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LA SCOMPARSA DEL NANO | Effetto domino sui processi

Rischia di innescare un vero e proprio effetto domino destinato –  nella migliore delle ipotesi –  a complicare molti dei processi in corso, il memoriale che il collaboratore, tutt’oggi irreperibil…

Pubblicato il: 10/06/2013 – 15:51
LA SCOMPARSA DEL NANO | Effetto domino sui processi

Rischia di innescare un vero e proprio effetto domino destinato –  nella migliore delle ipotesi –  a complicare molti dei processi in corso, il memoriale che il collaboratore, tutt’oggi irreperibile, Nino Lo Giudice,  ha fatto pervenire a Reggio Calabria, chiedendone espressamente il deposito nei processi in cui ha testimoniato. Un’iniziativa necessaria, scrive nello sgrammaticato ma scottante documento, per ritrattare «tutte le mie dichiarazioni che sono palesi e quelle che non sono state ancora rese pubbliche».  Ed è il processo stralcio contro la cosca Lo Giudice per la presunta detenzione illegale di armi il primo a subire l’onda d’urto del memoriale. Alla sbarra, oltre allo stesso collaboratore, ci sono Consolato Romolo, titolare dell’armeria dove sarebbero state segretamente occultate le armi, la compagna del fratello del Nano, Luciano Lo Giudice, Madalina Turcanu, il pentito Consolato Villani, Giuseppe Perricone, Demetrio Giuseppe Gangemi e  Paolo Sesto Cortese, fratello di quell’Antonio che è stato accusato dal Nano di essere l’armiere che ha confezionato le bombe per gli attentati del 2010 a Reggio Calabria. Come espressamente chiesto da Lo Giudice, l’avvocato Giuseppe Nardo, difensore dei fratelli Cortese e destinatario di una delle missive con cui il Nano ha reso pubblico il memoriale, ha chiesto il deposito in atti dello scottante documento e la riapertura dell’istruttoria. Carte che la Corte d’appello, presieduta dal giudice Iside Russo, con Massimo Gullino relatore e Francesco Petrone a latere, ha voluto esaminare con attenzione, ritirandosi in camera di consiglio per decidere come procedere.

MARCIA INDIETRO SULLE ARMI Nel memoriale ci sono infatti affermazioni che attengono direttamente il procedimento in corso. «Le armi acquistate in Austria ( e che la Ronchi mi informò che forse mi stavo sbagliando sulla provenienza, suggerendomi che tali armi erano state acquistate a Reggio Emilia) – ci tiene a sottolineare il Nano – all’acquisto di tali armi non era presente mio fratello Luciano, né servivano a me, ma erano armi detenute legalmente come ho sempre detto, l’unico proprietario era Antonio Cortese perché era appassionato di caccia». Ma Lo Giudice va oltre e spiega ancora: «È vero che ci sono stati tanti passaggi, ma è vero anche che il suocero di mio fratello Luciano era possessore di porto e detenzione di armi, anche lui cacciatore, non è vero che tali armi potessero servire ad un’eventuale guerra, questa affermazione sostenuta in dibattimento è stata solo una mia bugia».
Una marcia indietro totale su quelle “rivelazioni” che inizialmente hanno alimentato il dibattimento e che hanno spinto la Corte presieduta da Iside Russo ad accogliere l’istanza di riapertura dell’istruttoria presentata dall’avvocato Nardo, disponendo l’acquisizione del memoriale, come prova sopravvenuta. Il processo è stato aggiornato al 2 ottobre, un tempo sufficientemente lungo – deve aver giudicato la Corte – perché venga fatta chiarezza sulle circostanze denunciate dal collaboratore nel suo memoriale shock.

