessibili nelle investigazioni, ma anche sempre onesti e corretti, come imposto dalla legge a tutti i pubblici ufficiali e, soprattutto, agli operatori della giustizia. Aggiunsi che non mi sembrava nel caso del dottore Cisterna egli si fosse attenuto a quell`insegnamento, per quanto io avevo appreso e constatato. Gli dissi che col dottore Cisterna egli aveva fatto il contrario di quanto avevo insegnato. A tal punto, ricordo che il dottore Silipo con le lacrime agli occhi mi disse che “era stato costretto a farlo”. Fu per me tanto chiaro il significato di quella affermazione che per garbo nei suoi confronti, dato che mi appariva addolorato, e visto che vi erano altre persone presenti in uno spazio angusto che udivano, non volli andare oltre. Ma intesi sottolineare ciò che avevo detto e lui mi aveva risposto, affermando che avevo conosciuto “uomini della polizia” che avevano sacrificato la loro vita per il rispetto della legge».
Stando alle dichiarazioni rese dal magistrato della Dna, quindi, il vicequestore aggiunto Luigi Silipo sarebbe stato «costretto» da qualcuno a condurre le indagini su Cisterna in un determinato modo piuttosto che improntate sull`onestà e la correttezza. Se ciò fosse vero, il verbale di Pennisi farebbe il paio con il memoriale del pentito Nino Lo Giudice che, prima di far perdere le sue tracce, ha ritrattato le accuse contro l`ex viceprocuratore nazionale antimafia sostenendo di essere stato minacciato quando, all`inizio della sua collaborazione, affermò che tra Cisterna e suo fratello Luciano «non c`erano affari illeciti, ma rapporti normali».
Nino il “Nano”, sempre nel memoriale, ha scritto che ai suoi «interlocutori» quelle dichiarazioni non stavano «bene». Gli stessi interlocutori ai quali, se non avesse raccontato «quello che a loro piaceva, mi avrebbero spedito indietro al 41 bis».
Saranno gli stessi interlocutori che hanno «costretto» Silipo?

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