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Sanità da rianimare

Si discute molto di sostenibilità nel sistema salute. Spesso in modo approssimativo, perché sono in tanti ad approcciare al confronto senza capire nulla sull’argomento. Sono in tanti che descrivono…

Pubblicato il: 25/07/2013 – 17:27
Sanità da rianimare

Si discute molto di sostenibilità nel sistema salute. Spesso in modo approssimativo, perché sono in tanti ad approcciare al confronto senza capire nulla sull’argomento. Sono in tanti che descrivono sogni e conoscono poco la realtà negativa che si sta via via formando. In Calabria, al riguardo vi è un’approssimazione alle stelle e tanti gli incubi vissuti dalla gente comune. La sanità pubblica è fatta sempre di più di prestazioni inappropriate, di disavanzi inarrestabili, di desertificazione di corsie e poliambulatori a causa di un blocco del turnover preteso senza intelligenza. Un piano di rientro che nulla ha di programmazione che avvia costantemente (sempre più convintamente) i calabresi verso il nord alla ricerca di ciò che da queste parti non c’è più e/o non c’è mai stato. La sanità privata arranca sempre di più. Spesso trascina i piedi, perché non ha più energia sufficiente. Non incassa neppure ciò che le è dovuto legittimamente, spesso conscia di avere incassato in passato anche ciò che non le era dovuto. Quell’extrabudget pagato per anni agli erogatori accreditati privati è stato un corrispettivo reso alla faccia di chi ha rispettato invece le regole. Una abitudine consolidata e così in uso da avere recentemente inventato lodi arbitrali anche quando c’era stata la magistratura ordinaria ad averne sancito la non dovutezza, tanto da imporre, autorevolmente, in alcuni recenti casi la restituzione di quanto a suo tempo riscosso (per lo più condannando chi ebbe a riscuotere l’indebito a pagare spese processuali salate). Un vizio amministrativo delle Asl di ieri e delle Asp di oggi che ha fatto sì che gli imprenditori si trasformassero in prenditori a denominazione di origine controllata. In quanto tali disabituati ad imporre alle loro aziende una sana gestione. Dunque, si contano oggi tante imprese della salute sul lastrico, ove hanno dimorato e dimorano giorno e notte le povere maestranze, spesso professionalizzate ad ottimi livelli, oramai senza occupazione e senza soldi. Non va meglio alle farmacie. Ideologicamente massacrate da una politica che le conosce poco. Sono infatti in tanti a prendere ad esempio la farmacia sotto casa, magari piena di latta e lustrini luccicanti. Quella che ha vissuto negli anni scorsi una buona redditività. Questa non è la farmacia calabrese, quella fatta di centinaia di esercizi disseminati nei piccoli paesi, frequentemente sperduti, ove rendono il loro impagabile servizio. Sono gli unici presidi ad essere rimasti, a non avere violate le cosiddette consegne. Persino i carabinieri, i parroci e i notai hanno abbandonato i loro. Dunque, una immagine sbagliata, causa di un progetto di revisione sbagliato al quale il Giudice amministrativo, conoscitore della tematica, sta dando ragione nei diversi contenziosi incardinati nei Tar e avanti il Consiglio di Stato. Nel frattempo “i morti” non si contano. Sono oramai decine le farmacie che falliscono e/o che intraprendono procedure di concordato preventivo, nelle sue diverse tipologie. Alcune riescono negli intenti di salvare l’azienda, altre soccombono, buttando a mare anni di lavoro e duri sacrifici, cancellati da una perseverante malagestio che ha contribuito ai tanti disastri registratisi. In Calabria (così come nel Paese) sta accadendo oggi quanto era inimmaginabile fino all’altro ieri. Stanno chiudendo in tanti o giù di lì: case di cura private, farmacie, laboratori. Ciò a causa di una ingiustificata aggressione al sistema che non ha eguali, fino a qualche tempo fa assistito e collaborato dalla politica a fronte di una non rara “compartecipazione”. Insomma, è dato registrare nella nostra regione, più che altrove, una caduta generale del sistema sanitario. Le cause sono tutte da fare risalire ad un governo assurdo della relativa spesa da parte della Regione, negli anni sempre più inadeguata. Le sue brutte abitudini “educative” di consentire riconoscimenti di pagamenti indebiti a larghe fasce di erogatori privati, in una a quelle gestionali che si portano ad esempio nel Paese per insegnare ciò che non bisogna fare per realizzare una conduzione corretta della PA, hanno di fatto prodotto il mostro con il quale la collettività è costretta a fare i conti nel quotidiano. La prova? L’ultima: le recentissime ammissioni (rectius, le confessioni) di Massicci (deus ex machina della sanità commissariata) e di Bevere (il neosostituto di Palumbo) avanti la Commissione “Igiene e sanità” del Senato della Repubblica. Francamente non comprendo cosa avrebbero dovuto dire di più perché il Commissario possa essere mandato a casa. Per fare qualche esempio. Il piano di riordino delle reti assistenziali è un mero atto programmatorio. Una burocrazia regionale non affatto collaborativa. Mancanza di governance dei sistemi informativi. Ritardi nel generare assistenza ai cittadini. Mancanza dei modelli organizzativi sostitutivi degli ospedali chiusi. Assoluta carenza nell’assistenza residenziale e domiciliare. Inadempienza dal 2007 nella riorganizzazione della rete pubblica di diagnostica e specialistica.  Significativi squilibri tra strutture pubbliche e private, nonché criticità nel sistema di verifica dei requisiti per l’accreditamento. Su tutto (Bevera dixit), non esigibilità dei livelli essenziali di assistenza (Lea) su tutto il territorio, senza i quali si può anche morire! Per dirla alla Totò (o quasi), il Governo  aspetta la carrozza per mandare a casa il vero e autentico responsabile degli ultimi tre anni?

* Docente Unical

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