Scimmiottano lo Stato. Perché non è vero? Da quando sono state istituite non hanno fatto altro. Un po’ perché senza esperienza (nel bilancio della prima regione era stato previsto un capitolo di spesa per il rifacimento del delta del Po, fiume), un po’ perché ai consiglieri tocca il compito di pensare alla rielezione e, quindi, a coltivare amici e clienti e il tempo per studiare e pensare è assai limitato. Ecco perché, il gruppo del Partito democratico, con l’assistenza tecnico-giuridica di Enrico Caterini, direttore del dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università della Calabria, ha voluto presentare la “madre delle riforme”, cioè a fare di quella calabrese una “Regione leggera” una proposta che mette in discussione, dopo oltre 40 anni dall’istituzione, pur prevista dalla Magna Carta del 1946, l’intera architettura istituzionale dell’ente per eccellenza e il suo rapporto con gli enti locali. Il capogruppo Sandro Principe, parlando a nome dell’intero gruppo, presenti il vice Tonino Scalzo, Carlo Guccione e Demetrio Naccari Carlizzi, non ha avuto esitazione alcuna nell’affermare che il regionalismo – questo regionalismo – sia fallito. Ecco perché i democratici oggi di Epifani, ieri di Veltroni, Franceschini e Bersani, domani – forse – di Renzi-Letta, hanno esposto l’idea di tornare allo spirito costituente della Regione, che deve essere solo un ente di legiferazione e di programmazione e non, come avvenuto fino ad oggi, un ente di gestione.
Poteri questi che, secondo il Pd, devono toccare agli enti locali, anche per farli rinascere da una condizione asfittica, alla quale sono stati costretti. Prima della presentazione ufficiale della proposta, non erano mai mancati riferimenti alla Regione leggera. Li avevano più volte fatti Adamo, pre-pausa di riflessione, Bova, pre-uscita dal Pd, Maiolo, in ogni circostanza. È stato proprio Principe a sottolineare – lo ha potuto verificare anche da parlamentare e sottosegretario – come le Regioni si siano organizzate scimmiottando lo Stato e trattenendo per se stesse non solo i poteri legislativi (ed è giusto!) di pianificazione e di controllo (ed è corretto!) ma anche i poteri di gestione, facendo in modo che si agisse come piccoli venti staterelli. L’hanno voluto, questo, i vari Consigli che si sono susseguiti dal 1970, perché altrimenti un assessore non avrebbe avuto, oltre che visibilità, soprattutto il potere di amministrare la cosa pubblica e, quindi, di infilarsi nei gangli del potere con la facoltà di decidere! Ecco perché, adesso, secondo il Pd, occorre prevedere «meno poteri alla Regione e più potere agli enti locali». L’impostazione finora data ha, secondo il capogruppo del Pd, prodotto «effetti negativi in particolare negli enti meridionali ed in particolare in Calabria dove non si è affermata la cultura del far da sé». Per il vice capogruppo Antonio Scalzo, la Calabria ha bisogno di innovare le sue istituzioni, per stare al passo coi tempi e per rispondere alla domanda di modernità che proviene dall’Europa. E visto che abbiamo sperimentato le larghe intese, la proposta deve essere aperta al confronto: è solo un primo passo verso il cambiamento, perché «delinea un percorso netto verso la semplificazione istituzionale ed amministrativa calabrese». Naccari, che una ne fa e cento ne pensa, e non da ora, ha riconosciuto «l’intuizione politica di Principe, visto che il ministro per gli Affari regionali, Graziano Del Rio, ha già predisposto un provvedimento per attribuire alle Regioni i compiti di programmazione, così modificando il Titolo V, puntando sull’Unione dei Comuni». E questo è già più difficile per l’individualismo esasperato che caratterizza gli enti più piccoli per eccellenza, a meno che non siano “manoccianamente” costretti. Carlo Guccione, forte della sua esperienza di ultimo segretario del Pds, ha parlato di un partito, il suo, che ha la forza e la capacità di non occuparsi del piccolo cabotaggio, ma di «guardare al futuro e alle nuove generazioni».
Dal punto di vista tecnico-giuridico, ha parlato il professor Enrico Caterini. Dopo aver ricordato che Fausto Gullo, uno dei padri costituenti, aveva avvertito il rischio della “debacle del regionalismo”, Caterini ha voluto sottolineare come «riformare la Regione rappresenta una priorità improcrastinabile». Due le sezioni del disegno di legge. Un impianto di carattere generale, che contiene norme-guida che dettano i criteri generali per le funzioni e i compiti amministrativi degli enti interessati, e una seconda parte che prevede quattro aree tematiche nelle quali vengono individuate e ripartite le funzioni amministrative relative, per esempio, alle attività produttive, alla protezione della natura e dell’ambiente, all’istruzione e alla formazione professionale, ai servizi per l’impiego e alle politiche del lavoro, ai trasporti e alla viabilità. Individuando le funzioni da conferire agli enti locali ci si è diretti, secondo l’illustre cattedratico, verso il ridisegno di un sistema che sia in funzione dell’amministrato e non dell’amministratore. Insomma, tra l’altro, secondo gli esponenti regionali del Pd, con questa legge, si può contribuire ad eliminare la causa prima del malgoverno calabrese, che è rappresentata dal centralismo regionale.
E se prima tutto si doveva svolgere – e si svolgeva – a Roma, adesso, tutto avviene a Catanzaro, perché Palazzo Campanella, a Reggio, è unicamente la sede dell’assemblea legislativa, mentre le “decisioni pesanti” vengono fuori dall’aula che si è voluta giustamente dedicare a colui il quale venne a debellare i mali estremi della tirannide, dei sofismi e dell’ipocrisia. Ma già oggi, Palazzo Campanella si sente svuotato di ogni potere. Chissà se alla prossima legislatura, come prevede la Genesi, «Dio disse: sia la luce e la luce fu!». O il potere logora, ma solo chi non ce l’ha, come diceva il saggio Andreotti?
* Giornalista
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