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La furia di Chizzoniti

REGGIO CALABRIA «Questa mattina il consigliere sospeso Rappoccio ha chiamato la segreteria generale annunciando la sua scarcerazione e chiedendo legittimamente il reintegro il prossimo 25 luglio. V…

Pubblicato il: 15/07/2013 – 21:12
La furia di Chizzoniti

REGGIO CALABRIA «Questa mattina il consigliere sospeso Rappoccio ha chiamato la segreteria generale annunciando la sua scarcerazione e chiedendo legittimamente il reintegro il prossimo 25 luglio. Vergognatevi tutti, se avete le palle revocate quel provvedimento o querelatemi». È a dir poco furibondo l’avvocato Aurelio Chizzoniti, oggi presidente della  Commissione regionale di vigilanza e consigliere regionale, fino a quando Rappoccio non rivendicherà il suo posto a Palazzo Campanella. Il provvedimento di scarcerazione che – come anticipato da Corriere della Calabria –  riapre le porte di palazzo Campanella per il politico arrestato nell’agosto scorso per corruzione elettorale, associazione a delinquere, truffa e peculato e oggi imputato in due procedimenti, per Chizzoniti  – suo grande accusatore – è un atto che «insulta la mia intelligenza, scoraggia, ma soprattutto suscita inquietanti interrogativi sull’aria che si respira nei palazzi di giustizia».

Il perché della scarcerazione
A firmare il controverso dispositivo, il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto dal giudice Andrea Esposito che il 10 luglio scorso ha accolto l’istanza di scarcerazione presentata dal legale di Rappoccio, l’avvocato Giacomo Iaria. Per i giudici, Rappoccio – già ai domiciliari – può tornare in libertà perché pur «restando il quadro di gravità indiziaria a carico dell’imputato», sarebbero venuti  meno i pericoli di reiterazione del reato «in considerazione dell’intervenuto dissolvimento dell’apparato burocratico strutturale alla base dell’associazione contestata, dell’intervenuta sospensione del Rappoccio dal partito politico di appartenenza, della chiusura dei locali presso cui aveva sede la segreteria politica dello stesso». In sintesi, per i giudici sarebbero venute meno le condizioni materiali che avevano fatto di Rappoccio il dominus del sistema nascosto dietro le tre presunte cooperative fantasma, costituite esclusivamente per alimentare la personalissima macchina elettorale che lo farà eleggere in Regione. Un’industria del consenso che il politico avrebbe costruito, truffando giovani e meno giovani cui era stato chiesto il voto con la prospettiva di un concorsone per 400 posti nel settore fotovoltaico rivelatosi infine fantasma. Venute meno le sedi fisiche in cui l’imbroglio sarebbe stato cucinato – fa intendere il provvedimento –  per i giudici viene meno anche la necessità di detenzione per Rappoccio. Ma c’è di più. Il Tribunale, nel provvedimento scritto dal giudice estensore Luigi Varrechione, solo da qualche settimana subentrato nel collegio, spiega infatti che le esigenze cautelari sarebbero venute meno anche in considerazione del «tempo trascorso dall’applicazione della misura in atto, idoneo ad esplicare sufficiente effetto deterrente in ordine alla commissione di nuovi reati».
«Il risultato di questo provvedimento – tuona Chizzoniti – è che Rappoccio torna in quella stessa Regione in cui è arrivato in maniera fraudolenta e le cui risorse ha saccheggiato». I guai giudiziari di Rappoccio, ricorda infatti l’attuale presidente della Commissione regionale di vigilanza, non si limitano al procedimento per corruzione elettorale, associazione a delinquere, truffa e peculato che oggi lo vede imputato a piede libero. Sul suo capo pende l’ombra di un’altra inchiesta nella quale è accusato di truffa e peculato, perché insieme al suo capogruppo dell’epoca, Giulio Serra, avrebbe gestito in maniera illecita oltre 70mila euro di contributi emessi dalla regione per il gruppo “Insieme per la Calabria”.

