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Le riforme difficili

In un precedente articolo avevo messo in luce la lacunosa genericità della relazione del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, con particolare riguardo alle proposte di riforma della giusti…

Pubblicato il: 03/07/2013 – 17:48
Le riforme difficili

In un precedente articolo avevo messo in luce la lacunosa genericità della relazione del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, con particolare riguardo alle proposte di riforma della giustizia, tra le quali brillava per assenza quella più utile tra tutte e cioè la riforma della prescrizione. Sarebbe stato necessario proporre che la prescrizione cessi il suo corso al momento del rinvio a giudizio, o, al massimo, con la sentenza di primo grado. Analoga vaghezza si rileva in quella relazione,  con riguardo al tema del contrasto alle mafie, tema sul quale si legge semplicemente che gli obiettivi da perseguire in materia sono: “la maggiore efficacia dell’azione preventiva e repressiva, oltre che dei fenomeni della criminalità organizzata, dei fenomeni di corruzione nella vita politica, amministrativa ed economica”. Tutto qua. Una vaghezza che sconfina nell’ovvietà. Nessun cenno sull’argomento è contenuto nel discorso alle camere fatto dal nuovo presidente del consiglio in occasione del voto di fiducia. Eppure l’argomento meritava. O no? Solamente in occasione di una trasmissione televisiva, a domanda del conduttore, il premier ha riconosciuto l’omissione, anticipando quale sarà il primo argomento che verrà affrontato, e cioè la modifica dell’art. 416-ter del codice penale che prevede il reato di voto di scambio. A tale scopo Letta ha annunciato che si avvarrà della collaborazione di due magistrati per l’elaborazione di tale modifica. Sembrerebbe trattarsi di una modifica complessa, sulla quale occorrono studi da affidare ad esperti. La verità è assai diversa. Il tema non è affatto nuovo. Uno dei primi ad occuparsene fu Agostino Cordova nel saggio “Il voto di scambio”, apparso su Micromega, 1993. Il tema venne poi affrontato, oltre che in sede scientifica sulle riviste giuridiche, nel convegno nazionale “Mafia e politica. Analisi di un rapporto tra storia e attualità”, tenuto a Giovinazzo il 13 gennaio del 2007, organizzato da Avviso pubblico, del gruppo Libera. In quel convegno chi scrive fu relatore sul tema “Responsabilità penale e responsabilità politica nella lotta alle mafie”, e nel corso della relazione il secondo paragrafo venne dedicato al tema del voto di scambio. Gli atti vennero poi pubblicati in uno dei Quaderni di Avviso Pubblico, nell’aprile 2008.
Il reato di voto di scambio fu introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 11-ter del Decreto legge 8 giugno del 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. La legge venne emanata all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, nel contesto dell’impegno volto a rafforzare il contrasto contro una mafia che aveva dimostrato la sua feroce strategia stragista. La norma sanzionava chiunque ottiene “la promessa di voti prevista dal terzo comma dell’art. 416-bis in cambio della erogazione di denaro”. La pena prevista era quella della reclusione da sette a dodici anni. Pena severa, ma ipotesi di reato astratta e dai risultati modesti, anzi insignificanti, dal momento che è veramente rarissimo il caso di una erogazione di denaro alla mafia in cambio di voti, mentre è molto più frequente il caso di un compenso consistente in vantaggi economici di altro genere. Con la medesima disposizione di legge veniva introdotta, al comma 3 dell’art. 416-bis, una ulteriore finalità delle associazioni di tipo mafioso, quella cioè di “impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a” sé o ad altri  in occasione di consultazioni elettorali”. Per la verità la prima bozza del decreto prevedeva ben altro e cioè, dopo l’espressione “in cambio della somministrazione di denaro”, il testo aggiungeva “o della promessa di assunzioni ovvero di agevolare l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni ed appalti, contributi, finanziamenti pubblici o, comunque, della realizzazione di profitti illeciti”. Ma era la stagione di Mani pulite e il timore della politica era quello di ulteriori problemi giudiziari e così per timore di “arbitri nell’interpretazione della norma”, questa parte venne stralciata. Come risulta evidente, la legge così mutilata,  mancò del tutto il proposito dichiarato di recidere i collegamenti tra mafia e politica nel momento decisivo delle consultazioni elettorali, nei quali cresce l’esigenza di collegamenti in vista dei reciproci benefici. Si potrebbe obiettare che le mafie tendono ad esprimere un proprio ceto politico, ma questa tendenza non sfugge alla previsione della norma penale, che fa riferimento alla finalità dell’associazione mafiosa di “procurare voti a sé o ad altri”. L’indebolimento della norma venne rafforzata dalla prevalente interpretazione giurisprudenziale, che, soprattutto nel primo decennio di applicazione, richiese (si cita una sentenza della Cassazione, sezione I, del 30 gennaio 2004) che “non basta la prova della elargizione di denaro, in cambio dell’appoggio elettorale, ad un soggetto aderente a consorteria di stampo mafioso, ma occorre altresì accertare che questa abbia posto in essere singoli ed individuabili atti di sopraffazione e di minaccia, con le modalità precisate nel comma 3 dell’art. 416-bis codice penale”. Nel corso della relazione, invitai l’on. Francesco Forgione, fresco presidente della Commissione Antimafia, presente ai lavori,  a farsi promotore di una riforma che ripristinasse il testo originario, ma la legislatura ebbe durata assi breve. Oggi basterebbe che il presidente del consiglio reintroducesse lo stralcio operato nel 1993, o comunque che aggiungesse, dopo la previsione di somministrazione di denaro, la più sintetica formula “o di altra utilità”. Si farebbe molto più in fretta e senza necessità di apporti esterni. Basta sapere di cosa si parla.

* Magistrato

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