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Ritorno al passato

Gli ultimi numeri di questo settimanale hanno affrontato, come tema di indagine sul quale stanno cooperando le procure di Palermo e Reggio Calabria, i possibili collegamenti esistenti su questo ter…

Pubblicato il: 31/07/2013 – 18:16
Ritorno al passato

Gli ultimi numeri di questo settimanale hanno affrontato, come tema di indagine sul quale stanno cooperando le procure di Palermo e Reggio Calabria, i possibili collegamenti esistenti su questo terreno tra Cosa nostra e ‘ndrangheta negli anni 1992-93. Un tema di grande interesse e impegno, che qualcuno potrebbe definire velleitario, ma sul quale, come ho già ricordato, vi è l’obbligo giuridico, storico ed etico, di fare ogni sforzo per accertare, sia pure a distanza di decenni, la verità sulle sconvolgenti vicende criminali di quegli anni, che hanno segnato la storia della nostra democrazia e del nostro paese. Anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, dall’alto della sua esperienza di Procuratore nazionale Antimafia, ha più volte espresso, nel corso del suo nuovo incarico, l’esigenza di istituire una commissione parlamentare sulle stragi impunite che hanno insanguinato il nostro paese. Non conosco, ovviamente, quali nuovi elementi probatori abbiano consentito di riaprire questo filone di indagine anche da parte dei magistrati reggini, ma certamente hanno contribuito la divulgazione di alcuni documenti redatti negli anni delle stragi o subito dopo, sinora inutilizzati e oggi acquisiti formalmente agli atti dei nuovi procedimenti. Finalmente, si comprende quello che ho sempre considerato un imprescindibile imperativo per gli inquirenti: non limitarsi ad intervenire sul presente, ma riandare al passato, non già per vana curiosità storica, ma per comprendere, alla luce dei fatti passati, quelli presenti, dal momento che gli uni e gli altri sono sempre inscindibilmente collegati e che senza la conoscenza e la comprensione dei primi, non si potrà comprendere ed interpretare l’evoluzione di quelle vicende sino agli attuali assetti di potere, agli attuali equilibri politici e istituzionali, oltre che mafiosi. Ed è importante soprattutto il riconoscimento della necessaria continuità tra l’esperienza giudiziaria e investigativa compiuta dagli uffici giudiziari reggini nei primi anni novanta e quella attuale, in significativa controtendenza rispetto a quanto si è affermato, in maniera sbrigativa e immotivata, che solo da qualche anno si era arrivati alla comprensione della natura, la struttura e la dimensione della ‘ndrangheta. I fatti hanno smentito tale interessata versione, ed oggi appare necessario, anche se non certo facile, dare un’interpretazione unitaria alla storia della ‘ndrangheta reggina, un senso che parta da quegli anni, e forse anche prima (dagli anni della rivolta per Reggio capoluogo, per intenderci) per arrivare alle vicende dei giorni nostri, locali e nazionali, mafiose, economiche e politiche. Non si può prescindere a questo punto dalle indagini e dai risultati acquisiti dalla DDA di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Olimpia”, di cui si è spesso parlato su queste pagine, costituendo essa il livello più alto nella comprensione del fenomeno ‘ndrangheta, della sua storia dei suoi ultimi venticinque anni (e dunque dal 1969 al 1994). D’altra parte, la relazione della Dia del 10 agosto 1993, fa esplicitamente rilievo ai primi risultati che quell’organo investigativo andava raggiungendo all’epoca quale corpo di polizia giudiziaria delegato alle indagini in quella operazione. Si richiama l’attenzione sul passaggio nel quale, nel sottolineare la pericolosità della linea stragista di Cosa nostra, si segnalava “la crescente disponibilità da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso di armamento pesante e di ingenti quantitativi di esplosivo provenienti in parte dai paesi dell’Est Europa”. Si segnalavano inoltre le “notizie relative ad accumuli di ordigni da guerra  in Calabria, in quantità certamente eccessive per la conduzione di una guerra di mafia”. Ulteriore elemento di raccordo era ritenuto quello relativo ai collegamenti tra mafia ed eversione di destra, come provato dal golpe Borghese, nonché “dall’emersione dei collegamenti tra Franco Freda, all’epoca latitante, ed elementi di  spicco della ‘ndrangheta reggina, strettamente legati a Cosa nostra, come si evince dalla richiesta di autorizzazione a procedere contro l’on.le Romeo”. Sono tutte acquisizioni che si ritrovano nella richiesta di applicazione della misura cautelare, depositata il 23 dicembre del 1994, ed in particolare la parte VII, che occupava i volumi 18-19, redatta dallo scrivente, al termine di indagini condotte con la collaborazione dell’indimenticato ufficiale della Dia reggina, Carmelino Di Fazio. In quelle pagine si leggeva come allorché “si esplorano le zone oscure delle ideologie e dei progetti, si colgono tendenze filoeversive, antistataliste, antigovernative, che potranno forse sorprendere coloro che pensano  ai fenomeni criminali come subordinati sempre a quelli politici, mentre spesso è accaduto e forse accadrà che siano invece le organizzazioni criminali a progettare di farsi protagoniste di soluzioni politiche aberranti ed antidemocratiche, ma non per questo, purtroppo, irrealizzabili.” Tutto ciò inserito nella descrizione “dell`evoluzione, ma