«Il parere della Procura è una vendetta di Musolino e Sferlazza»
Circostanze alla luce delle quali – fa notare Chizzoniti – il suo ritorno in Regione, pur se legittimato dalla norma che prevede che la sospensione dagli organi elettivi cessi qualora venga meno l’efficacia della misura coercitiva, è paradossale, se non grottesco. Ma il Tribunale – dice a chiare lettere un imbestialito Chizzoniti – non è l’unico responsabile del provvedimento. A pesare sulla decisione del collegio è stato anche il parere della Procura, che l’8 luglio scorso ha dato parere favorevole alla scarcerazione del politico. A pronunciarsi sono stati il procuratore aggiunto, Ottavio Sferlazza, e il sostituto, Stefano Musolino, titolare del procedimento prima dell’avocazione disposta dalla Procura generale e da allora mai più interessato al fascicolo.
«Il parere della Procura è vergognoso – taglia corto Chizzoniti, che non le manda a dire – Sferlazza e Musolino hanno colto il carpe diem per vendicarsi nei confronti di Scuderi, che ha avocato, e nei miei confronti. Perché il parere non è stato chiesto alla dottoressa Arena, titolare della pubblica accusa in dibattimento?». È inferocito Chizzoniti per una decisione che non accetta e non comprende, ma soprattutto che getta l’ennesima ombra sulle istituzioni locali, già bistrattate da indagini, procedimenti e condanne che hanno interessato più di un consigliere.

L’inutile e dettagliata motivazione del Tribunale del Riesame
Anche perché – ricorda – il parere della Procura smentisce quanto disposto solo tre mesi fa dal Tribunale del riesame, il primo ad essere investito da un’istanza di scarcerazione. In quell’occasione il presidente Filippo Leonardo, con a latere il giudice estensore Antonino Foti, avevano stabilito che «la misura degli arresti domiciliari sia adeguata a perimetrare il residuo pericolo di reiterazione della condotta criminosa, come anche il ravvisato pericolo di inquinamento probatorio, che il Tribunale ritiene ancora sussistere». Per il collegio infatti, Rappoccio da libero avrebbe potuto tentare di fare pressione sull’esercito di testimoni chiamati a deporre in dibattimento perché alterassero la loro versione. Un’ipotesi non basata sul mero sospetto, ma su dati concreti: «L’indagato – si legge in quel provvedimento – ha dimostrato, con riguardo alla vicenda della pubblicazione dell’articolo sul giornale Calabria Ora, di intervenire costantemente nel corso del tempo per bloccare l’emersione della verità e l’esistenza del gruppo associativo». E da allora, le condizioni non sembrano cambiate di molto. Dal febbraio scorso, quando il provvedimento del Riesame è stato emesso, di fronte a Esposito – complice anche un lungo periodo di ferie del giudice, che ha fatto saltare diverse udienze – sono stati sentiti solo lo stesso Chizzoniti e un ufficiale della Guardia di Finanza. «Dubito che i giudici si riferissero a me», ironizza l’avvocato che con i suoi esposti ha contribuito alle indagini su Rappoccio e ha più di una volta messo a verbale i tentativi di fermare la sua attività di denuncia.

Minacce anonime e indagini che languono
Ma è alla luce di un’altra circostanza che la decisione presa dal Tribunale per Chizzoniti appare assolutamente inspiegabile, ma soprattutto appare inspiegabile il parere favorevole che la Procura ha dato: ad inizio aprile il presidente della Commissione di vigilanza avrebbe ricevuto una lettera anonima «di cui non posso divulgare il contenuto perché spero sia oggetto di indagine». Una missiva anonima ma profetica: il ben informato autore non solo anticipava che due avvocati – di cui Chizzoniti non vuole fare il nome – sarebbero riusciti a far scarcerare Rappoccio, ma metteva soprattutto in guardia il presidente della commissione di Vigilanza perché «hanno firmato la sua condanna a morte». Minacce concrete, di cui Chizzoniti ha messo immediatamente a conoscenza la Procura, che sulla questione dovrebbe aver aperto un fascicolo.

E Cafiero de Raho che fa?
«Quella lettera io l’ho data a de Raho, lui ha assegnato il fascicolo a un magistrato e adesso la stessa Procura da parere favorevole alla scarcerazione di Rappoccio? Ma che si lavora a compartimenti stagni?». Non si salva il nuovo procuratore capo della Dda dagli strali di Chizzoniti che tuona: «A meno che de Raho non dica di non averne sap
uto niente e firmi una revoca, questi provvedimenti sono un insulto alla giustizia». Sono critiche pesanti quelle che Chizzoniti riserva al procuratore Cafiero de Raho, che di recente ha sottolineato in un’intervista la curiosa assenza della politica nella lotta per la legalità. «Io non sono assente e vengo cacciato dal consiglio regionale – dice con amarezza Chizzoniti – e vengo cacciato dal consiglio regionale grazie a una Procura che vi ha fatto tornare un plurindagato che vi era entrato in maniera fraudolenta. Tutto questo è vergognoso. Ma de Raho era  a conoscenza di tutto ciò? Se questa è la magistratura nella quale i cittadini sono chiamati ad avere fiducia, io ritengo non ci siano le condizioni».

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