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Polvere sotto il tappeto

Quando le cose nascono male, di solito, finiscono peggio. È quanto potrebbe dirsi della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (alias predissesto) introdotta nel vigente Tuel dal decreto…

Pubblicato il: 21/08/2013 – 13:59
Polvere sotto il tappeto

Quando le cose nascono male, di solito, finiscono peggio. È quanto potrebbe dirsi della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (alias predissesto) introdotta nel vigente Tuel dal decreto legge174/2012 convertito nella legge n. 213 dello stesso anno. A molti Comuni calabresi è sembrata, da subito, la soluzione dei loro guai. Soprattutto a quegli amministratori che hanno intravisto la possibilità di evitare le verosimili sanzioni previste dal decreto legislativo 149/2011. Prioritariamente, l’incandidabilità decennale che avrebbe fatto appendere definitivamente al chiodo le scarpe della politica a tanti attuali e appena dismessi sindaci, ivi compreso anche l’attuale governatore in quanto ex primo cittadino della città dello Stretto. Il tutto, in perfetta linea con quanto la politica aveva ideato: graziare i colpevoli della ricorrente malagestio pubblica locale della quale la nostra regione detiene il primato. Ciò anche in relazione agli scioglimenti per mafia, per infiltrazioni e/o per condizionamenti che dir si voglia… E sì, perché era impensabile che con 300 euro a cittadino e 10 anni a disposizione si sarebbe posto rimedio a tutto ciò che i sindaci avevano combinato ma soprattutto nascosto tra le righe dei loro bilanci. Residui vintage (quando va bene) mantenuti in bilancio nella consapevolezza di dimostrare (a chi non si comprende, stante l’inutilità del risultato conseguibile) più risorse di quelle realmente disponibili per coprire una spesa preventivata che nessuno pensava a razionalizzare. Debiti fuori bilancio, in alcuni casi per milioni di euro, che hanno rappresentato la costante fissa che ha caratterizzato le gestioni degli enti territoriali nostrani. Utilizzazione impropria delle risorse vincolate per coprire quelle correnti. Insomma, un guazzabuglio sistemico cui nessuno ha mai posto rimedio, supponendo di privilegiare l’apparire piuttosto che l’essere. Senza contare i saldi negativi di tesoreria non ripianati, così come si doveva, alla fine di ogni anno. Vizietti, questi, che hanno distinto non solo i comportamenti degli enti locali, ma pure della Regione, sulla quale sarebbe l’ora di “indagare” nel tempo. Con l’avvento del predissesto sono stati in molti a supporre di vedere la luce orientarsi sul buio in cui tante amministrazioni locali calabresi erano e sono, da tempo, sprofondate. Quindi, una grande corsa, con Reggio Calabria in testa, ad aderire al piano di riequilibrio e ad “inventare” ricette magiche da vendere agli stolti, spesso sbagliando nell’imputare il soccorso economico del fondo di rotazione ad entrate, come se non soggette a restituzione. Un modo, questo, per registrare avanzi da capogiro, corretti poi fortunosamente, grazie al differimento di 60 giorni preteso dal decreto legge 35/2013, quel provvedimento noto per aver concesso risorse per pagare i debiti verso fornitori, spesso di età antiquariale. A seguito del Comune reggino, reale destinatario del provvedimento unitamente alla Napoli di Re Giorgio, una marea di Comuni. Chi più chi meno hanno realizzato piani di rientro fantasiosi, pieni zeppi di inconcludenti “promesse”, specie in relazione ad una evasione fiscale non rimediata e ad una riscossione da valori nettamente al di sotto a quella necessaria per sopravvivere. Senza contare le percentuali di riscossione dei residui più datati, ma anche di quelli infrannuali, con percentuali di esazione infinitesimale del tipo di quelle in uso per fabbricare le medicine omeopatiche. Già questi problemi sarebbero stati sufficienti a non fare andare avanti alcunché, nonostante le posizioni “amiche” assunte dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, che ha facilitato tanto il percorso. Il problema nasce con le disponibilità garantite per abitante dal Fondo di garanzia. Due le incongruenze storiche alle quali si è aggiunta una pratica “Comunicida”. L’originaria previsione dei 300 euro a scendere da ritenersi di per sé inadeguata alle reali esigenze, tanto da fare supporre uno scollamento conoscitivo della politica rispetto alla realtà territoriale, della quale non sa neppure l’entità del debito. A questa si aggiungeva l’errata previsione normativa che offriva la possibilità agli enti locali di programmare senza l’oste. Ovverosia di considerare risorse aggiuntive per 300 euro ad abitante, salvo poi ricevere di meno, facendo diventare ogni previsione finanziaria una sciocchezza per la cassa degli enti destinatari. La ciliegina sulla torta è arrivata qualche giorno fa. Il ministero dell’Interno ha comunicato ai Comuni che la quota è di 114 euro a residente. Dunque un coccolone per tutti i sindaci, che non sanno più cosa fare ma anche cosa dire ai loro cittadini. Si spera che ci sia qualcuno che dica loro qualcosa sul da farsi, in specie in relazione al loro bilancio di cassa, poco evidenziato nell’originario format ministeriale, nonostante la relativa contabilità (economica) assumerà rilievo dal 2014, con l’applicazione del decreto legislativo 118/2011. La cosa più ovvia sarebbe che gli stessi facessero revocare dai rispettivi consigli comunali gli atti afferenti a quanto già deciso e facessero adottare un ulteriore piano di riequilibrio, con esclusivo riferimento ai saldi di tesoreria.

* Docente Unical

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