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Il bene comune

Si sa, ci sono le mode anche per le parole; da un po` di tempo a questa parte, ad esempio, usa molto associare i termini pacificazione e giustizia. Se si trattasse di pace e giustizia, niente da di…

Pubblicato il: 17/07/2013 – 16:05
Il bene comune

Si sa, ci sono le mode anche per le parole; da un po` di tempo a questa parte, ad esempio, usa molto associare i termini pacificazione e giustizia. Se si trattasse di pace e giustizia, niente da dire. Per raggiungere la pace sociale è essenziale una buona  giustizia, non solo la giustizia distributiva della politica, ma anche quella della giustizia tout court, quella che punisce i reati, riconosce i torti e le ragioni nelle liti civili. Non è di questo che si tratta, ma  di ben altro. Si dice che per raggiungere la “pacificazione”tra opposte parti politiche, anche la giustizia deve fare la sua parte. Una pacificazione necessaria, indispensabile, per affrontare e risolvere i gravissimi  problemi del paese, promuovere la crescita, fare le riforme, contenere i costi della politica e così via. Sono messaggi ripetuti sino allo sfinimento (di chi ascolta), da uomini politici, alti esponenti delle istituzioni, commentatori, editorialisti, un coro insomma, rotto da poche voci dissonanti. Quale sarebbe la parte assegnata alla giustizia in questa epocale impresa di chiudere odi, contrasti, polemiche, per l` esclusivo bene del paese? È presto detto: alla giustizia si chiede, a volte addirittura in forma esplicita, di rinunciare alla sua funzione, che è quella… di fare giustizia. Bella scoperta, direte; cos`altro dovrebbe fare la giustizia come apparato, se non fare giustizia, come funzione primaria dello Stato? Ma la richiesta è altra e sembra che se la giustizia (in altre parole, i magistrati che la amministrano giornalmente) non aderisce alla richiesta, sarà colpa sua se si andrà di fronte allo sfascio ed al fallimento dell’epocale progetto di pacificazione. Tutti avranno capito che il progetto è politico, e la giustizia dovrebbe accettare di divenirne elemento, determinante; in parole semplici, dovrebbe accettare di trasformarsi in soggetto politico, insieme agli altri, governo, parlamento, partiti, chiamato a rinunciare al suo ruolo per raggiungere, responsabilmente s’intende, la pacificazione. L`aspetto singolare di questa tristissima vicenda politico-istituzionale è che l`invito, o meglio, il richiamo, il monito, proviene proprio da chi (o da coloro), da tempo, conduce un`aspra polemica verso i magistrati che fanno politica e poiché la fanno solo quelli di sinistra, le“toghe rosse”, verso quelli è diretta la polemica. Sono quelli il cancro istituzionale italiano, una vera e propria associazione a delinquere, una nuova loggia  P2, capace solo di esprimere odio, persecuzione giudiziaria sulla base di odio, invidia, oltre che di un pregiudizio politico. A questo fine occorreva e occorre tuttora definire la normale funzione giudiziaria come una sorta di caccia all`uomo ed è stato questo il motivo ricorrente, martellante anzi, di una guerra che si legittimava solo con la creazione di un cobelligerante, che sarebbe stato ben lieto invece di essere governato da soggetti che non avessero obblighi di frequentazione delle aule giudiziarie. Peccato che il nemico viene individuato solo“dopo”la lettura delle sentenze, nel senso che se le pronunce sono favorevoli al soggetto, alias  bene comune, allora osanna e complimenti, ma se la pronuncia è di condanna, in sede civile o penale, allora quei giudici passano in automatico nelle fila delle toghe rosse. Queste, in un primo momento, erano composte da poche decine di pubblici ministeri, poi si sono arricchite di esponenti dell`ufficio del giudice delle indagini preliminari, per poi ingrossarsi con i componenti dei collegi di tribunali, quindi delle corti d`appello, infine della corte di cassazione (questi ultimi con cautela, perché…non si sa mai). La Corte costituzionale, resta fuori perché già marchiata di rosso da tempo. Si continua però a definirli tutti, indipendentemente dalle rispettive funzioni, come p.m., perché fa più effetto. Adesso si vuole, con acrobatica inversione ad U tutta italiana,  che l`intera macchina giudiziaria si muova in direzione di un fine politico, etico, quello della pacificazione con l`avversario. Con il che la giustizia finisce di essere tale e si trasforma in una ruota dell`ingranaggio della politica, del pensiero unico nazionale, che vuole la pacificazione per il bene del paese. Nella pratica giudiziaria, pacificazione si dovrebbe tradurre, questo il fine ultimo inespresso ma chiarissimo, in rinuncia all`obbligatorietà dell`azione penale, imposta dall`art. 112 della costituzione ai pubblici ministeri, e, per i giudici, rinuncia ad essere soggetti soltanto alla legge e a considerare tutti cittadini eguali davanti ad essa (art. 3 e 101 della costituzione). D`ora in poi, la giustizia dovrebbe essere  amministrata in nome della politica, con funzione servente e subordinata, sotto continuo controllo per evitare che possa tornare a svolgere il suo ruolo naturale. Se poi i giudici provassero a svolgerlo il loro ruolo naturale, come costituzione comanda, saranno le masse, rafforzate da esponenti di governo, a scendere in piazza per richiamare tutti all`ordine. Fu alcuni anni fa che un guardasigilli pensò bene di ricordare, con targhe apposte nelle aule di giustizia, che“la giustizia è esercitata in nome del popolo”, stravolgendo il senso di quella norma costituzionale da momento fondamentale di garanzia dell`autonomia e indipendenza della magistratura da“ogni altro potere”, in una sorta di intimidazione ad uniformarsi alla volontà delle contingenti maggioranze politiche e delle pulsioni di piazza. Ci eravamo tutti illusi di avere superato, definitivamente, le fasi convulse delle polemiche che vanno avanti da circa venti anni, e si erano create le condizioni perché ciò potesse avvenire. Poi tutto è ricaduto all`indietro a velocità vertiginosa e senza che siano ancora comprensibili la dinamica e le motivazioni sottostanti e ci tocca rivedere un vecchio film in costume. Con la differenza che questa volta il regista si pone come interprete del bene comune e come si fa a contraddirlo?
Forse sarebbe meglio, una volta tanto, che sia la politica a pacificarsi con la magistratura, emanando nuove leggi più efficaci nel contrasto alla criminalità organizzata, riformando il processo penale per renderlo più veloce, ripristinando un organico diritto penale dell`economia, introducendo nuove figure di reato come l`autoriciclaggio e la tortura, raddrizzando l`infelice riforma sulla corruzione (avevo previsto che la legge del 2012 avrebbe richiesto una lunga serie di sentenze interpretative da parte delle sezioni unite della cassazione ed è quello che sta puntualmente avvenendo), rivitalizzando l`ansimante apparato amministrativo della giustizia con le necessarie innovazioni tecnologiche e con l`assunzione del personale specializzato per renderle operative, risolvendo il problema dell`affollamento carcerario ormai insostenibile, affrontando in via preventiva e repressiva la tragica sequenza di violenza sulle donne. Ecco, questo e altro ancora, sarebbe necessario per una bella pacificazione e questa volta davvero per il bene comune, cioè di tutti.

* Magistrato

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