«Si sono fatti troppi convegni e troppe chiacchiere, è mancato l’esempio di chi si rimboccasse le maniche e aprisse delle porte per dimostrare che cambiare era possibile, solo che ci fosse stato coraggio e un po’ di passione!» A sostenerlo, su “Affari e finanza” di Repubblica, il direttore generale della Luiss, Pier Luigi Celli, attuale presidente dell’Enit e, giusto per ricordarlo, direttore generale della Rai, una decina di anni fa. Insomma uno che se ne intende perché ha vissuto e vive con i giovani e col mondo del lavoro, una persona che ha sempre dato concrete opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. Celli chiede, dunque, la passione civile di rischiare, la voglia di provarci per addentrarsi fuori dai sentieri già battuti che non portano più da nessuna parte. Può valere questo assunto per la Calabria? Solo teoricamente, perché, dopo tutti i tentativi esperiti a livello imprenditoriale ed economico, diventa difficile fare impresa e, quindi, decidere assunzioni quando nel giro di un anno -il 2012- in provincia di Cosenza hanno chiuso i battenti, tra grandi, medie e piccole, quattro-cinquecento imprese. Più di mille, nell’intera regione. Chiusure che hanno comportato la perdita di cinquemila posti di lavoro e debiti con istituti di credito superiori ad ogni aspettativa. Alla passione civile richiesta da Celli, dalle nostre parti è subentrata la sfiducia e, di pari passo, la rassegnazione. E questo come conseguenza di “impedimenti materiali ed immateriali” che si frappongono sulla via dello sviluppo. Gli imprenditori lo dicono a chiare note: l’inefficienza della pubblica amministrazione, la (costante) stretta del credito da parte delle banche (ormai devi pagare gli istituti di credito perché ti custodiscano i risparmi, senza ricavare alcunché!), le migliaia di forme di delinquenza che sfruttano e danneggiano l’imprenditoria sana della Calabria. I conti degli industriali stimano a ben 40 miliardi l’anno i costi della burocrazia, come, a giudizio dei vertici dell’associazione industriale bruzia, ha rilevato la Corte dei conti. Un esempio? Chi si occupa di edilizia, per ottenere un permesso sostiene che siano necessari dai 18 ai 24 mesi. Tempo che trascorre, non necessariamente indispensabile. È solo una constatazione. Ecco perché il presidente Natale Mazzuca, che si occupa di edilizia, reclama -preceduto da anni di lamentele, appelli, ricorsi- burocrati efficienti ed efficaci, che raggiungano quella responsabilità per merito e non per raccomandazione, e, di conseguenza, uomini giusti ai posti giusti. Diventa difficile creare un settore amministrativo che si occupi se non esclusivamente, prevalentemente del settore edilizio, anche per dimezzare i tempi “burocratici”? La risposta viene sempre -ed affermativa- solo nei convegni. Quando si tratta di tradurre in fatti concreti le parole, le ansie e le aspettative, c’è il muro di gomma di quanti, mai individuabili, frappongono ostacoli insormontabili. Le banche? Ormai, visto che, in parte, sono istituti di credito privati, si sono date alla finanza -creativa e no- e chiudono i rubinetti agli imprenditori, senza idonee garanzie. Garanzie che, per averle, bisogna esser ricchi di famiglia, quando,invece, in altre parti d’Italia e soprattutto d’Europa, è sufficiente “dare fiducia” agli imprenditori, senza condizioni capestro, ma sottoponendoli ai vincoli necessari per non far fallire la banca stessa. La stessa impresa potrebbe essere la garanzia richiesta e prevista da leggi e regolamenti interbancari. Governo e Regione hanno un ruolo di certo non secondario nella tutela delle “minoranze” diseredate e sfortunate. Occorre un cambio di passo e di mentalità della Regione, ha lasciato intendere Scopelliti agli imprenditori. Non rimane, ancora una volta, che sperare! È vero, come dicevano gli inglesi che “the future is in the past”, ma il presente non può non essere, come sottolineava uno scrittore londinese, mille volte più forte del più potente passato. Sol che l’operosità del passato si accompagni alla passione struggente di un futuro che riguarda tutti noi, direttamente o, ancor di più, indirettamente. Il nostro tempo non può, per prendere a prestito le parole di Celli, essere “il concentrato degli ideali svaniti, delle speranze confuse, della perdita delle minime società civili!” E la criminalità dove la mettiamo? All’ultimo posto? Certo che no. È un altro dei macigni posti sulla strada dello sviluppo mancato. Fiumi di inchiostro, in questo come in altri giornali, sono stati -giustamente- spesi per tentare di combattere l’illegalità, per sollecitare pubblici e privati comportamenti che vadano verso il bene comune. La conferenza episcopale e mons. Salvatore Nunnari, arcivescovo di Cosenza, hanno dedicato sessioni di studio e lettere pastorali per porre il problema della criminalità. “Non morirà,dice oggi il procuratore aggiunto della Dda di Reggio, Nicola Gratteri. Anzi, morirà quando morirà l’uomo! E Falcone? Non sosteneva che “la mafia non è invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, ma avrà anche una fine? È vero, ha sostenuto Gratteri, parlando alla radio alle sei del mattino! “Falcone aveva ragione,ma per quegli anni. Oggi non è più così. Occorre cambiare le leggi, altrimenti non riusciremo nel nobile intento che era anche del magistrato ucciso”. Non possiamo che sperare nella nomina di Nicola Gratteri voluto dal neo presidente del consiglio Enrico Letta a Palazzo Chigi, come consulente. Nomina che il giovane magistrato calabrese ha accettato con entusiasmo, con la speranza che ci sia la volontà politica di combattere il fenomeno criminale e Falcone possa tornare ad aver ragione! Altrimenti non resta, ai nostri giovani, che la strada della Germania, come negli anni ’60 o quella della Svizzera che, dopo anni, ha riaperto le porte, fidandosi dei giovani del Sud, che dovranno lasciare, impoverendole, le nostre terre.
* Giornalista
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