VIBO VALENTIA Dalila Nesci invia la sua «lettera-foto» al presidente della Repubblica Napolitano e al ministro del Lavoro Giovannini per chiedere un incontro con i lavoratori della Italcementi di Vibo. Un viaggio romanzato e suggestivo in quel Sud «divorato dalla politica e dall`«affarismo criminale», una fetta d`Italia dove i lavoratori lasciano la loro scheda elettorale davanti ai cancelli di una fabbrica pronta a chiudere, dopo 73 anni.
«Italcementi, Vibo Valentia, sabato 6 luglio 2013. Un silo di 90 metri annuncia il cementificio, 73 anni di età. Ottantadue i dipendenti, una sessantina i cassintegrati, gli altri hanno cercato fortuna altrove. Chi è rimasto riceverà 846 euro al mese sino a dicembre 2014. Poi nulla, famiglie, figli, vita scombinata». È un racconto drammatico quello della deputata del Movimento 5 stelle, «un viaggio a sud del Sud, dove la mafia fa notizia solo se dice con i suoi riti, le armi e i rumori della morte». Anche per il Meridione valgono i princìpi sanciti dalla Costituzione, uno su tutti: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Un fondamento che però al Sud «rimane incompiuto». Per questo – secondo Nesci – «urgono interventi delle istituzioni più alte», perché – soprattutto in Calabria – «permangono gravi ostacoli all’eguaglianza dei cittadini», dove il rischio «è lo spopolamento, anche molto rapido, provocato dalla forza criminale.
L`Italcementi di Vibo è il simbolo di una nuova sconfitta che peserà sulle spalle dei suoi stessi lavoratori. Proprio la montagna di fronte allo stabilimento «ha una fila di case a quattro, cinque piani, prova di una cementificazione bulimica e rovinosa – spiega Nesci –. La costa sul mare blu è stata mangiata dall’alluvione e dal disastro dell’immobilismo. Lungo il litorale, in direzione Gioia Tauro, le ‘ndrine hanno costruito alberghi, villaggi e traffici portuali». È «sviluppo» la «parola magica per incassare finanziamenti, devastare l’ambiente e disoccupare centinaia di persone, privandole di libertà e diritti».
La parlamentare grillina, il deputato Paolo Parentela, gli attivisti di Vibo, i capigruppo di Camera e Senato – Riccardo Nuti e Nicola Morra –, hanno incontrato gli operai: l’azienda vuole investire in sicurezza e risorse umane, «ma politici e burocrati stanno bloccando il progetto». Dalla Italcementi «si vede il mondo, racchiuso nei contrasti del paesaggio davanti allo sguardo. Gli operai resistono con bottiglie di tè raffreddate in un secchio di ghiaccio».
Per Dalila Nesci la loro voce ha un senso preciso: «Dice di un’intera provincia condannata allo scioglimento di tanti Comuni per fatti di mafia, di un antistato che governa la società e si sostituisce finanche ai ministri del culto, nella guida delle coscienze».
Quel suono, quasi un lamento ormai, parla «di un’antica rassegnazione morale e culturale che non può reggere, semplicemente perché non c’è più verso di sopravvivere in questo lembo di Calabria. Manca il lavoro».
Il Movimento cinque stelle ha intenzione di condurre fino in fondo la sua battaglia: «Abbiamo deciso, dunque, di riunire tutti, istituzioni, lavoratori e azienda, per individuare in tempi rapidi una soluzione reale, unitaria, che permetta a Vibo Valentia e provincia di uscire dal baratro della disoccupazione, causa di miseria e ‘ndrangheta». (0040)
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