nel contempo della continuità, che hanno avuto negli ultimi 25 anni i progetti politici della `ndrangheta reggina, progetti che hanno attraversato, spesso incrociandole, le vicende più oscure ed inquietanti vissute dalla nostra repubblica, turbata da ricorrenti sussulti terroristici, da spinte eversive, da programmi elaborati da centri di potere paralleli a quelli istituzionali.” Anche il tema della trattativa trovava attenzione laddove scrivevo: “L` alternativa è adesso tra due possibili spiegazioni della nuova “strategia del terrore” messa in atto dalle organizzazioni mafiose: la prima  la riconduce ad una sorta di reazione della “bestia morente”, alla rabbiosa rappresaglia contro un nuovo corso nel quale non vi era più posto per il tradizionale connubio mafia-poteri pubblici. Una spiegazione senza dubbio ispirata ad ottimismo, in quanto evidenzierebbe una mafia certamente in grado di colpire e di produrre vittime innocenti, ma  ormai priva di un progetto politico proprio, di una prospettiva futura di lungo termine. La seconda spiegazione è invece improntata a maggiore cautela e vede nella opzione stragista la strada obbligata, ispirata da una visione lucidissima e lungimirante, attraverso cui la mafia si è liberata sia di vecchi interlocutori divenuti inaffidabili, sia  dei suoi più pericolosi nemici istituzionali, ma nel contempo ha impresso una poderosa accelerazione al processo di crisi dei vecchi equilibri politici ed all` avvento di nuove forze politiche, di nuove regole, di nuovi equilibri, all` interno dei quali poter ricercare nuovi interlocutori, ma soprattutto nuove forme di presenza e di inserimento nella gestione del potere. Sotto questo riguardo, ed escludendo ogni consapevole convergenza di fini, si spiega l` interesse delle organizzazioni mafiose verso una nuova organizzazione dello Stato in senso accentuatamente federalista, o per meglio dire, separatista, nell` ambito di quella linea politica che del separatismo delle regioni meridionali aveva fatto uno dei suoi obiettivi principali sia nell` immediato dopoguerra in Sicilia, sia nel periodo del tentato golpe BORGHESE, alla fine degli anni `70. Né si deve ritenere che un siffatto progetto sia riconducibile esclusivamente a “Cosa Nostra”, ché anzi la `ndrangheta, per capacità operative, per le precedenti esperienze  già illustrate, per risorse finanziarie, per i collegamenti  mantenuti in Italia e all`estero, è oggi un`organizzazione criminale perfettamente in grado di portare ad esecuzione un progetto del genere, ove si tenga conto che i processi di integrazione tra le varie mafie operanti nel nostro paese sono ormai giunti ad una fase assai avanzata, tanto da far ritenere fondata l`ipotesi dell`esistenza di una “Commissione nazionale”, così come riferisce Leonardo Messina alla Commissione parlamentare antimafia.” La traccia lungo la quale quelle indagini avrebbero dovuto proseguire era tracciata, ma una serie di eventi, istituzionali e non, impedì che questo avvenisse. Si trat
tasse di coincidenza o di rapporto di causa ad effetto, poco importa stabilire, almeno in questa sede, anche se col tempo, occorrerà ritornare sul tema. Quello che adesso rileva è rammentare come su questi temi non vi fu alcun seguito. La mia applicazione alla Dda di Reggio non fu rinnovata (grazie agli “eventi” di cui sopra), e tutto restò confinato ad un documento di cui si conservò non più di un pallido ricordo. Nessun seguito neppure quando, alcuni anni dopo, fornii ai colleghi reggini la documentazione relativa al ritrovamento in un deposito di via Appia, tra le migliaia di faldoni ivi accatastati, di cui uno portante l’indicazione “strage di Gioia Tauro”, all’interno del quale non era presente alcun documento, segno che abili manine avevano provveduto a rilevare le tracce, già note già negli anni ’70, della matrice, dei responsabili di quella strage e delle coperture che le consentirono di essere considerata per oltre venti anni un spiacevole incidente ferroviario. Oggi, grazie alle indagini condotte in Olimpia, si conoscono i nomi degli esecutori, della causale, di chi fornì l’esplosivo, anche se i mandanti sono rimasti impuniti, almeno sinora. È appena il caso di ricordare che anche allora andava di gran moda l’appellativo di toghe rosse nei confronti dei magistrati che tentavano di accostarsi alle verità inconfessabili che hanno sempre caratterizzato in Italia gli “arcana imperii”, e le interrogazioni fioccavano con la stessa intensità delle ispezioni ministeriali. Giuseppe Ayala, in una testimonianza su Giovanni Falcone, apparsa sul numero 3 della rivista MICROMEGA del 1992 (Il pool e i suoi nemici), quindi a qualche mese dalle stragi, ricorda come anche in Sicilia, i componenti del pool, compreso lo stesso Falcone venivano additati con questo appellativo. Oggi coloro che usano correntemente questo termine non esitano ad usare il nome di Falcone in alternativa agli odierni appartenenti alla categoria delle “toghe rosse”, che anno dopo anno, ingrossa le sue file, sino ai massimi livelli della magistratura giudicante e requirente!  È proprio giunto il momento di riprovare, con la consapevolezza che l’esercizio dei doveri professionali e morali non può retrocedere di fronte alle nuove intimidazioni. Nessun timore, vengono sempre dalle solite facce, a Palermo, come a Reggio.

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