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Un giudizio tecnico

La legge è uguale per tutti. Da giorni il brano della Costituzione che si legge in tutte le aule di giustizia, ha trovato un’autorevole conferma. Qualche settimana fa avevo scritto parole preoccupa…

Pubblicato il: 21/08/2013 – 14:00
Un giudizio tecnico

La legge è uguale per tutti. Da giorni il brano della Costituzione che si legge in tutte le aule di giustizia, ha trovato un’autorevole conferma. Qualche settimana fa avevo scritto parole preoccupate per la progressiva dissoluzione dello Stato di diritto nel nostro Paese, che oggi riafferma la sua esistenza, la sua vitalità. È una buona notizia per la legalità, per la democrazia, per il futuro dell’Italia, non ancora definitivamente compromesso. Mi riferisco, ovviamente, alla sentenza pronunciata il 1° agosto dalla sezione feriale della Corte di Cassazione, nel processo per la frode fiscale contestata, tra gli altri, anche a Silvio Berlusconi. Non entro nel merito della vicenda giudiziaria, vi sono entrati i giudici dei tre gradi di giudizio previsti nel nostro ordinamento processuale che hanno tutti concluso, con decisione pienamente conforme, che gli imputati erano da ritenersi responsabili del reato loro ascritto, che è quello previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74. Si tratta di frode fiscale, realizzata mediante uso di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti. L’importo complessivo della frode, secondo i giudici, era superiore a 360 milioni di euro, ma quello degli anni di riferimento (2002 e 2003) era di alcuni milioni di euro, mentre per il lungo periodo precedente i reati erano da ritenersi prescritti. La frode fiscale è un reato di particolare gravità, perché lede non soltanto gli interessi dei soci e degli azionisti ignari della società – in quanto introduce costi per acquisti di diritti televisivi di molto superiori a quelli di mercato al solo fine di consentire la costituzione all’estero di fondi neri, nella disponibilità di chi era a capo della costellazione delle società intermediarie, fondi utilizzati a loro volta per finalità illecite – ma realizzando un cospicuo risparmio fiscale, danneggia anche il fisco e quindi il bilancio dello Stato e l’intera comunità dei cittadini. Le pene accessorie previste e applicate sono numerose, sei, e la più grave è proprio quella dell’interdizione dai pubblici uffici, la cui durata era stabilita dalla Corte d’appello in anni cinque non già per errore, ma come frutto di interpretazione dell’incrocio tra la norma generale in materia (articolo 29 del codice penale) e la norma speciale prevista dall’articolo 12, della Legge penale tributaria del 2000. Un’ultima notazione tecnica: la condanna, essendo superiore ai due anni di reclusione, comporterà la decadenza del condannato dalla carica di parlamentare, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo del 31 dicembre 2012 n. 235. A nulla rileva la circostanza che una parte della condanna sia oggetto di indulto. Questo incide unicamente sull’esecuzione della pena, ma non certo sugli effetti della condanna sulla incandidabilità, anche sopravvenuta. La condanna dovrà essere comunicata dal pubblico ministero del giudice dell’esecuzione, e cioè dal procuratore della Repubblica di Milano, alla Camera di appartenenza, che dovrà decidere ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione. Poiché la decadenza è stabilita automaticamente dalla legge, il Senato dovrà solo prenderne atto senza ritardo. Nell’affrontare la notizia della sentenza della Cassazione, i giornalisti hanno quasi tutti riferito che la Corte suprema «ha condannato Berlusconi». Non è esattamente così. La Corte di Cassazione non condanna, perché non è giudice del merito; essa conferma la condanna quando respinge i ricorsi; annulla la condanna quando li accoglie e annulla con rinvio al giudice di merito di secondo grado, in diversa composizione, quando annulla parzialmente, come in questo caso. Nel giudizio di Cassazione si può dire paradossalmente che sul banco degli imputati sta la sentenza. Se essa supera l’esame di legittimità viene confermata, altrimenti viene annullata in tutto o in parte. L’imputato, la persona fisica, non ha rilievo, non è prevista neppure la sua presenza in aula, se non tra il pubblico. Ciò vuol dire che si tratta di un giudizio molto tecnico, nel quale occorre esaminare se siano state violate norme del Codice penale o di procedura penale, se vi siano state violazioni del diritto di difesa, tali da inficiare la validità del giudizio. La Corte di Cassazione non può e non deve fare valutazioni di merito, non può attribuire rilevanza maggiore o minore a questo o quel documento o a questo o quel testimone. Ecco perché risulta stonato, artificioso e forzato, l’enorme significato politico che è stato attribuito a questo giudizio, così caricando i giudici di responsabilità “politiche” che sono del tutto estranee al compito della Corte e che per fortuna lo sono rimaste. Un giudizio tecnico-giuridico, che dovrebbe rassicurare tutti i cittadini perché ha riconosciuto legittimità alle due sentenze, tra loro conformi, del Tribunale e della Corte d’appello, così rimuovendo ogni dubbio circa eventuali pregiudizi, ostilità o dubbi di qualsiasi genere. Dico dovrebbe, perché in effetti la pronuncia della Corte, invece che rassicurare, ha riacceso focolai di virulenta polemica, tendente, per dirla in gergo, a “buttare tutto in politica”, collocando anche i consiglieri del collegio giudicante nel calderone di una «certa magistratura», definita «irresponsabile», per non parlare delle volgarità e del consueto codazzo di polemiche. Persino l’annullamento della pena accessoria e il rinvio su questo solo punto al giudice d’Appello per un nuova pronuncia, è stata definita «un contentino», nello sforzo di attribuire comunque un significato politico a un capo della sentenza anch’esso strettamente tecnico, collegato a un orientamento interpretativo, di cui si leggeranno le motivazioni quando la sentenza sarà depositata. Strano però che, sino a qualche minuto prima delle 19.40, circolasse grande ottimismo tra i giornalisti, «sulla base di voci provenienti dall’interno del Palazzaccio». Ancora una volta, come è sempre accaduto, il giudizio sui magistrati dipende solo dall’esito dei processi; se favorevole, ottimi e imparziali, se sfavorevole, ostili per pregiudizio politico. E questa volta? Sembra azzardato parlare di una “parte” della magistratura, la Cassazione è il vertice della magistratura giudicante e la rappresenta tutta. Contestarla equivale a delegittimare, per calcolo politico, o peggio, elettorale, l’intera struttura giudiziaria del Paese. Ancora più preoccupante, ma qui siamo al teatro dell’assurdo, si parla adesso a tutti i livelli della necessità di una riforma della giustizia, che, sembra di capire, dovrebbe evitare per il futuro condanne del genere. A proporre i contenuti della riforma dovrebbe essere… il condannato.

* Magistrato

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