ONDA D’URTO ANCHE SU EPILOGO? Ma lo scottante documento del collaboratore potrebbe – a breve – provocare scossoni anche in un altro procedimento ormai giunto quasi alla definizione. Nonostante non faccia esplicito riferimento né alla cosca Serraino, né ai capi di imputazione per cui i cosiddetti ragazzi del “banco nuovo “ – le giovani leve del clan – sono imputati, il memoriale di Lo Giudice tocca uno dei nodi centrali di quel processo: le bombe del 2010. È infatti sulla cosca Serraino che si erano addensati i primi sospetti per quegli attentati, grazie anche – è emerso in dibattimento – a non meglio specificate “fonti confidenziali” che al tempo avrebbero in tal senso indirizzato le indagini. Circostanze che avevano spinto il collegio difensivo di Maurizio Cortese, imputato perché considerato il capo del “banco nuovo”, non solo a chiedere e ottenere l’acquisizione di tutti gli atti di Catanzaro, ma anche a denunciare una presunta operazione di depistaggio. Un’ipotesi che gli avvocati Giacomo Iaria e Luca Cianferoni avrebbero voluto approfondire con una lunga integrazione istruttoria che – nelle intenzioni dei legali – avrebbe dovuto passare attraverso interrogatori eccellenti come quello del presidente della commissione parlamentare Antimafia nel 2010, Beppe Pisanu e di quello del Copasir, Massimo D’Alema, del maggiore dei carabinieri, Gianluca Vitagliano e dell’ex capo della Mobile, oggi trasferito a Roma, Renato Cortese, ma anche del procuratore Salvatore Di Landro  e persino dell’ex talpa dei Servizi – condannato a 16 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa – Giovanni Zumbo e del destinatario di alcune delle sue soffiate, l’appuntato Roccella. Richieste che il presidente del Tribunale, Silvana Grasso ha ritenuto di non accogliere, mentre il pm Lombardo ha deciso di prendere molto sul serio la denuncia dei due legali, aprendo un apposito fascicolo al riguardo. Tutte iniziative che non hanno fatto desistere i due avvocati che in Cassazione hanno presentato istanza di remissione del processo. Fin dalle prime fasi del dibattimento, Iaria e Cianferoni  hanno sempre sostenuto che avrebbe dovuto essere Catanzaro a giudicare la cosca Serraino perché – a loro dire – solo nell’ambito delle indagini sugli attentati del 2010, sarebbe nata l’accusa di associazione mafiosa a carico dei loro assistiti.

IN ATTESA DELLA CASSAZIONE Adesso toccherà alla Sesta sezione della Suprema Corte,  il 10 luglio prossimo , decidere se dovrà essere il Tribunale presieduto da Silvana Grasso a concludere il procedimento, o un’altra sede. Ma l’automatica sospensione che sarebbe derivata dall’ammissione dell’istanza dei due legali alla Suprema Corte, non ha avuto luogo perché nel frattempo – a causa di un errore nel deposito delle trascrizioni delle intercettazioni – la presidente Grasso è stata obbligata a riaprire l’istruttoria già conclusa da un paio di settimane, per permettere al perito la necessaria integrazione. Ed è proprio questa la finestra di cui i legali Iaria e Cianferoni hanno intenzione di approfittare per chiedere che agli atti venga messo il memoriale di Lo Giudice, che in un passaggio sottolinea «come sosteneva il dottor Di Landro fino a poco tempo fa che rilasciava dichiarazioni a “destra e a manca”, con sicura certezza e senza ombra di dubbio che non ero io il responsabile di quegli attentati e che stavo coprendo i veri burattinai, lui è sicuro di quello che sostiene perché lui sa bene cosa dice, perché lui sa chi sono i burattinai e i burattini. Allora mi domando e domando a lei, dottor Di Lando, perché sta ancora zitto? Perché vuole assistere alla strage degli innocenti? Pur sapendo che né il sottoscritto, né Cortese, Puntorieri, siamo i veri responsabili? Ma…  alte cariche dello Stato e Servizi deviati e professionisti a lei molto noti?». Parole che sembrano portare acqua al mulino del collegio difensivo di Maurizio Cortese, ma che devono aver impressionato molto anche l’imputato che – come suo costume – ha approfittato dell’udienza odierna per interloquire con il Tribunale sul punto.

IMPUTATI CONTRO LA GRASSO, TRANNE SERRAINO «Non siamo abituati a puntare il dito contro nessuno, ma voglio dire che tante cose che abbiamo chiesto non sono state accettate. Io avevo chiesto il confronto fra Villani e Lo Giudice, ma non è stato accettato: e su alcune di quelle dichiarazioni io mi sono sentito tragediato»: è stata questa la premessa che Cortese ha voluto fare alla sua personalissima istanza di riapertura dell’istruttoria  alla luce del memoriale del Nano. Nella medesima sede, Cortese – quasi da avvocato di se stesso – ha annunciato un’istanza di ricusazione contro la presidente Grasso, firmata anche da altri cinque imputati. Nella lista però manca la firma di Alessandro Serraino, che – significativamente – oggi come ai tempi dello sciopero della fame iniziato
–  e rapidamente abbandonato – dai “ragazzi del banco nuovo” , per protestare contro il no del Tribunale agli interrogatori eccellenti chiesti dal collegio difensivo di Cortese, si è sottratto alle iniziative dei coimputati. (0080)

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