COSENZA Doveva esserci Scopelliti all’ormai consueto incontro organizzato dall’Assindustria per analizzare gli esiti della crisi in Calabria e nella provincia di Cosenza e invece è arrivato Demetrio Arena, che in fondo è l’assessore di riferimento per gli imprenditori, solo che sembrava un alieno. Una distanza percepita dalla sala gremita di operatori economici soprattutto, che a un certo punto hanno cominciato a rumoreggiare, inducendo l’assessore alle Attività produttive a cercare con una battuta di uscire dall’angolo. «Sono qui per costituirmi», ha detto sorridendo Arena alla platea, quasi a sottolineare un certo grado di responsabilità nell’inerzia nell’affrontare la crisi.
Ma la distanza era soprattutto tra la puntualità e il rigore dell’intervento di Rosanna Nisticò, il grido dall’allarme lanciato dal numero uno degli industriali cosentini, Natale Mazzuca, l’analisi del direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci e la vaghezza delle parole del rappresentante del governo regionale, che ha ammesso con candore che le responsabilità di una mancata risposta da parte della politica è da imputarsi anche «a una classe dirigente inadeguata e clientelare».
Il dibattito aveva preso il via guardando al recente passato, precisamente ai manifesti che negli anni passati annunciavano l’appuntamento dell’Assindustria. Grafiche che avvisavano dell’arrivo della crisi, ma che ancora lasciavano uno spiraglio di speranza, come ha spiegato Rosario Branda. Oggi quello spiraglio si è chiuso e la crisi si è abbattuta come un macigno sulla già fragile economia regionale, piegando anche quei settori come il manifatturiero e l’edilizia, che avevano sempre svolto un ruolo di traino.
Nelle parole di Mazzuca sono riecheggiati i timori già espressi da Squinzi e da altri a livello nazionale, circa la drammaticità di una condizione che potrebbe indurre a disordini sociali. E se pure il mondo dell’impresa percepisce questo pericolo, vuol dire che la sofferenza sociale ha superato i livelli di guardia. «Qui paghiamo l’energia più che altrove, come pure più alto è il costo del denaro», ha lamentato Mazzuca, chiedendo il taglio del carico fiscale per le imprese e per il lavoro, per tentare di rimettere in moto la domanda. I numeri sono da massacro sociale: 31mila posti di lavoro persi, abbattimento della produzione, dati peggiori degli ultimi sei anni. «Abbiamo bisogno di una classe dirigente nuova – ha tuonato Mazzuca – in grado di dare risposte e soprattutto di recuperare il senso del bene comune».
Un concetto per molti aspetti sorprendente quest’ultimo, che magari ci si sarebbe aspettato di sentire dalla bocca di un sindacalista e non da quella del rappresentante degli industriali, tradizionalmente più attenti alla capacità di fare impresa. Ma pure questo deve essere un segnale da interpretare, un mutamento di paradigma che spinge Mazzuca fino a auspicare «un nuovo modello di sviluppo». L’atto d’accusa è rivolto alla Regione che fin qui ha speso solo il 24% dei fondi europei. Se tutto questo anno fosse stato chiaro, sono poi giunte le parole e i numeri dell’intervento della professoressa Nisticò. Una fotografia spietata di una regione in ginocchio, dalla quale la Calabria esce fanalino di coda dentro un Paese che è drammaticamente in affanno. Giù l’occupazione, giù la capacità di esportare, di innovare, indietro per quanto riguarda tutti i dati macroeconomici. Resta l’opportunità che viene dallo studio, essendo ancora in piedi la possibilità, sia pure ridotta a lumicino, di trovare lavoro da parte dei giovani con sofisticate competenze. Il resto è la morte del lavoro tradizionale, con il sopravvento di quello precario e di bassa qualità.
Quando la parola passa all’ex sindaco di Reggio, con sorpresa Arena se la prende con il governo nazionale, che ha tolo l’Ici e vuole levare pure l’Imu, con la conseguenza che i Comuni rischiano di chiudere bottega. Parla ancora da ex sindaco, dimenticando che quelle sono battaglie condotte proprio dal suo partito. Il resto è l’annuncio che Scopelliti «è impegnato nel rastrellare ogni risorsa possibile per destinarla al lavoro», perché anche la Regione è preoccupata delle conseguenze della disoccupazione. Poi la confessione che spiega che in «Calabria il problema è rappresentato da una classe dirigente clientelare e dunque inadeguata», parole che sono parse come un inconsapevole mea culpa. Infine, Arena ha con fierezza detto che da domani il mondo dell’impresa avrà un solo interlocutore, grazie all’approvazione da parte della Regione dello stanziamento di quattro milioni di euro per lo Sportello unico attività produttive.
Marcella Panucci, calabrese alla guida di Confindustria, ha invece avuto parole ferme e pacate, ma non per questo meno taglienti. «La Calabria ha avuto 700 milioni dal decreto governativo per pagare le imprese e noi chiediamo alle istituzioni che non vengano spesi in modo diverso, ma che arrivino alle aziende creditrici», ha detto il direttore generale degli imprenditori cercando lo sguardo di Arena. Per la Panucci la via da percorrere è quella della competitività, delle politiche orientate alla crescita e la difesa del welfare, perché anche a via dell’Astronomia guardano con spavento alle conseguenze sociali di questa crisi. Uno sguardo alla politica nazionale, per dire che «non possiamo permetterci una crisi di governo» e una a quella calabrese, per chiederle di farsi carico di sostenere l’esportazione aiutando le imprese a farsi conoscere sui mercati esteri, come hanno fatto altre regioni «magari copiando la Puglia, che è a soli cento chilometri da qui». (0050)
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