La nostra Costituzione appartiene al genere delle costituzioni “rigide”, in contrapposizione a quelle cosiddette “flessibili”. Cosa vuol dire? Vuol dire che le seconde, tipiche della tradizione di “common law” sono state emanate con legge ordinaria, una legge tra le tante e dunque possono essere modificate con una legge anch’essa ordinaria. Il che, nella prassi, non avviene, per un motivo molto semplice. Si tratta di paesi nei quali è presente una forte identità culturale e nazionale, un forte attaccamento alle proprie tradizioni di democrazia e di libertà e dunque a nessuno verrebbe in mente di modificare, a maggioranza semplice, una norma relativa alle libertà civili, all’ordinamento statale. Un tale cambiamento potrebbe avvenire solo con un larghissimo consenso sia in parlamento che nel paese. La costituzione italiana, invece, come abbiamo detta è rigida, e non può essere modificata, in tutto o in parte, con legge ordinaria, ma solo con un procedimento abbastanza complesso e regolato in maniera puntuale e dettagliata dall’art. 138 del suo testo. Essa è stata approvata dall’Assemblea costituente, eletta dal popolo italiano all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, nel 1946, che dopo un intenso lavoro, durato due anni, finalmente approvò il testo della nostra carta costituzionale. Il motivo di questa scelta nasce dalla tristissima esperienza che l’Italia dovette subire tra le due guerre mondiali, quando, per l’insipienza e la debolezza delle sue classi dirigenti e della monarchia, venne governata dal regime fascista, rozzo, autoritario, di stampo nazionalista, che soppresse le libertà civili e politiche sino alla vergogna delle leggi razziste ed allo sfacelo cui ridusse il paese trascinandolo nel disastro della seconda guerra mondiale. Una volta usciti da quell’esperienza, occorreva mettere in sicurezza il paese per il futuro dal ritorno di regimi autoritari, di qualsiasi tipologia ideologica. Non era sfiducia, ma precauzione; col tempo, il ricordo del passato regime poteva svanire o affievolirsi, e nel dubbio occorreva creare un sistema che assicurasse il massimo di protezione possibile. A tal fine fu redatto un catalogo di libertà e diritti tra i più avanzati al mondo e le limitazioni ai diritti più importanti (libertà personale, di comunicazione), doveva passare necessariamente attraverso il doppio controllo della previsione della legge e dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Fu previsto un regime di democrazia parlamentare al fine di impedire l’accentramento di poteri, piena autonomia e indipendenza alla magistratura, infine istituzioni di garanzia come il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Quest’ultima doveva assicurare che le leggi ordinarie non violassero i principi, i diritti e le libertà previsti in Costituzione, e in caso lo fossero doveva eliminarle dall’ordinamento. Questo non deve far pensare che la Costituzione sia una specie di monumento nazionale, immutabile per l’eternità. Essa può sicuramente essere modificata, anzi lo deve, per adeguarla ai tempi, alle esigenze, alle trasformazioni della società moderna. Ed infatti le modifiche non sono mancate. Cito tra le più note quella del 1993, che ha eliminato l’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari per i reati comuni da essi commessi prevista dall’art. 68; quella del 1999, che ha introdotto una minuziosa (forse troppo) disciplina del giusto processo, modificando radicalmente l’art. 111; quella del 2001 che ha innovato profondamente l’ordinamento regionale in senso federalista, modificando l’art. 117; ancora, con legge del 2012, dell’introduzione, del pareggio di bilancio negli artt. 81, 97, 117 e 119 della costituzione. Vi sono però delle parti che non sono suscettibili di modifiche sostanziali. Esse riguardano tutta la prima parte, dall’art. 1 all’art. 54. Quanto alla seconda parte le modifiche non possono riguardare il ruolo del parlamento, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, il ruolo di garanzia di presidente della repubblica e della Corte costituzionale. Sicuramente si può intervenire sul numero dei parlamentari, sul sistema bicamerale perfetto, sui poteri del presidente del consiglio. Se poi le modifiche riguardassero l’estensione delle garanzie e non la loro compressione, ancora meglio. Personalmente, sarei favorevole ad introdurre in costituzione la disciplina del conflitto di interessi e delle incompatibilità. Non è modificabile la procedura di revisione costituzionale prevista dall’art. 138, di cui si dirà di seguito, neppure con legge costituzionale, perché così facendo si rischierebbe di mettere in discussione il carattere di costituzione rigida di cui si è parlato in apertura e questo vorrebbe dire snaturare e stravolgere il nostro ordinamento costituzionale. Tale opinione è rafforzata dall’esame del disegno di legge costituzionale proposto dal governo, secondo il quale l’elaborazione delle norme di revisione costituzionali sarebbe affidato non ai due rami del parlamento, come prescritto, bensì ad un comitato di quaranta parlamentari, a sua volta assistito da un comitato di 35 saggi, scelti dal governo. Le proposte così elaborate saranno infine sottoposte all’esame delle camere, che potranno solo approvarle o respingerle, senza possibilità di discuterle. La procedura è anomala, scorretta, contraria allo spirito a alla lettera della costituzione e neppure il ricorso ad una legge costituzionale potrà eliminare i forti dubbi giuridici e politici che sono stati sollevati dalla maggior parte dei costituzionalisti italiani. Dubbi che aumentano qualora si consideri che la riforma costituzionale avrebbe il suo punto forte nella introduzione del sistema presidenziale o semi-presidenziale, che costituirebbe una vera e propria modifica sostanziale del nostro modello di democrazia. Sarebbe necessario allora che fosse una vera e propria assemblea costituente, regolarmente eletta, sulla base di un rigido modello proporzionale, a discutere e deliberare sul punto, senza urgenza e con l’approfondimento necessario. E non un governo a tempo, nato da un accordo di necessità, contrario al voto espresso da circa l’80% dell’elettorato.
* Magistrato
x
x